15.12.2024

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La confessione
31 Gennaio 2014

La confessione

 

 

 

 

Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de “il Timone”, ha tenuto a Radio Maria il 14 settembre 2002.
Conserviamo lo stile colloquiale e la suddivisione in· paragrafi utilizzata per i suoi appunti dall’ autore.

 

 

1. Affrontiamo un tema importante per la fede cattolica, anche se, dobbiamo dire, molti credenti fanno fatica a comprenderlo bene e altri, purtroppo, lo mettono adirittura in discussione. Parleremo del Sacramento della Confessione.
2. Molti si domandano per quale motivo dobbiamo confessare i nostri peccati a un sacerdote. Molti si chiedono se non sarebbe meglio, come fanno i protestanti, chiedere direttamente perdono a Dio delle proprie colpe. Senza il bisogno della mediazione della Chiesa e del sacerdote.
3. Alcuni vivono la Confessione con disagio, perché trovano qualche difficoltà a mettere a nudo le proprie miserie spirituali e accusarsene danti a un sacerdote.
4. I cristiani del mondo protestante ritengono che Gesù non abbia istituito questo sacramento e che la Chiesa lo abbia inventato.
5. Come rispondere a queste osservazioni? Certamente è indispensabile conoscere la dottrina cattolica, e quindi invito a studiare quegli articoli del Catechismo che trattano della Confessione.
6. Ma noi vogliamo interrogare la storia della Chiesa, e alla storia chiederemo di farci sapere come si comportavano i primi cristiani.
7. Credevano anch’essi che la Confessione è un sacramento istituito da gesù, oppure – pensano i Protestanti e i Testimoni di Geova – questa è una invenzione della Chiesa cattolica?
8. Come si comportavano i primi cristiani per ottenere da Dio il perdono dei loro peccati? Ricorrevano alla mediazione della Chiesa, oppure la Chiesa è intervenuta dopo, nel corso della sua storia, quando ha pensato che fosse necessario tenere sotto controllo i comportamenti e addirittura i pensieri dei suoi fedeli?

La dottrina cattolica
9. Secondo la dottrina cattolica, soltanto Dio ha il potere di perdonare i peccati. Si legge nel Vangelo: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” (Mc 2,10) e Gesù esercita questo potere divino: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”, dice Gesù al paralitico (Mc2,5) e alla peccatrice (Lc 7,48).
10. Dio ha affidato l’esercizio di questo potere alla Chiesa e la Chiesa lo esercita nel Sacramento della Confessione. A Simon Pietro, Gesù ha detto: “A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 19). Il potere di “legare e sciogliere” è stato conferito da Gesù anche agli Apostoli, dunque alla Chiesa (Mt 18, 18).
11. Spiega il Catechismo: “Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio” (n. 1445)
12. Quindi, “legando” o “sciogliendo”, la Chiesa riconcilia il peccatore a Dio e a se stessa, secondala chiarissima volontà espressa da Gesù.
13. In un altro passo del Vangelo si legge che Gesù ha dato esplicitamente agli Apostoli il potere di “rimettere” o di “non rimettere” i peccati: “Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi. Dopo aver detto questo alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 21-23).
14. Il verbo “rimettere”, nel testo originale greco, vuoi dire: “liberare (da qualche cosa), mandar fuori, scacciare, prosciogliere, assolvere”.
Ricordate quando Gesù dice al paralitico: “Abbi fede, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” e gli scribi pensavano che avesse bestemmiato perché solo Dio poteva rimettere i peccati.
15. E qui gli scribi avevano ragione a pensare che solo Dio può rimettere i peccati, ma essi non credevano che Gesù fosse Dio. Ora, questo stesso potere, come abbiamo sentito dal passo biblico, è stato affidato da Gesù agli Apostoli.
16. Facciamo un passo avanti. Necessariamente, chi esercita questo potere, che è un “potere giudiziario” – cioè deve portare ad un giudizio di condanna o di assoluzione – deve prima conoscere i peccati, deve conoscere le disposizioni, le eventuali attenuanti, le circostanze, altrimenti non si capirebbe il senso delle parole di Gesù.
17. Da qui nasce la necessità di confessare il proprio peccato alla Chiesa, a chi nella Chiesa ha ricevuto questo potere da Gesù, prima che il peccato venga rimesso.
18. Per il Vangelo la “confessione a un prete” non è il semplice confessarsi a un uomo. Il potere del sacerdote si applica sì in terra, ma le conseguenze si verificheranno in cielo, e questo vuol dire che i giudizi del sacerdote sono approvati e confermati da Dio: “saranno rimessi… saranno ritenuti…”.
19. E questo potere di rimettere i peccati non finisce con la morte degli Apostoli, ma deve durare fino alla fine dei tempi. Ecco perché questo potere viene esercitato dai successori degli apostoli, il Papa e i vescovi, e dai sacerdoti.
20. Mi pare che due questioni, più di altre, siano messe in discussione oggi. La prima: è vero che tocca alla Chiesa, al vescovo e ai sacerdoti, il compito di amministrare il sacramento della confessione? La seconda: è giusto confessare, cioè dire al vescovo, o ai sacerdoti, almeno i nostri peccati gravi?
21. La storia risponde alle nostre domande.

La storia: intervento della Chiesa nella remissione del peccato
22. Affrontiamo la prima questione. Molti documenti dei primi secoli attesta no l’intervento della Chiesa nella remissione dei peccati.
23. Era compito dei vescovi e dei sacerdoti, dopo aver fatto un esame accurato, ammettere i peccatori alla penitenza, stabilire quanto tempo questa doveva durare e quando concedere la “pace”, come si diceva allora, mediante l’imposizione delle mani.
24. Veniamo ad una prima traccia, antichissima, che ci svela una regola in uso nella Chiesa primitiva. Si trova nella Didachè (Didachè vuoi dire: insegnamento, dottrina), un’opera che sembra essere stata redatta addirittura nel I secolo, tra il 50 e il 70 dopo Cristo.
25. Vi troviamo una serie di insegnamenti che vengono attribuiti agli Apostoli e vi si legge: “Nella Chiesa confesserai i tuoi peccati, né andrai alla preghiera con una coscienza malvagia” (c. 14, 14).
26. Ecco un primo indizio antichissimo: i peccati vanno confessati “nella Chiesa” È un indizio, ma rivela che nel I secolo era opinione dei cristiani che il perdono dei peccati non fosse una questione privata, ma che c’entrasse la Chiesa.
27. Veniamo a una seconda traccia, anch’essa molto antica. A metà del terzo secolo scoppia una dura persecuzione nei confronti dei cristiani, scatenata dall’imperatore romano Decio (249-251). Molti sono i martiri che testimoniano la loro fede fino al dono della vita; ma molti sono anche i cristiani che cedono, tradiscono, abiurano. Essi si macchiano di un peccato gravissimo.
28. Prima ancora che terminasse la persecuzione, la massa degli apostati (i Lapsi) cerca di ottenere il perdono del loro peccato e quindi la riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
29. Bene: questi cristiani ricorrono alla gerarchia della Chiesa perché vedono nei vescovi e nei sacerdoti i ministri della misericordia divina e perché sanno che essi hanno il potere di rimettere i peccati.
30. Dopo avere dato istruzioni ai sacerdoti (“procedere con calma, esigere penitenze”, etc.), così san Cipriano (ca 205-2 vescovo di Cartagine, che martire durante la persecuzione di Valeriano, esorta i Lapsi: “Vi prego, o fratelli, di confessare ciascuno il proprio delitto, mentre chi ha peccato è ancora su questa terra, mentre è ancora possibile confessarsi, mentre la soddisfazione, come pure la remissione fatta per mezzo dei sacerdoti, è gradita al Signore” (De Lapsis, c. 29, PL 4, 503).
31. Questa testimonianza preziosa e antica merita attenzione. Siamo nel III secolo: San Cipriano dichiara che “bisogna confessare i peccati” e dichiara che il perdono si ottiene da Dio, evidentemente, per” mezzo dei sacerdoti”
32. Non solo: nella stessa opera egli afferma che ai peccatori” viene purgata la coscienza con la mano del sacerdote” (De Lapsis, c. 16: PL 4, 493).
33. Come possiamo vedere, fin dai primi tempi i cristiani sapevano che era necessario l’interevento della Chiesa per ottenere da Dio il perdono dei peccati. Ma andiamo avanti.
34. La storia ci ha lasciato un’altra traccia molto antica, che conosciamo con il nome di Didascalia Apostolorum. Si tratta di un’opera composta probabilmente· in una diocesi della Siria, nella seconda metà del III secolo. Quindi molto antica.
35. Vi leggiamo un’importante indicazione rivolta al vescovo, che riguarda la riconciliazione del peccatore: “Come battezzi il pagano e poi lo ricevi [nella Chiesa], così imporrai le mani a costui [il peccatore pentito], mentre tutto il popolo prega per lui; quindi lo introdurrai, facendolo partecipe della Chiesa. L’imposizione della mano sarà come un secondo Battesimo: infatti, tanto con l’imposizione della mano quanto col battesimo si riceve la partecipazione dello Spirito Santo” (Lib.lI, c.41, 1-2).
36. Come si vede, l’autore della Didascalia Apostolorum attribuiva al vescovo il potere di reintrodurre, con l’imposizione delle mani, i peccatori pentiti. Qui non si parla esattamente di confessione, anche se la si deve presupporre, ma resta il fatto che la riconciliazione con Dio avviene per mezzo della Chiesa. È la Chiesa che toglie il reato di concilia con Dio e conferisce la Grazia, indicata come un dono o una partecipazione dello Spirito
37. La Chiesa interveniva fin dai primissimi tempi nell’opera di riconciliazione del peccatore, riconciliazione con Dio e con la Chiesa stessa. E la Chiesa interveniva nella figura del vescovo e del sacerdote.
38. Che è esattamente quanto accade oggi, a distanza di molti secoli, nella nostra Chiesa cattolica.
39. Affrontiamo la seconda questione: dobbiamo dire al confessore i nostri peccati, almeno quelli gravi, mortali?
40. Vediamo come si comportavano i primi cristiani.

La storia. Confessione al sacerdote.
41. Risaliamo nel tempo, e fermiamoci tra il II e il III secolo, quando incontriamo Origene (185-253/4). Commentando la resurrezione di Lazzaro, Origene osserva che “anche ora ci sono dei Lazzari i quali, dopo aver contratto l’amicizia con Gesù, caddero inermi e perirono”, ma poi chiamati dal Signore furono vivificati; poiché chiunque ascolta la sua voce risorge, “ma resta ancora legato e stretto dalle catene dei suoi peccati” ed è incapace di compiere qualsiasi opera soprannaturale “fino a quando non lo scioglieranno, per volere di Gesù, quelli che ne hanno facoltà.
42. Dunque secondo Origene, vi sono nella Chiesa persone che hanno la facoltà, il potere di “sciogliere” dai peccati. Qui è chiaramente affermata la necessità dell’intervento sacerdotale.
43. Ma non si tratta di un intervento generico. È necessaria la confessione, l’accusa dei propri peccati. Anzi, Origene considera la confessione come atto proprio, specifico, del rito penitenziale, e in una sua omelia si legge che “if peccatore non arrossisce di indicare al sacerdote del Signore il suo peccato e richiederne la medicina” (In Leviticum hom. II, 4: PG 12, 418).
44. Sentiamo ancora Origene in un’altra omelia: “Se riveleremo i nostri Peccati non solo a Dio, ma anche a coloro che hanno il potere di curare le nostre infermità e le colpe, saranno tolti i nostri peccati da Colui che disse: – Ecco io spazzerò via le tue iniquità come una nube, i tuoi peccati come la caligine” (In Luc. Hom. XVII: PG 13, 1846).
45. Vedete come si è conservata nella storia la verità cattolica sul Sacramento della Confessione. È Dio che perdona, ma per ottenere il perdono di Dio è necessario l’intervento della Chiesa ed è necessario confessare i peccati dinanzi al sacerdote.
46. Chiediamo alla storia un’altra testimonianza. .
47. Il III secolo ci ha consegnato un’operetta di un anonimo che noi conosciamo con il titolo di “Contra Novatianum”, scritta contro l’eretico NOVAZIANO; VISSUTO NEL III secolo, che si oppose al Papa Cornelio.
48. Vi si legge: “Come l’uomo battezzato dall’uomo sacerdote viene illuminato dalla grazia dello Spirito Santo, così parimenti chi fa l’essomologesi in penitenza, ottiene per mezzo del sacerdote la remissione in grazia di Cristo”.
49. Che cos’è l’essomologesi? È l’atto con cui il penitente, dopo aver eseguito la penitenza, richiedeva e otteneva l a”pace”. A noi interessa però un dato: nel II secolo i cristiani erano convinti che si tornava in grazia di Dio “per mezzo del sacerdote”.
50. Andiamo avanti. Un grande santo della Chiesa, San Basilio (morto nel 379), vescovo di Cesarea di Cappadocia, parla espressamente dei “prepositi della Chiesa… che ricevono dai colpevoli la confessione dei loro segreti di cui non è stato testimonio alcuno tranne Dio” e quindi li riconciliano dopo congrua penitenza (In Isaiam, X, 19: PG 30, 548).
51. Veniamo a S. Metodio, vescovo di Olimpo nella Licia (morto nel 311), il quale scrive: “AI vescovo, sacerdote figlio del vero arcisacerdote, manifesti ognuno la sua propria piaga… a lui deve ricorrere per essere sanato chiunque ha l’anima ferita o lebbrosa” (Frammenti esegetici circa le prescrizioni del Levitico relative alla lebbra – rintracciati in un codice slavo)”.
52. Il segretario di s. Ambrogio, san Paolino, racconta che il vescovo di Milano con grande compunzione riceveva le confessioni dei peccatori prima di imporre loro la penitenza, e ne parlava nei suoi colloqui con Dio.
53. Scrive san Paolino: “delle colpe che a lui [Ambrogio] venivano confessate non parlava ad alcuno se non a Dio solo presso cui intercedeva, dando così ai sacerdoti futuri il buon esempio di farsi intercessori presso Dio piuttosto che accusatori presso gli uomini” (Vita di S. Ambrogio, n. 39: PL 14,43).
54. San Giovanni Crisostomo (344/7 -407) insiste perché la confessione sia fatta in Chiesa, con la voce, perché i colpevoli non arrossiscano di svelare a Dio le proprie iniquità.
55. Sentiamolo: “Come mai ti vergogni ed arrossisci di dire i tuoi peccati?… A Colui che è il Signore,che pieno di sollecitudine per te, che è umano, che è medico, mostri le ferite! Né le ignora anche se gliele dirai”. E ancora: “Ti vergogni di confessare i peccati? Vergognati piuttosto di commetterli. Invece quando li facciamo, li affrontiamo audacemente e senza vergogna; quando poi dobbiamo confessarli, allora ce ne vergogniamo e differiamo la cosa, mentre dovremmo agire con animo premuroso; non è infatti un’ignomia accusare i peccati, ma un atto di giustizia e di virtù… ti vergognerai dunque di quell’opera con cui diverrai giusto?” (De Labaro, Hom. IV, 4 : PG 48, 1012).

Conclusione
56. Credo che gli esempi fin qui portati possano bastare. In questa conversazione non abbiamo parlato della misericordia di Dio, della grandezza e bellezza del dono che Dio ci ha fatto istituendo il Sacramento della Riconciliazione.
57. Non è il nostro compito, anche se è la cosa più importante.
58. Mi viene in mente la parabola del “Figliol prodigo”. Qui si trovano tutte le condizioni necessarie per fare una buona confessione: “l’esame di coscienza”, il “pentimento per il peccato commesso”, la “confessione delle proprie colpe”, il “proposito di non commettere più quel peccato” e la decisione di sottoporsi alla “penitenza”, alla soddisfazione della colpa commessa.
59. Quella parabola ci svela come si comporta Dio quando vede un figlio peccatore che decide di confessare il suo peccato e di non commetterlo più:
60. E tenendo presente che Dio si comporta in questo modo, che Dio è pieno di misericordia, e consapevoli del dono che Dio ha fatto alla Chiesa istituendo il Sacramento della Riconciliazione, io credo che noi possiamo trovare quella determinazione, possiamo vincere quel disagio, quelle paure q fare qui il proposito di confessarci frequentemente.
61. Grazie.

IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 64 – 66

 

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