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12.12.2024

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La cultura dello scarto
31 Gennaio 2014

La cultura dello scarto


Ogni creatura è buona, perché pensata, voluta e amata da Dio. Per questo nessuno è un rifiuto

«Le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti», ha detto il Papa Francesco il 5 giugno a Roma, aggiungendo: «Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro – o non serve più – come l’anziano».
Sono parole che ci introducono con forza nel mistero della difesa della vita e Papa Francesco mostra il reale nemico con il quale dobbiamoconfrontarci: una certa cultura che respiriamo, appestata da decenni e decenni di quello che Benedetto XVI chiamava con riferimento filosofico “relativismo etico”, e lui, sottolineando l‘aspetto sociologico, “cultura dello scarto”.

Cultura del rifiuto

Non possiamo non notare che la nostra è la prima generazione che crea rifiuti; finora l’idea stessa di “rifiuto” era sostanzialmente sconosciuta, perché si cercava di trasformare, riciclare e riutilizzare tutto.
Cinquant’anni fa non si vedeva gente uscire di casa carica di sacchi di spazzatura; oggi è prassi comune, vivendo tutti in una società che crea per distruggere, che non è affezionata a quello che produce ma solo al rendimento, in barba al consumo e allo spreco. Così è nata l’idea di rifiuto, che ben presto è diventata un problema sociale, sia per l’inquinamento che provoca sia per la perdita di materiale che viene buttato e che spesso è ancora efficiente. Ma la “società del rifiuto” che consuma e scarta finisce per coinvolgere le stesse persone. Molti, infatti, finiscono per essere esclusi, anzi per essere considerati “non-persone”. Ridurre gli individui a una visione utilitaristica e considerarli solo come consumatori non è solo un problema morale, ma anche un problema per la medicina, come spiega il Journal of Intellectual Disabilities (2012), parlando di un’illusoria utilità del mondo consumista per chi non è “normodotato”, e dunque non “consuma” quello che la pubblicità indica e quello che la “crescita del PIL” richiede.

Un terreno fertile?

La cultura dello scarto (o del rifiuto) rende il mondo invivibile e di questo si rendono conto anche personaggi di estrazione culturale laica.
Zygmunt Bauman, sociologo polacco, spiega che accanto a quelli urbani, la società consumistica produce “rifiuti umani”, entrambi assimilati da una presunta inutilità e alla fine anche l’uomo diventa un rifiuto, uno scarto così come disabili, bambini non voluti, poveri. L’uomo non perfetto, oggi, diventa scarto della società.
Nel mondo del cinema, spicca il film “Asini” (1999), in cui Italo (Claudio Bisio) è un quarantenne milanese che vive alla giornata ed è chiamato quasi per caso a insegnare ginnastica in un convento francescano che raccoglie asini (animali da lavoro sempre più indesiderati e inutilizzati) e che dà rifugio a ragazzi orfani e problematici (“asini” anche loro, ma in un altro senso). A contatto con questa realtà insolita, Italo tenta di dare ai ragazzi un ruolo nella vita (insegnando loro a giocare a rugby), scoprendo così, allo stesso tempo, il senso della propria: tre “periferie” dell’esistenza che diventano scarti, quella del protagonista, quella degli animali e quella dei bambini, ma che uno sguardo buono sa redimere.
Un altro film che si basa sull’avversione alla cultura del rifiuto è “Si può fare” (2008). Troviamo ancora Bisio nei panni di Nello, un sindacalista che viene trasferito alla Cooperativa 180, una delle tante sorte per accogliere i pazienti dimessi dai manicomi. Dopo alcuni attriti iniziali con i pazienti, Nello decide di spiegare loro il vero spirito di una cooperativa, invitandoli a passare dal lavoro meramente assistenziale a quello di una vera e propria impresa, diventando posatori di parquet. Dopo un primo tentativo, fallito per inesperienza, riescono ad ottenere un appalto in un atelier d’alta moda, ma il giorno della scadenza della consegna finisce il legno. Luca e Gigio (Giovanni Calcagno e Andrea Bosca) decidono così, vista anche la loro abilità artistica, di usare degli scarti per realizzare un pannello raffigurante una stella e coprire così l’intero pavimento. L’idea, oltre a essere apprezzata, si fa strada e la cooperativa ottiene un numero sempre crescente di appalti. In entrambi i film, si afferma il principio che nulla e nessuno è “un rifiuto”: né i bambini con disagio sociale o i quadrupedi del film “Asini”, né i disabili mentali o i pezzi di legno scartati per il parquet di “Si può fare”.

L’esperienza di Calvino
Infine, come non citare un libro che compie oggi proprio 50 anni e merita di essere riletto? Parliamo di “La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino. La storia narrata è quella di un militante politico comunista mandato a fare lo scrutatore elettorale in un seggio presso l’istituto del Cottolengo di Torino in cui si raccolgono casi di estrema gravità clinica, spesso inguaribili, rifiutati dalla società, seguiti solo dall’istituzione religiosa: «Nel crudele gergo popolare, quel nome era divenuto per traslato epiteto derisorio per dire deficiente, idiota, anche abbreviato secondo l’uso torinese, alle sue due prime sillabe: cutu».
Lo scrutatore impatta nella realtà della malattia curata con dedizione e grazia tra le mura di quell’antica istituzione e lo scrutatore comincia a guardare i malati gravi che lo circondano in quell’improbabile situazione con occhi nuovi: «L’idiota e il cittadino cosciente erano uguali in faccia all’onniscienza e all’eterno, la storia era restituita nelle mani di Dio (…); porre la bellezza troppo in alto nella scala dei valori, non è già il primo passo verso una civiltà disumana che condanna i deformi ad essere gettati da una rupe?». I suoi pensieri si interrompono con una brusca telefonata della fidanzata Lia: è incinta. E da questo momento, le domande su cosa è umano passano sulla creatura appena concepita, domande che abbracciano il concepito e il disabile, fino a capire che nell’analisi fatta dalla sua ideologia mancava qualcosa: «E pensò: ecco, questo modo di essere è l’amore (…) gli sembrò di aver capito come nello stesso significato della parola amore potessero stare insieme una cosa del genere di quella sua con Lia e la muta visita domenicale al Cottolengo del contadino al figlio». Grazie a questa riflessione, inizia a ribellarsi alla possibilità che Lia vada a Liverpool ad abortire. Anche in questo caso, le periferie esistenziali del feto appena concepito e dei disabili si intrecciano e il protagonista si oppone alla società dello scarto che vorrebbe occultare entrambe le situazioni.

Incontrare senza cedere

Sono esempi di chi sente che i limiti dell’ideologia liberista oggi dominante sono angusti, ma spesso non sa trovare un’uscita. Papa Francesco, parlando di cultura dello scarto, tende una mano a chi soffre questa asfissia in un mondo che divide le persone in “utili” e “inutili”; e, proprio perché addita la cause, non cede sulla messa in guardia verso gli effetti infausti. E aspetta con pazienza e passione che chi soffre per una società che emargina arrivi a lottare contro tutte le emarginazioni, dalla soppressione del concepito allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Mettendo in guardia ciascuno di noi a non essere “settoriali” in questa impresa: la battaglia per la vita deve essere anche per noi la lotta contro ogni emarginazione, non solo contro alcune.
Individuato il nemico – la cultura dell’usa-e- getta – diventa più facile per tutti indirizzare i propri sforzi per un’umanità migliore, più accogliente e meno egoista. Quanto è distante la cultura dello scarto da quella che ha creato l’Europa e favorito il progresso culturale del mondo, ben riassunta nelle parole di San Paolo che compendiano lo stupore e l’amore verso il creato: «Omnis creatura bona»: “ogni creatura è buona”. Dio non sbaglia: per questo nulla e nessuno è un rifiuto.


Ricorda

«Se avete paura del bambino che sta per nascere, datelo a me, ne avrò cura io; e Dio si
prenderà cura di lui».
(Madre Teresa di Calcutta, parole pronunciate a Firenze, 13 maggio 1981).

IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 52 – 53

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