Roma, Gerusalemme, Santiago: le tre grandi mete del pellegrino medievale. Assistito da una rete di luoghi di ristoro, ricovero e accoglienza. Segni concreti di una civiltà cristiana. Protesa ad un’altra Civiltà.
Quando il pellegrino che ha attraversato a piedi la Spagna percorrendo el Camino entra nella Cattedrale di Santiago de Compostela lo attende una prima sorpresa: non è sulla profondità degli spazi interni che si apre la porta della cattedrale, ma sullo spazio relativamente piccolo di un atrio, al centro del quale, su una colonna che rappresenta l’albero di Jesse, San Giacomo lo sta aspettando. Entra così il pellegrino nel Portico della Gloria, muovendo passi incerti e quasi confusi dopo i tanti invece ben più sicuri e decisi che lo hanno portato lì – i passi titubanti del suddito piombato d’improvviso dal fango e dalla polvere del Camino nella sala del Trono. Poi, giunto il suo turno nella folla – il pellegrino sa cosa deve fare, è così tanto che aspetta di fare quello che sta per fare – si avvicina alla colonna e allunga la mano per toccarla. E affondano le dita nell’impronta che ha scavato la pietra, l’impronta di milioni di mani, nei secoli dei secoli. Con quel gesto il pellegrino si ritrova così in cima a mille anni di storia e di fede, quella storia d’Europa e quella fede cristiana che hanno tracciato il Camino de Santiago, la strada che univa Compostela a Roma divenendo la via Francigena e che proseguiva per Gerusalemme, toccando il santuario di San Michele sul Monte Gargano.
Roma, Santiago, Gerusalemme, le tre peregrinationes maiores, le tre grandi mete di pellegrinaggio della cristianità medievale: i sepolcri di Pietro e Paolo a Roma, di Giacomo di Zebedeo a Santiago, e quell’altro sepolcro, quello vuoto, quello da cui tutto cominciò, a Gerusalemme. Si trattava di un fascio di strade che venivano percorse nei due sensi – con una costellazione di cattedrali, sepolcri e reliquie lungo il percorso a far da punto di riferimento – da chi andava o tornava da Santiago o andava o tornava da Roma. O da chi tornava o andava al “luogo più santo del mondo”, Gerusalemme. Una rete di cammini antica quanto Roma e i suoi grandi costruttori di strade, percorsa dal popolo di questi cristiani che – pur senza obblighi o precetti che a ciò li inducessero – lasciavano un giorno della vita affetti e affari e si mettevano per strada verso la sacra meta. Essi si muovevano in una civiltà – radicata nella cristianità medievale – che era ordinata al fine stesso della vita: il Paradiso.
Scrive Paolo Caucci von Saucken: “(…) venivano dotati ospedali, costruiti ponti, fondate confraternite un po’ dovunque per favorire il transito e la sosta del gran popolo dei pellegrini, ovunque esso fosse diretto. Contribuiva, infatti, a consolidare il concetto di appartenenza ad un’unica civiltà la presenza, lungo tutte le vie, di strutture ospitaliere non solo locali, ma frequentemente sopranazionali. Esse si ispiravano al principio dell’accoglienza dell’hospes tamquam Christus, profondamente radicato nella caritas cristiana”. È il principio posto da San Benedetto nella sua Regola e ripreso da quella meravigliosa opera medievale che è la Guida del pellegrino di Santiago (il libro quinto del Codex Calixtinus, XII secolo) quando si tratta di ricordare come debbano essere accolti i pellegrini: “Chiunque li accolga e li ospiti diligentemente, non solo San Giacomo avrà come ospite, ma lo stesso Gesù Cristo, come lui stesso ha detto nel Vangelo. Qui vos recepit me recepit”.
Fede, speranza e carità si trovano così ad essere unite e indivisi bili, l’una a beneficio dell’altra, nella vita del cristiano come nella civiltà del pellegrinaggio. Questi ospizi e ospedali della strada sorgono sulle grandi vie di pellegrinaggio, spesso in prossimità di passi montani o comunque di passaggi obbligati e, quindi, irti di pericoli e insidie. La Guida del pellegrino di Santiago ne ricorda tre, i più importanti: l’ospedale di Gerusalemme, l’ospedale di Mont-Joux (Gran San Bernardo) e l’ospedale di Santa Cristina presso Aspe (passo pirenaico del Somport). Vere e proprie opere di una carità creativa e originale, pensata e attuata per i vivi e per i morti, queste strutture rifuggono dalla moderna ossessione per la specializzazione e sono casa accogliente, ospedale e centro di soccorso che dovrà “ricevere, raccogliere, riconfortare i poveri, gli infermi, i ciechi, i deboli, gli zoppi, i sordomuti, gli affamati”, come richiesto dalla Regola dell’ospedale di Aubrac agli inizi del XIII secolo. Ma costituiscono anche possibilità di sepoltura in terra benedetta per i pellegrini morti lungo il viaggio o uccisi dai briganti. Così ne parla nel XII secolo la Guida del pellegrino di Santiago: “sono dei luoghi santi, case di Dio, riconforto dei santi pellegrini, riposo degli indigenti, consolazione dei malati, salvezza dei morti e soccorso dei vivi. Chiunque avrà edificato questi luoghi possederà senza dubbio il regno di Dio”. Alcuni di questi ospitalieri sono stati riconosciuti santi dalla Chiesa, come San Juan de Ortega e Santo Domingo de la Calzada, costruttori di strade, ponti e ospizi per i pellegrini lungo il Cammino di Santiago. Non di rado poi i pellegrini una volta tornati a casa si riuniscono in confraternite, per continuare anche nella vita ordinaria la comunione di preghiera e devozione ai propri patroni e le opere di carità e accoglienza verso i pellegrini, i poveri e i malati.
Del resto ancora oggi l’ Hospital de San Nicolas de Puente Fitero, che accoglie i pellegrini jacopei i n transito per le terre assolate di Castiglia, è gestito e condotto da pellegrini della Confraternita di San Jacopo di Compostela di Perugia. All’imbrunire i pellegrini ospitati vengono invitati nel!’ antica abside per il rito della lavanda dei piedi che l’ospitaliere esegue semplicemente, con una brocca d’acqua, prima di asciugarli con un panno bianco. Quei piedi che portano i segni delle vesciche, delle unghie che mancano, i segni del cammino dalla Spagna, dalla Francia, dall’Italia, dai Paesi del Nord… E quanti – spesso anche non credenti, che avevano sorriso di fronte alla proposta ed accettato pensando magari ad una simpatica forma di folkloristica ospitalità – quanti si abbandonano al pianto che una commozione profonda e inattesa libera improvvisamente, senza avvisare. Potenza del linguaggio dei segni, che mantengono una forza comunicativa che spesso le parole hanno perduto?
Certo è che vivendo il gesto insegnato da Nostro Signore agli Apostoli il pellegrino riceve ben di più che un semplice gesto d’accoglienza. Perché così tanti piangono? Forse il pellegrino ricorda improvvisamente che c’è un’altra Civiltà, che ci sarebbe tutto un altro modo di vivere, che la gioia vera – misteriosa quanto il dolore – è possibile, e non perché tu sia bravo a raggiungerla, ma perché è un dono.
BIBLIOGRAFIA
Paolo Caucci von Saucken (a cura di), Guida del pellegrino di Santiago, Libro quinto del Codex Calixtinus, secolo XII, Jaca Book, Milano 2003.
Paolo Caucci von Saucken (a cura di), Il mondo dei pellegrinaggi. Roma Santiago Gerusalemme, Jaca Book, Milano 1999.
Raymond Oursel, Pellegrini del medioevo. Gli uomini, le strade, i santuari, Jaca Book, Milano 2001.
Franco Cardini – Renata Salvarani – Michele Piccirillo, Verso Gerusalemme. Pellegrini, santuari, crociati traa X e XV secolo, Idea libri 2000.
IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 24 – 25