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13.12.2024

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La crisi della paternità
31 Gennaio 2014

La crisi della paternità

 

 

Oggi è in crisi la figura del padre. Le cause sono lontane nel tempo, ma dal Sessantotto il processo è accelerato. Ora si comincia a parlarne. E questo è un piccolo segno che non tutto è perduto. Intervista a Roberto Marchesini

 

Arrivederci maschio… Ma è davvero un progresso, questa scomparsa della paternità e della virilità (intesa in senso non solo sessuale) che si nota in giro? Oppure la sconfitta dell’uomo, presentata come una conquista femminile, non si sta trasformando in un boomerang per le donne stesse? Ne sembra convinto Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, consulente e formatore che ha nel carnet il recentissimo libro Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità (Sugarco) nonché il manuale Come scegliere il proprio orientamento sessuale (o vivere felici) (Fede & Cultura).

È ormai parecchio che si parla di «crisi del maschio» e di «scomparsa del padre». Ma si tratta poi dello stesso fenomeno?

«No, ma le due cose sono senz’altro legate. Basti considerare che il padre ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’identità maschile. Il padre costituisce per il figlio un modello, cioè qualcuno nel quale identificarsi; è il padre che per primo fa capire al figlio chi è, cosa e come fa un uomo. Se il padre è un modello non raggiungibile, o se non è per nulla un modello, ecco che il bambino trova una difficoltà (certo, non insuperabile) nel suo percorso alla ricerca dell’identità maschile».

Di solito si attribuisce la debolezza della figura maschile al Sessantotto o al femminismo più agguerrito. Non si tratta ormai di un riferimento un po’ troppo comodo, al limite dell’alibi, visto il tempo trascorso?
«In effetti sono passati più di quarant’anni, e può sembrare strano che un fenomeno attuale abbia origini tanto remote. Ma se pensiamo la crisi dell’identità maschile come l’esito di un processo, come logica conseguenza di certe premesse, i conti tornano. Il Sessantotto è stata una ribellione contro il principio di autorità e le diseguaglianze, non solo in campo economico ma anche antropologico. Il principio di autorità fu incarnato e contestato nella figura paterna, la famiglia criticata in quanto struttura sociale gerarchica, le diseguaglianze sessuali furono demonizzate: accanto a “Vietato vietare” e “L’immaginazione al potere”, comparve lo slogan “Né padri né padroni”. Non sembra un’idea peregrina identificare il Sessantotto come il momento in cui la figura del padre ha perduto autorevolezza e parte della sua dignità, e a partire dal quale le caratteristiche virili (onore, forza, assertività…) hanno perso attrattiva. Ma se vogliamo cercare gli antecedenti della scomparsa del padre possiamo andare ancora più lontano, ad esempio alla Rivoluzione francese».

Addirittura?
«Forse il più importante – tra i tanti – gesto simbolico della Rivoluzione francese fu la decapitazione di Luigi XVI. I rivoluzionari intesero distruggere con un gesto simbolico e cruento il principio stesso di autorità naturale in ogni sua forma, compresa l’autorità paterna. Come scrisse Balzac: “Tagliando la testa a Luigi XVI, la Rivoluzione ha tagliato la testa a tutti i padri di famiglia”. Non è un caso se i giacobini stabiliscono che i maggiorenni non saranno più sottoposti alla patria potestà; e che i figli saranno allevati dallo Stato e non più dalle famiglie. Non è un caso nemmeno se proprio durante la Rivoluzione francese nasce il femminismo: nel 1791 Olympe de Gouges pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina; e l’anno successivo, in Inghilterra, Mary Wollstonecraft diede alle stampe il suo Rivendicazione dei diritti della donna, nel quale l’autrice applica gli ideali rivoluzionari alla condizione femminile».

Viceversa lei nota per caso qualche segno di riscatto maschile, negli ultimi tempi?
«Le difficoltà legate all’identità maschile sono diventate oggetto di discussione e, se da un lato non è un buon segnale (perché significa che il problema esiste), dall’altro è positivo perché è iniziata una riflessione sull’identità maschile, spesso data per scontata. Altro segno di riscatto sono i blog e siti dedicati all’argomento, e diversi gruppi che negli Stati Uniti propongono attività e vacanze alla scoperta dell’identità maschile. So che quest’ultima esperienza è stata importata con un certo successo, anche in Italia. Purtroppo però non vedo, nella nostra società, gli effetti di questo lavoro: il politicamente corretto domina (anche con metodi autoritari) il pensiero contemporaneo, e la virilità è senz’altro una virtù politicamente scorretta».

Cosa consiglierebbe a un educatore per crescere i padri del futuro?
«Credo che il miglior metodo educativo sia l’esempio, quindi consiglio agli educatori di scoprire ed alimentare la propria virilità. Non servono molte parole, ma suggerisco di “fare” insieme ai ragazzi. Sport ed amicizie maschili sono un ottimo strumento di crescita».

Forse non si sottolinea abbastanza che, da un maschio «debole», non ci guadagna nessuno: nemmeno l’indipendenza e l’autonomia delle donne…
«Infatti. Mancando un ruolo maschile nella società e un ruolo paterno in famiglia, spesso alle donne è chiesto di riempire questo vuoto. Senza però rinunciare a svolgere il loro ruolo naturale, cioè quello femminile. Tutto questo comporta, ovviamente, una fatica notevole per le donne. Non solo: l’uomo ha un compito anche nei confronti delle donne: amarle, proteggerle, desiderarle. Un maschio fragile difficilmente potrà svolgere un ruolo protettivo verso la donna. Da un’inchiesta pubblicata nel marzo 2008 dal mensile Playboy emerge che il 71 % delle donne italiane “rimpiangono il maschio di una volta”, soprattutto per le sue caratteristiche virili, in particolare “i modi un po’ bruti e risoluti anche con la partner” (ma che le fanno sentire “protette”) e “il fare da spaccone” (54%), “l’aria trasandata” (43%). Secondo la stessa inchiesta, il giudizio sul maschio contemporaneo è impietoso; “troppo effeminato” (52%), “mammone” (51%) e “permaloso” (39%), “ossessionato dalla cura per il suo corpo ed esageratamente attento all’estetica” (52%), un “eterno bambino” (56%) “incapace di prendere decisioni” (44%)».

C’è responsabilità anche della Chiesa nella crisi dei padri? Voglio dire: mai come dopo il Concilio è stata enfatizzata la paternità di Dio, eppure la figura maschile si è indebolita al massimo… Esiste un legame tra i due dati?
«Il discorso è complesso e delicato. Innanzitutto è necessario dire che, dall’ultimo Concilio ma non a causa dell’ultimo Concilio, è cambiata l’immagine del sacerdozio. Sono dell’opinione che ciò abbia attirato nei seminari candidati non idonei e che questo abbia contribuito in maniera decisiva ai brutti fenomeni che hanno “sfigurato il volto della Chiesa” negli ultimi anni. Dall’altro lato, abbiamo avuto la figura luminosa di Giovanni Paolo II, del quale il filosofo francese Pierre Manent diede questa interpretazione: “Wojtyla ha dato del papato un’immagine virile. Ha incarnato la figura del padre non solo ai fedeli, ma anche ai laici, agli uomini tutti”. In ogni caso, il magistero della Chiesa su questo argomento tocca livelli altissimi; basti ricordare il ciclo di catechesi dedicato alla sessualità umana tenute dallo stesso Giovanni Paolo II tra il 1979 e il 1984, oppure la splendida Lettera sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo firmata il 31 maggio 2004 dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger».

 

 

 

Dossier: IL MISTERO DELLA PATERNITÀ DIVINA

 

IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 42 – 43

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