Ci sono casi in cui i divorziati possono fare la comunione, purché rispettino certe condizioni. Se non si astengono da relazioni sessuali, commettono adulterio. E la chiesa non può dare loro l’eucarestia. Non sarebbe fedele al suo Signore che ha condannato l’adulterio e insegnato l’indissolubità del matrimonio.
La Chiesa si sta preparando a celebrare due Sinodi sulla Famiglia: il primo sarà a ottobre 2014 e il secondo nel 2015. Durante il Concistoro del 20 febbraio scorso, il cardinal Walter Kasper ha tenuto una relazione sulla famiglia molto ampia e su molti aspetti. L'attenzione mediatica ed ecclesiale si è concentrata sulla sezione più lunga, dedicata al tema doloroso del fallimento dell'unione matrimoniale e alla pastorale verso le persone divorziate e risposate. Kasper presenta due casi ponendo delle domande al fine di approfondire le soluzioni pastorali.
Chi è convinto che il suo matrimonio è nullo
Primo caso: una persona è soggettivamente convinta che il matrimonio da cui proviene non è valido. Il Diritto canonico stabilisce che valutare se un matrimonio è valido o nullo compete ai tribunali ecclesiastici. Perciò Kasper domanda: "Non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali? In alternativa, si potrebbe pensare che il vescovo possa affidare questo compito a un sacerdote con esperienza spirituale e pastorale quale penitenziere o vicario episcopale».
Sotto questo aspetto teoricamente è tutto possibile: il modo del processo canonico e i tribunali ecclesiastici non sono di istituzione divina, ma sono istituzioni umane, elaborate dalla Chiesa nel corso della sua esperienza e quindi possono tranquillamente cambiare. Il processo canonico mira ad accertare la realtà circa l'esistenza o meno di un sacramento, di un matrimonio tra due presunti coniugi. La Chiesa potrà anche elaborare altri metodi di accertamento a condizione che assicurino un grado di garantismo processuale pari o superiore all'attuale sistema, e un'attenta ponderazione dei singoli casi. Però, Kasper invece ipotizza di affidare il giudizio a una singola persona. Ora, per quanto questa persona possa essere attenta, competente e pastoralmente preparata, l'ipotesi di Kasper sembra imprudente data anche la posta in gioco. Quanti abbagli si prendono quando si è soli a giudicare. La prudenza pastorale plurisecolare infatti chiede un organo di giudizio collegiale e non monocratico.
Il divorziato risposato in Comune e i sacramenti della confessione e dell'eucaristia
Secondo caso: è quello più delicato, perciò riportiamo le stesse parole con le quali Kasper pone la domanda: “ Un divorziato risposato: 1. se si pente del suo fallimento nel primo matrimonio, 2. se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro, 3. se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile, 4. se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede, 5. se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento (metanoia), il sacramento della penitenza e della comunione? Questa possibile via non sarebbe una soluzione generale”.
Ora, questa situazione riguarda evidentemente i divorziati che hanno celebrato un valido matrimonio. Ebbene, già oggi i divorziati possono fare la comunione:
– se hanno subito (dall'altro coniuge) e non voluto il divorzio e non sono risposati;
– se hanno chiesto il divorzio, lo hanno confessato e non si sono risposati;
– se sono risposati ma, con il nuovo "coniuge", decidono e riescono, negli anni, a vivere come fratello e sorella: è una cosa ardua, ma possibile, il desiderio dei sacramenti è così forte che inclina a vivere castamente.
Ma Kasper invece parla della situazione dei divorziati risposati e questo caso ricorda un testo del magistero di Giovanni Paolo Il: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio. La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l'educazione dei figli – non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Esortazione apostolica Familiaris Consortio, n. 84).
Quindi, se i divorziati risposati sono nelle condizioni elencate da Kasper e se la condizione n. 4 consiste in quello che scrive Giovanni Paolo Il, cioè se « l'uomo e la donna, per seri motivi – quali ad es. l'educazione dei figli – non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi», allora possono essere ammessi ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia.
Ma se Kasper pone la domanda per approfondire significa almeno che la condizione n. 4 non consiste in quello che scrive Giovanni Paolo Il. Perciò pensiamo che il caso posto da Kasper riguardi divorziati risposati, che hanno motivi seri per convivere (ad es. l'esistenza di figli minori) e hanno tra loro rapporti sessuali.
Peccati veniali?
Kasper fa riferimento alla dottrina del peccato veniale, come se volesse dire che questi rapporti sessuali tra divorziati risposati possano essere qualificati sì peccaminosi (perché adulterini), ma di tipo veniale.
Ora, un peccato può essere oggettivamente grave e soggettivamente veniale per due cause: 1. perché l'avvertenza della mente non è piena (ad es. incolpevole mancanza di lucidità); 2. oppure perché manca, in tutto o in parte, il deliberato consenso della volontà.
Quindi, un atto disordinato oggettivamente grave e quindi mortale può essere peccato veniale per quei difetti soggettivi che riguardano l'intelligenza o la volontà di chi agisce. Ora, nel nostro caso le due persone sanno perfettamente e vogliono lucidamente compiere atti adulterini. Quindi, non si può parlare di peccato veniale. Inoltre, le cinque condizioni elencate nel caso non potranno cambiare la qualità morale del rapporto sessuale tra due persone non sposate, e tale qualità morale resta sempre adulterio.
Se la Chiesa assolvesse e ammettesse alla Eucaristia?
Se la Chiesa assolvesse i divorziati risposati e desse loro l'Eucaristia, sarebbe ancora fedele al suo Signore che ha chiaramente condannato l'adulterio? E che ha chiaramente insegnato l'indissolubilità del matrimonio?
L'assoluzione sacramentale comporta per sua natura che il penitente si proponga volontariamente di non peccare più e che ripari. Ora, per i divorziati risposati:
– il proposito di non peccare consiste nel non commettere più adulterio e dunque vivere castamente col coniuge sposato civilmente, se da esso non possono separarsi (cosa che avviene quando essi "per seri motivi – quali ad es. l'educazione dei figli non possono soddisfare l'obbligo della separazione»);
– e la riparazione consiste nel riprendere (se non ci sono motivi seri per non farlo) la convivenza con il coniuge del matrimonio sacramento.
Poi, l'Eucaristia è sacramento visibile della comunione invisibile esistente tra chi riceve l'Eucaristia, Dio e la sua Chiesa. Questa comunione invisibile è garantita dalla stessa Chiesa. Ogni qual volta il fedele ha una condotta che oggettivamente contraddice la volontà di Dio, la Chiesa è obbligata, per fedeltà al suo Sposo e Signore, a riconoscere che non esiste comunione tra quel fedele e Dio. Ora, il divorziato risposato si trova proprio in questa condizione oggettiva. Per cui, finché non sceglie di cambiare vita, di cessare i rapporti adulterini, si preclude l'accesso all'assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica.
Un percorso di conformazione a Cristo
Il magistero pontificio più recente da un lato invita i sacerdoti a discernere con sapienza i singoli casi, e dall'altro offre alle persone divorziate risposate le vie della penitenza non sacramentale: "Con ferma fiducia la Chiesa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità» (Familiaris Consortio n. 84).
Il non essere ammesso a un sacramento non è un'esclusione infamante, ma fa parte di un percorso di conformazione a Cristo che passa dalla rinuncia a un proprio modo di vedere i sacramenti, al modo con cui Cristo pensa ai sacramenti. È questa la metanoia, il cambiamento di pensiero a cui tutti siamo chiamati. Questa è l'autentica conversione: pensare come Cristo, avere lo stesso pensiero di Cristo, la sua stessa mentalità e il suo stesso sguardo sulle persone e le creature.
La pastorale negligente
Lo stesso cardinal Kasper ricorda un testo molto significativo: Agostino, La fede e le opere 19,35, il quale riferisce che alcuni vescovi sono stati negligenti verso gli adulteri. "Sembra che per i costumi dei cattivi cristiani, un tempo addirittura pessimi, non fosse un male il fatto che uomini sposassero la moglie di un altro o che donne sposassero il marito di un'altra, per questo forse si insinuò presso alcune chiese questa negligenza per cui nelle istruzioni ai richiedenti non si indagava né si riprovava [biasimava] su tali vizi. Così è avvenuto che si è incominciato anche a difenderli. Tali vizi tuttavia sono ancora rari nei battezzati, a meno che non li facciamo aumentare col trascurarli». Questo rischio di esser negligenti e di tacere è oggi reale: l'incidenza dell'adulterio in una popolazione aumenta quando non si rimprovera tale peccato, quando lo si trascura o anzi lo si difende.
La soluzione lungimirante
La patologia del matrimonio, drammatica e dolorosa, ci deve portare a riflettere sulla fisiologia del matrimonio. Come formiamo i giovani al matrimonio nella castità, nella conoscenza reciproca e sincera e nella comunione di preghiera e di impegni? Come formiamo gli sposi a radicarsi nella fede, nella speranza, nell'amore divino e nel desiderio di santità reciproca? •
Ricorda
I divorziati risposati “Sappiano […] che la Chiesa li ama, non è lontana da loro e soffre della loro situazione. I divorziati risposati sono e rimangono suoi membri” (Giovanni Paolo Il, Discorso ai partecipanti alla XIII assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 24 gennaio 1997).
Per saperne di più …
Giovanni Paolo Il, Esortazione apostolica Familiaris Consortio, 22 novembre 1981.
Benedetto XVI, Discorso al Clero della Valle d'Aosta, 25 luglio 2005.
carlo caffarra, Orientamenti pastorali per le situazioni matrimoniali irregolari, in particolare per i fedeli divorziati risposati, febbraio 2000.
Carlo Caffarra, Da Bologna con amore: fermatevi, intervista di Matteo Matzuzzi, in il Foglio, 15 marzo 2014.
Novello Pederzini, Conviventi, separati, divorziati, risposati e sacramenti, Edizioni Studio Domenicano, 2010.
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