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14.12.2024

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La Chiesa parla. Ne ha diritto
31 Gennaio 2014

La Chiesa parla. Ne ha diritto

 

 

 

 
 
Sembra che la libertà di parlare si fermi davanti alla Chiesa cattolica. Ogni sua “pretesa” di giudicare la vita pubblica viene accusata di ingerenza. Ma la Chiesa può disinteressarsi della vita delle nazioni in cui è presente?
 
 
 
«La Chiesa non si lascia certo intimidire e non verrà mai meno, nell’esercizio del discernimento evangelico e della carità pastorale, al suo dovere di parlare in modo forte e chiaro per illuminare i credenti e tutti gli uomini di buona volontà sia su materie che riguardano la fede e la vita ecclesiale sia su temi di grande rilevanza morale come la vita umana, la famiglia, la giustizia e la solidarietà» (mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, al Consiglio nazionale della CEI svoltosi a Roma dal 19 al 22 settembre).
Queste parole, riprese da tutta la stampa nazionale, esprimono una verità profonda che rischia di scomparire sommersa dal rumore della polemica: la Chiesa non è padrona del messaggio che ha ricevuto il mandato di trasmettere. Per cui deve rispondere a Qualcuno dell’uso delle parole e dei gesti che compie nel corso del tempo, di fronte agli avvenimenti che è chiamata a giudicare.
Incaricata da Cristo di portare agli uomini e alle nazioni il Vangelo della salvezza, eterna e personale (è bene ricordarlo per capire qual è la posta in gioco), l’autorità ecclesiastica può scegliere se, quanto e quando parlare ma deve (dovrebbe) scegliere soltanto quello che meglio serve all’evangelizzazione, che rimane il suo primo scopo.
Nello svolgere questa missione, la Chiesa ha davanti il mondo: un mondo storico, quello contemporaneo allo svolgersi degli avvenimenti, e il mondo per cui Gesù non ha pregato (cfr. Gv 17,9), quello dominato dal maligno. Il primo è il mondo da salvare ed evangelizzare, il secondo è la civitas diaboli che ha dichiarato guerra alla città di Dio.
Quest’ultima vorrebbe che la Chiesa scomparisse o al più che si ritraesse nei suoi confini, all’interno del tempio, smettendo di pretendere di costruire un mondo migliore.
Abbiamo ascoltato questa cantilena anche nelle settimane della campagna referendaria sulla procreazione medicalmente assistita (pma) e quando, nel recente mese di settembre, il card. Camillo Ruini e il Consiglio permanente della CEI hanno ricordato che esiste un solo matrimonio degno del suo nome, rilasciando la dichiarazione che riportiamo con le parole di mons. Betori.
Una simile aggressione si ripete ogniqualvolta la Chiesa afferma qualcosa di sgradito alla cultura dominante, come per esempio con l’omelia del Santo Padre Benedetto XVI all’apertura del Sinodo dei vescovi, il 2 ottobre scorso, quando ha ricordato la signoria del Creatore sulla creazione e ancora una volta ha suscitato reazioni scomposte da parte di molti uomini politici.
Cento anni fa accadeva una cosa simile. Nell’enciclica Il fermo proposito, scritta da papa san Pio X nel 1905, il Pontefice gettava le basi della riorganizzazione del movimento cattolico dopo la crisi che aveva portato allo scioglimento dell’Opera dei Congressi, e contemporaneamente indicava ai cattolici italiani la “nuova” strada della partecipazione elettorale dopo il tempo dell’astensionismo, aprendo a quegli accordi elettorali con i moderati che sarebbero sfociati nel cosiddetto Patto Gentiloni del 1913. Ma in entrambi i casi, sia nella stagione dell’intransigenza sia in quella successiva degli accordi in funzione antisocialista, la Chiesa si rifiutava di rimanere nel tempio come avrebbe voluto l’ideologia laicista e chiedeva ai suoi fedeli, come avviene ripetutamente nel pur breve testo dell’enciclica di san Pio X, di operare per costruire una civiltà cristiana.
È una parola difficile per l’uomo contemporaneo, quest’ultima, me ne rendo conto. Lo stesso Magistero oggi non la usa con la stessa frequenza di allora. Preferisce un termine che susciti meno scalpore, non si presti a equivoci e non incuta paura, perché molti temono che civiltà cristiana o cristianità significhi obbligare anche i non credenti alle pratiche religiose che dovrebbero impegnare i cristiani.
Ma non è così. Oggi, il Magistero presta grande attenzione a distinguere il piano naturale da quello soprannaturale, e quindi la politica dalla religione, anche per distinguere l’insegnamento cattolico dal fondamentalismo islamico o d’altra religione. Indubbiamente, la riflessione cominciata da papa Pio XII e sfociata nei documenti del Concilio Vaticano II sull’autonomia e sul valore in sé dell’ordine temporale, in quanto voluto da Dio, e sulla specifica vocazione del laicato hanno costituito un elemento di sviluppo nella riflessione cristiana su questi temi. Peraltro, un’analisi attenta farebbe capire come questo sviluppo in realtà si fondi sull’insegnamento di san Tommaso e di altri maestri e dottori della Chiesa. Ma non è questo il tema da affrontare adesso. Quello che va fatto notare è che la Chiesa, in qualunque epoca, qualsiasi siano i riferimenti culturali adottati, non può accettare di rinchiudersi in sacrestia, non può rinunciare a evangelizzare le nazioni e queste ultime, se accettano il Vangelo, possono diventare civiltà cristiane, ossia società che cercano di legiferare ispirandosi ai principi del diritto naturale e della dottrina sociale della Chiesa, rispettando la libertà e il pluralismo ma senza assumere una prospettiva relativistica.
Per concludere rimandando all’attualità: la Chiesa non può tacere di fronte al tentativo di equiparare la convivenza (etero e omosessuale) con il matrimonio e se tacesse mancherebbe, cioè peccherebbe di omissione. Anche i cattolici vedono crescere intorno a loro e in mezzo a tutti nuove forme di convivenza, spesso dettate dalla paura e dall’ignoranza. Vedono ma non possono approvare una soluzione legislativa che vada oltre le garanzie di diritto privato nei confronti di chi sceglie questa forma di convivenza. E inoltre non possono smettere di proporre la verità sul matrimonio, aiutando con leggi e privilegi coloro che accettano ancora la prospettiva entusiasmante ed eroica di costruire una famiglia, “a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”, come Giovanni Paolo II aveva scritto a proposito della società.

RICORDA

 

«Non abbiamo bisogno di dirvi, o Venerabili Fratelli, quale prosperità e benessere, quale pace e concordia, quale rispettosa soggezione all’autorità e quale eccellente governo si otterrebbero e si manterrebbero nel mondo, se si potesse attuare ovunque il perfetto ideale della civiltà cristiana. Ma posta la lotta continua della carne contro lo spirito, delle tenebre contro la luce, di Satana contro Dio, tanto non è da sperare, almeno nella sua piena misura. Onde continui strappi si vanno facendo alle pacifiche conquiste della Chiesa, tanto più dolorosi e funesti, quanto più la società umana tende a reggersi con principi avversi al concetto cristiano, anzi ad apostatare interamente da Dio. Non per questo è da perdere punto il coraggio. La Chiesa sa che le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei; ma sa ancora che avrà nel mondo premura, che i suoi apostoli sono inviati come agnelli tra lupi, che i suoi seguaci saranno sempre coperti d’odio e di disprezzo, come d’odio e di disprezzo fu saturato il divino suo Fondatore».
(Pio X, Enciclica Il fermo proposito, 11 giugno 1905).

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

L’enciclica Il fermo proposito si può trovare nelle diverse opere che riportano i testi pontifici: Enchiridion delle encicliche, vol. 4, Pio X, Benedetto XV.
1903-1922, EDB, 1998 oppure Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, vol. VII, Pio X (1903-1914), a cura di Ugo Bellocchi, LEV, 1999.

 

 

 
 
 
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 58 – 59
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