Tre secoli di persecuzione dopo l’abbandono della fede cattolica da parte della Corona inglese. La sofferenza del popolo fedele alla Chiesa, la santità, il martirio e l’eroismo di molti. Il racconto di un episodio di reazione che renderà ancora più pesante la vita dei cattolici.
«Dovrei essere grato per essere stato allevato in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so; e questo lo debbo a mia madre, che ha tenuto duro dopo essersi convertita ed è morta giovane, a causa delle ristrettezze e della povertà che ne sono derivate». Così scriveva John Ronald Reuel Tolkien, descrivendo le persecuzioni di cui furono oggetto i suoi genitori dopo la conversione al cattolicesimo. La ragione di tale astio affonda le sue radici nel 5 novembre di quattro secoli fa. «Remember, remember, the fifth of november», recita una popolare filastrocca inglese e può stupire il fatto che, ancora oggi, si festeggi con spettacoli pirotecnici il fallimento della “Congiura delle polveri”, il tentativo di far saltare in aria il Parlamento britannico con la famiglia reale al completo, bambini compresi. C’è da chiedersi cosa possa aver originato un piano così disperato e la risposta va ricercata nella politica religiosa della Corona britannica da Enrico VIII in poi.
Il cattolicesimo britannico non cadde insieme alla testa di Thomas More o del cardinale John Fisher, entrambi martirizzati nel 1535 e successivamente canonizzati, ma, dopo aver dato i primi martiri, diede prova di saper combattere e ribellarsi contro un vero e proprio “terrorismo di Stato”, simile a quello adottato da tutti i sovrani europei del XVI secolo. L’Atto di Supremazia, col quale si consumò lo scisma con Roma nel 1536, portò anche alla distruzione e al saccheggio di chiese e monasteri e il popolo cattolico reagì ribellandosi per ben tre volte: prima col “pellegrinaggio di Grazia” contro Enrico VIII, poi con l’insurrezione del Devon, della
Cornovaglia e dell’East Anglia contro Edoardo VI e, infine, con la grande rivolta del Nord del 1569 quando, il giorno di Pentecoste, trecento armati a cavallo irruppero nella cattedrale di Durham, diedero alle fiamme le bibbie protestanti e celebrarono, con tutta la popolazione, una messa cattolica.
Il capo della rivolta era Thomas Percy, conte di Northumberland, figlio di un martire cattolico ma prode difensore della Corona contro gli scozzesi. Rotto ogni indugio, innalzò lo stendardo delle Cinque Piaghe di Cristo, mettendo Elisabetta in una situazione gravissima dalla quale ella uscì solo grazie a una tattica temporeggiatrice prima e a una spietata repressione poi.
Nell’aprile del 1570, quando ancora era in corso la rivolta nel Nord, papa san Pio V scomunicò Elisabetta e la dichiarò deposta dal trono. Per quanto tale atto fosse giustificato, a causa della politica oppressiva usata nei confronti della Chiesa cattolica, è indubbio che coloro che ne soffrirono di più furono i cattolici inglesi, in gran parte lealisti nei confronti della monarchia. La risposta di Elisabetta fu aspra e rapida: l’approvazione della scomunica era considerata passibile di pena capitale, l’assenza dalla messa domenicale anglicana punita con multe pesantissime, in modo da togliere i fondi a coloro che sostenevano le missioni clandestine dei gesuiti e molti nobili cattolici furono ridotti in rovina. I martiri furono centinaia e, tra essi, due vanno ricordati come vittime esemplari: il gesuita padre Edmund Campion che venne torturato, condannato a morte e sventrato, nonostante la propria fedeltà alla regina, tranne che in materia di Fede; e Margaret Clitherow di York, il cui crimine fu quello di ospitare sacerdoti ricercati e di far celebrare la messa in casa propria e che venne posta a terra con le braccia in croce, con una pietra appuntita sotto la schiena, e successivamente gravata di pesi fino a spezzarle la spina dorsale dopo un lungo quarto d’ora di atroce agonia. L’unica giustificazione per simile crudeltà sta nell’incubo di un’invasione spagnola, tentata e fallita dall’“Invincibile Armata” del re Filippo II nel 1588, oltre che dalla resistenza dei cattolici irlandesi all’occupazione britannica. Sempre in quel periodo, il potentissimo servizio segreto di Lord Francis Walsingham arruolò sul suo libro paga Giordano Bruno, infiltratosi nell’ambasciata francese e che, con lo pseudonimo di Fagot, denunciava i cattolici che cercavano di entrare in Inghilterra.
Alla morte di Elisabetta, il 25 marzo 1603, i cattolici attesero con grandi speranze un miglioramento della propria condizione da Giacomo VI di Scozia, figlio di Maria Stuarda: speranze infondate, perché il nuovo sovrano prima abolì le ammende e poi le reintrodusse, in nome di un cinico calcolo politico. Cinque giovani cattolici, la cui audacia fu superata solo dall’incoscienza, giurarono di vendicare i torti subiti con un’azione clamorosa: far esplodere la sede del Parlamento durante la sua inaugurazione e, insieme ad esso, anche la famiglia reale. Se il più famoso di loro, Guy Fawkes, era un soldato di ventura che aveva combattuto sotto bandiera spagnola, Thomas Percy, Thomas Wintour e John Wright erano nobili le cui famiglie erano state perseguitate mentre Robert Catesby, il quinto congiurato, aveva visto il padre processato e imprigionato per aver ospitato padre Edmund Campion. Affittata una casa la cui cantina era adiacente a quella della sede del Parlamento, i congiurati scoprirono ben presto che i lavori di scavo della galleria di mina erano più difficili del previsto, così che Thomas Percy dovette acquistare un’altra cantina. L’aumento delle spese costrinse i cinque ad allargare il numero dei congiurati ad amici e parenti. John Wright coinvolse il fratello Cristopher, Catesby il proprio fidato servitore Thomas Bates, mentre Thomas Wintour fece partecipe del complotto il fratello Robert. A questi si aggiunsero John Grant, sir Everard Digby, Robert Keyes, Ambrose Rookwood e Francis Tresham, tutti con legami di parentela tra loro. Di quella comunità di cattolici facevano parte anche due gesuiti, padre Thomas Garnet e padre John Gerard, assai diversi per temperamento e abilità: mentre Garnet era un uomo mite e inoffensivo, per quanto sopportasse i disagi della clandestinità con indefettibile coraggio, padre Gerard mascherava la propria identità facendosi passare per gentiluomo, grazie alla propria abilità nella falconeria e nella scherma.
Proprio padre Gerard, per quanto fosse stato perseguitato dalla Corona, informò le autorità di un complotto organizzato da alcuni cattolici, detto Bye Plot, sventandolo.
Man mano che il numero dei congiurati si estendeva, aumentavano anche le possibilità di un tradimento o di una fuga di notizie.
Quando mancavano dieci giorni all’apertura del Parlamento, il 26 ottobre 1605, una lettera fu recapitata al cattolico William Parker, lord Monteagle: questi la ricevette mentre stava cenando e, avendo le mani sporche, la fece leggere ad alta voce. Il contenuto era spaventoso: Monteagle veniva avvertito di non presentarsi in Parlamento, giacché una grande calamità l’avrebbe distrutto con tutti i suoi membri. Monteagle informò subito il segretario di Stato, Robert Cecil, ma non ci furono reazioni da parte del governo. Appare assai verosimile che la lettera di Monteagle fosse un falso, fabbricato dai servizi segreti, fatto leggere apertamente dal destinatario così che tutti potessero sentire: tutto ciò allo scopo di mettere sotto pressione i congiurati, sull’opera dei quali si avevano già numerosi elementi ma ancora nessuna prova schiacciante. Il vero obbiettivo di sir Cecil, infatti, era quello di stabilire un collegamento tra i congiurati e i gesuiti, al fine di sradicare l’opposizione cattolica. Tale collegamento, in effetti, esisteva, non tanto perché padre Henry Garnet e padre John Gerard fossero parte attiva nel complotto, quanto perché è probabile che avessero saputo dell’attentato e non lo avevano rivelato alle autorità in quanto vincolati al segreto della confessione. Tale atteggiamento di sir Cecil ha fatto pensare a una provocazione del governo, ma ciò appare piuttosto improbabile, a meno che non si voglia ricorrere a teorie complottiste degne di quelle riguardanti gli attentati dell’11 settembre 2001.
I preparativi continuarono fino a che, la notte del 4 novembre, Guy Fawkes si recò nella cantina per verificare lo stato dei 36 barili di polvere che dovevano esplodere il giorno dopo. Una pattuglia di guardiani lo attendeva al varco e Fawkes venne immediatamente tradotto in carcere dove fu spietatamente torturato. Fawkes, con eroica abnegazione, tacque per giorni, al fine di permettere ai suoi compagni di prendere la fuga. Questi si riunirono in un gruppo di qualche decina di uomini, forse anche sessanta, tutti ben armati ed equipaggiati. I fuggitivi si fermarono ad Holbeche, nello Staffordshire, la sera del 7 novembre e, quella stessa notte, per uno sfortunato incidente, alcune cariche di polvere, messe ad asciugare vicino al fuoco, esplosero ferendo diversi congiurati. La mattina successiva la maggior parte di essi si diede alla fuga e solo i capi rimasero coi feriti. Nella tarda mattinata dell’8, un nutrito squadrone di poliziotti circondò l’abitazione, ingaggiando un furibondo conflitto a fuoco. I congiurati, tutti provetti spadaccini e combattenti, si difesero fino all’estremo, ma furono soverchiati dal numero. Catesby, Thomas Percy e i fratelli Wright caddero nello scontro e gli altri furono presi prigionieri, incarcerati e sottoposti a tortura. Nessuno dei prigionieri ammise il coinvolgimento di padre Garnet e dei suoi assistenti e, col loro silenzio, salvarono i cattolici inglesi da persecuzioni ben peggiori, senza scaricare su altri la responsabilità dei propri atti. Dopo un rapido processo furono tutti condannati a morte, eccetto Francis Tresham, morto nella Torre di Londra per un’infezione alle vie urinarie. Il 30 gennaio 1606 Everard Digby, Robert Wintour, John Grant e Thomas Bates furono condotti al patibolo, sdraiati bocconi su un carretto «perché non meritavano di respirare l’aria di tutti» e sottoposti alla pena prevista per i traditori: parziale impiccagione, slogamento delle articolazioni e squartamento. Il giorno dopo toccò a Thomas Wintour, Robert Keyes, Guy Fawkes e Ambrose Rookwood: quest’ultimo, fece la strada a occhi bassi poi, giunto davanti alla propria abitazione, sollevò lo sguardo più che poté e, vedendo sua moglie alla finestra gridò: «Prega per me! Prega per me!». «Sì lo farò – rispose la giovane – e tu porta coraggio! Offriti a Dio! Io, per conto mio, ti restituisco a Dio liberamente come Lui ti ha dato a me!». Pochi giorni prima era stato catturato padre Garnet, mentre padre Gerard era riuscito a fuggire in Francia. Assieme a Garnet era stato catturato Nicholas Owen, un laico esperto nella costruzione di nascondigli, ma Owen morì sotto tortura, senza rivelare alcuno dei suoi segreti: totalmente estraneo alla congiura, nel 1970 Nicholas Owen è stato beatificato dalla Chiesa cattolica come martire della fede. A padre Garnet toccarono prigione, torture e l’inevitabile esecuzione, oltre al tentativo di infangare la sua reputazione durante il processo. L’alba del 3 maggio 1606, Garnet salutò i suoi carcerieri che ricambiarono l’affetto che il gesuita si era conquistato durante la detenzione. Le sue ultime parole, fiere e dignitose, disarmarono totalmente gli astanti dalla consueta brama di vedere un uomo squartato vivo e vi fu più d’uno che gli tirò i piedi durante l’impiccagione, riuscendo ad accelerarne la morte e a evitargli ulteriori sofferenze.
Cominciava, per i cattolici inglesi, una notte lunga almeno tre secoli.
BIBLIOGRAFIA
Antonia Fraser, La congiura delle polveri. Attentato al re, in nome di Dio nell’Inghilterra del Seicento, Mondadori, 2000.
Alberto Leoni, Storia militare del cristianesimo, Piemme, 2005.
IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 22 – 24