Se aneliamo a Cristo, possiamo incontrarlo nella vita di tutti giorni.
E questo incontro ci fa passare dalle tenebre alla luce.
Accade – oggi come allora – sulla via di Damasco.
«Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti». Con queste parole San Paolo, negli Atti degli apostoli, descrive il suo incontro con Cristo, un incontro destinato a cambiare tutta la sua vita.
Benedetto XVI ha dedicato a San Paolo numerose udienze del mercoledì, additandolo quale «strumento prescelto da Dio» e «gigante non solo sul piano dell’apostolato concreto, ma anche su quello della dottrina teologica». Il Santo Padre, parlando di quanto Gesù Cristo possa incidere nella vita di un uomo e quindi anche nella nostra stessa vita, ha posto un interrogativo di fondo: «come avviene l’incontro di un essere umano con Cristo? E in che cosa consiste il rapporto che ne deriva?».
Nell’avvicinamento alla figura di San Paolo può essere di grande aiuto il genio artistico di Caravaggio, che ha rappresentato la Conversione di San Paolo in un celebre dipinto realizzato tra il 1600 e il 1601 per la chiesa di S. Maria del Popolo a Roma, ove è tuttora conservato.
Si tratta di un dipinto non molto grande, in cui Caravaggio condensa l’episodio della conversione di San Paolo in uno spazio ridotto: il quadro raffigura San Paolo riverso a terra dopo la caduta, con le braccia spalancate, a poca distanza dal cavallo che l’ha disarcionato e dal suo palafreniere che tenta di calmarlo.
Paolo è dunque sorpreso nel momento più drammatico della sua vita, nell’attimo in cui accoglie il Cristo che gli si svela in modo inaspettato: un momento straordinario, in cui il Dio misterioso si fa incontro ad un uomo che, dopo aver accanitamente perseguitato i cristiani, diventerà l’Apostolo delle genti, fedele e instancabile testimone di Cristo fino alla morte.
L’opera di Caravaggio costituisce un prezioso aiuto per immedesimarsi con il Santo e farsi illuminare dal suo esempio di vita: infatti, se la figura di Paolo è di per sé commovente e affascinante per la dedizione del suo apostolato, il genio artistico del pittore ci fa capire che la sua vicenda può riproporsi nella nostra vita presente. L’incontro tra Cristo e Paolo è descritto con un’originale inquadratura in cui le figure sembrano a stento comprese in uno spazio estremamente ridotto, quasi compresso: tale soluzione figurativa, eliminando tutti gli elementi superflui del contesto, da una parte rende particolarmente intensa e drammatica la raffigurazione dell’avvenimento, dall’altra sembra quasi voler concentrare l’attenzione sullo spazio del quotidiano, raffigurato dall’atmosfera immobile della stalla e dalla presenza del cavallo e dello staffiere.
In questi aspetti Caravaggio dimostra di avere ereditato la sensibilità propria del naturalismo lombardo: nessuna rappresentazione esplicita di Cristo, nessuna immagine soprannaturale, bensì, semplicemente, la rappresentazione della realtà concreta e ordinaria, trafitta però da una luce metafisica, divina.
Lo spazio della vita quotidiana, dunque, ma segnato dall’irrompere di un evento eccezionale, che non si impone con la perentorietà di apparizioni angeliche ma squarcia il buio della realtà e ci interpella.
Tutti noi, sembra dirci Caravaggio, possiamo incontrare Cristo nella vita di tutti i giorni: poiché il trascendente è inscindibilmente legato al quotidiano, è una luce in grado di rischiarare tutto, che ci chiede di essere accolta con lo stesso abbandono di Paolo.
Questo abbandono, tuttavia, non è una resa passiva, bensì il frutto di una ricerca, di una domanda mai sopita del cuore che incontra, infine, Colui per il quale è fatto: Caravaggio doveva aver intuito tutto questo, dato che ha rappresentato Paolo non nel gesto di difendersi dalla luce che lo investe, come sarebbe naturale in chi fosse improvvisamente accecato e disarcionato, ma nell’atto di protendersi con le braccia verso questo misterioso Qualcuno che ancora non conosce. A occhi chiusi, Paolo pronuncia la domanda di ogni uomo «Chi sei, o Signore?»: avanti a sé Paolo sa di avere il Signore, ma ancora non ne conosce il volto. L’ha cercato, anela a Lui – sappiamo, infatti, che Paolo era un giudeo osservante, fino al fanatismo – e ora che l’ha di fronte si protende verso questa Presenza che gli sta venendo inaspettatamente incontro.
Un incontro dell’anima e del cuore, se è vero come dice, sempre negli Atti degli apostoli, lo stesso Paolo: «quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava». È solo l’attesa del cuore che consente di vedere Cristo quando ci si fa incontro: così, mentre taluni sono «ghermiti da Cristo» – come Paolo stesso ricorda nella Lettera ai Filippesi 3,12 – altri, pur presenti all’Avvenimento di Cristo, non Lo vedono, come il palafreniere dipinto da Caravaggio. L’uomo può vivere, insomma, del tutto indifferente a Cristo che viene; può rimanere inconsapevole della sua presenza, come la natura che lo circonda, rappresentata dal cavallo di Paolo. Può invece riconoscere Cristo e accoglierLo con totale abbandono e dedizione, come Paolo.
Caravaggio, con la sua radicalità artistica e la sua irrequietezza esistenziale, sembra ricordarci con chiarezza che da questo riconoscimento dipende la vita tutta: è questo incontro, infatti, che decide dell’esistenza di ciascuno, che consente il passaggio dalle tenebre alla luce.
Di qui il ruolo straordinario attribuito dal pittore alla luce, che determina la struttura del quadro non meno del disegno e del colore. La luce della grazia che colpisce Paolo fino a farlo cadere da cavallo è la vera protagonista del quadro come della realtà: essa esalta la corazza e il mantello del Santo facendone rifulgere i toni rossi, che nella tradizione cristiana simboleggiano sia la divinità (da cui Paolo viene investito e rivestito) sia il martirio, profezia della morte del Santo.
È questa luce simbolica che mostra la verità delle cose, facendole emergere dall’ombra ove normalmente sono confinate. Nella scena della conversione, infatti, lo spazio è diviso in due dal corpo del cavallo: nella parte antistante, ove regna l’abbandono a Dio, vi è la luce; al di là – fuori di questo rapporto – vi è solo il buio. Per Caravaggio, dunque, l’incontro-scontro di San Paolo con Cristo simboleggia il dramma di ogni uomo. Non vi sono parole più adatte a descrivere questa dinamica se non quelle di Benedetto XVI: «ciò che conta è porre al centro della propria vita Gesù Cristo, sicché la nostra identità sia contrassegnata essenzialmente dall’incontro, dalla comunione con Cristo e con la sua Parola. Alla sua luce ogni altro valore vie-ne recuperato e insieme purificato da eventuali scorie» (udienza del 26 ottobre 2006).
Ricorda
«Ci vuole molto coraggio per fare ciò che è ordinario e colui che mostra molto coraggio è certo un eroe».
(Sören Kierkegaard, Aut, Aut, Adelphi 1989, vol. V. p. 204).
Bibliografia
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Maurizio Marini, Michelangelo Merisi da Caravaggio “pictor praestantissimus, Newton Compton, 1987.
Sergio Samek Lodovici, Vita del Caravaggio dalle testimonianze del suo tempo, Ed. del Milione, 1956.
IL TIMONE – N.64 – ANNO IX – Giugno 2007 pag. 50-51