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14.12.2024

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La Chiesa è missionaria
31 Gennaio 2014

La Chiesa è missionaria



Il celebre missionario racconta il suo contributo alla stesura di due importanti documenti del Magistero della Chiesa, il decreto Ad Gentes e l’enciclica Redemptoris missio. Due testi fondamentali per comprendere la natura missionaria della Sposa di Cristo

Poco prima che iniziasse il Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962), il direttore de L’Osservatore Romano, Raimondo Manzini, mi chiama a Roma come redattore, per curare le pagine conciliari con altri due redattori; e papa Giovanni XXIII mi nomina “perito” della Commissione conciliare per scrivere il Decreto Ad Gentes. Ero un giovane sacerdote del Pime (Pontificio Istituto per le Missioni Estere), dal 1953, e portavo avanti tre compiti impegnativi: le pagine conciliari de L’Osservatore, perito della Commissione missionaria e direttore di Le Missioni Cattoliche a Milano (con viaggi in treno le notti di venerdì e domenica!).

Il decreto Ad Gentes
L’impegno più pesante era l’Ad Gentes, che in quattro anni di lavoro ha avuto sette stesure. Giovanni XXIII, tre mesi dopo l’inizio del suo pontificato, il 15 gennaio 1959 annunzia il Concilio e lo apre l’11 ottobre 1962, senza un’adeguata preparazione. Molti a Roma dicevano che sarebbe stato un fallimento. Nella storia della Chiesa ci sono pochi esempi così evidenti di come lo Spirito Santo interviene per portare a buon fine una rivoluzione benefica di queste dimensioni: 2.500 padri conciliari da ogni parte del mondo, più gli invitati, gli osservatori e i periti che in 230 giornate lavorative spalmate in quattro anni (tre mesi autunnali l’anno) producono 16 documenti per circa 1.000 pagine (un volume formato A4), che hanno arricchito il volto della Chiesa in ogni settore della sua vita millenaria. Per chi non ha vissuto l’epopea conciliare riesce difficile capire quanto provvidenziale è stato il Vaticano II, che non si è ancora finito di applicare. Infatti, i Papi del post-Concilio continuano a dire: ritorniamo al Concilio, applichiamo il Concilio! La ricchezza di quei testi si capisce adesso: quando papa Francesco vuole una Chiesa missionaria che va alle periferie dell’umanità e povera fra i poveri, riprende due intuizioni del Concilio ancora non recepite dal Popolo di Dio!
Per noi che eravamo i badilanti alla base della piramide conciliare, i manovali sui quali pesavano le centinaia di osservazioni e di voti “iuxta modum” dei padri conciliari, il lavoro per arrivare a tempo era davvero improbo. Però alla fine, dopo sette edizioni del testo, che poi passavano al dibattito in assemblea e al voto, il Decreto Ad Gentes è stato approvato quasi all’unanimità, con soli 5 voti contrari su 2.394! I contrasti venivano da problemi irrisolti, che avrebbero richiesto ben altro tempo per discuterli e votarli. La Commissione per l’Ad Gentes infatti era in buona parte formata da teologi, giuristi, storici, ma era mancato un dialogo fra i teologi e i missionari! Non avevo molto tempo per la Commissione, per il lavoro che mi richiedevano L’Osservatore Romano e Le Missioni Cattoliche. Ho partecipato a poche discussioni fra i membri della Commissione, però avevo in mano i testi prodotti e incontravo spesso o telefonavo ai miei due referenti, padre Andrea Seumois, OMI, e padre Joseph Masson, SJ, che rappresentavano le due correnti della Commissione, la romana (Curia e Università) e quella delle Facoltà missiologiche di Belgio, Germania, Francia, Spagna, Olanda e USA. Il mio contributo diretto all’Ad Gentes è stato duplice: ho riletto e corretto diverse stesure del testo, esprimendone i contenuti in termini semplici e leggibili; ma soprattutto, intervistavo per L’Osservatore i vescovi missionari e al Pime incontravo ogni giorni i 14 confratelli vescovi nelle missioni e portavo in Commissione le richieste, alcune firmate da decine di vescovi, decisivi almeno in tre testi dell’Ad Gentes: il n. 23 del capitolo IV (la “vocazione speciale” e la “specificità degli Istituti missionari”); il n. 29 del capitolo V (Propaganda Fide unica responsabile delle missioni); e la nota 37 del capitolo VI (le Prelazie dell’America Latina equiparate alle missioni fra i non cristiani, per ricevere i sussidi delle Pontificie opere missionarie).

L’enciclica Redemptoris missio

Nel settembre 1989, il segretario del Papa mi telefona a Milano per invitarmi a un incontro con il papa Giovanni Paolo II. Accetto e ricevo un pacchetto di schemi e testi preparatori all’enciclica Redemptoris Missio. Il 3 ottobre sono in Vaticano con Giovanni Paolo II e varie personalità del mondo missionario a discutere dell’enciclica, che si era preparata interrogando Conferenze episcopali, facoltà teologiche, Istituti missionari e altri enti interessati. Il Papa poneva molte domande, il dibattito era vivace e io partecipavo attivamente, ma continuavo a chiedermi: come mai il Papa ha invitato anche me? All’una andiamo in cappella e poi a pranzo nell’appartamento privato del Papa. Eravamo rimasti in pochi e io ero seduto proprio a fianco del Papa. Mi faceva domande sulla mia vita e sulla visita che avevo fatto recentemente in Corea. Rispondevo incoraggiato da tanta confidenza, ma continuavo a cascare dalle nuvole. Alla fine del pranzo, giunti al gelato, Giovanni Paolo II dice: «Allora, chi mi scrive questa enciclica?». E rivolto a me: «Voglio un’enciclica in stile giornalistico, scritta soprattutto per le giovani Chiese, che si faccia leggere anche dai giovani. Tu sei giornalista e scrivi facile e bene. Ti leggo su Avvenire e su Mondo e Missione (mandavamo la rivista all’arcivescovo di Cracovia, come ad altri vescovi dell’Est europeo). Ti incarico di preparare il testo della Redemptoris Missio».
Più che onorato, ero confuso. Il Papa continua: «I tempi sono stretti. Consegnami la prima stesura entro l’8 dicembre prossimo». Mi sono trasferito a Roma, nella casa degli Oblati di Maria Immacolata vicino al Vaticano, con l’amico padre Marcello Zago superiore degli O.M.I.: 12-14 ore di lavoro al giorno, non leggevo i giornali né vedevo il telegiornale per non distrarmi, una corsa contro il tempo. Quando finivo un capitolo, Zago lo portava in Segreteria di Stato e al Papa; alcuni giorni dopo ricevevo le osservazioni del Papa: qui aggiungi questo, spiega meglio il concetto, cita questo passo del Vangelo… A volte: «Si legge bene, va avanti così»; «Bravo, è scritto veramente bene». Ci mettevo tanta passione e impegno che il lavoro non mi pesava, anzi quel servizio al Papa mi esaltava, lo leggevo come una ricompensa di Dio al fatto che non sono mai andato in missione. Per i tempi stretti, abbiamo convocato padre Domenico Colombo del Pime, esperto di ecumenismo e di religioni non cristiane, che ha collaborato.
Consegnata al Papa l’enciclica il 7 dicembre 1989, sono ritornato a Roma un mese per la seconda stesura (marzo 1990) e una ventina di giorni per la terza (luglio 1990): il primo e il secondo testo, mandati alle persone ed enti consultati, producevano tante osservazioni e richieste. Il Papa dava direttive per procedere alla seconda e terza edizione. La Redemptoris Missio porta la data del 7 dicembre 1990, ma è stata presentata il 22 gennaio 1991, per dare tempo di realizzare le traduzioni e la stampa nelle diverse lingue. Il card. Joseph Tomko, prefetto di Propaganda Fide, aveva ottenuto un’enciclica per il XXV dell’Ad Gentes, altri avrebbero preferito una Lettera apostolica, di minore importanza: fra i 16 documenti del Vaticano II solo l’Ad Gentes è stato commemorato e aggiornato dal Papa con un’enciclica.
Qual è stato il mio lavoro? Molto modesto: trascrivere le idee del Papa in uno stile facile, immediato e “giornalistico”. Sono rimasti alcuni slogan spesso citati: «La fede si rafforza donandola» (n. 2); «La missione è un problema di fede» (n. 11); «Dio sta preparando una nuova primavera cristiana» (n. 86); «Il vero missionario è il santo» (n. 90). L’enciclica è di Giovanni Paolo II e di nessun altro; ma Zago, Colombo e io un certo influsso l’abbiamo avuto, specie nel modo di impostare i problemi e le soluzioni; e qualche volta anche nel proporre temi che gli schemi precedenti avevano trattato in tono minore o sottinteso, e il Papa poi conveniva. Ad esempio, nel capitolo VI su «I responsabili e gli operatori della pastorale missionaria», i numeri 65 e 66 su «Missionari e Istituti Ad Gentes» sono stati proposti da noi e accettati dal Papa.

Per saperne di più…

Piero Gheddo, Missione senza se e senza ma. L’annuncio alle genti dal Concilio a Papa Francesco, emi, Bologna 2013.

IL TIMONE N. 128 – ANNO XV – Dicembre 2013 – pag. 50 – 51

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