Cristo non fu venerato come Dio per una decisione dell’imperatore, come dice Dan Brown, bensì fin dall’inizio del cristianesimo. Lo testimoniano anche i pagani.
E i cristiani non hanno copiato il mitraismo.
Secondo il Codice da Vinci, i Cristiani non venerarono subito Cristo come Dio, ma solo a partire dal Concilio di Nicea (325), presieduto dall’imperatore Costantino: la divinità di Cristo fu decisa mediante una votazione ristretta, perché era indispensabile per il funzionamento della Chiesa e dello Stato.
Questa affermazione è priva di qualsiasi fondamento storico.
Infatti, chi non crede può non accettare la divinità di Gesù, ma nessuna persona seria può affermare che la fede dei Cristiani in tale divinità sia cominciata solo con Costantino e col Concilio di Nicea del 325: essa è già presente, infatti, nei Vangeli canonici, la cui composizione, anche per la critica più oltranzista, non è in ogni caso più tarda del I secolo, ed è ben nota ai pagani almeno fin dai primi decenni del II secolo.
La coscienza che Gesù ha di essere Dio è attestata da Marco, che scrive, secondo ciò che affermano autorevoli scrittori cristiani (Papia di Gerapoli e Clemente) agli inizi del regno di Claudio, nell’anno 42, e che pone all’inizio della sua predicazione, nell’episodio del paralitico di Cafarnao, la reazione scandalizzata degli scribi presenti alle parole di Gesù («Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati») che essi giudicano una bestemmia (perché «Chi può rimettere i peccati se non solo Dio?», Marco 2,5-7); lo stesso episodio si trova in Matteo (9,2-3) con l’accusa di bestemmia e in Luca (5,21). Altrettanto significativi sono i passi in cui Gesù si proclama padrone del sabato (Matteo 12,8: «Il Figlio dell’Uomo è padrone del sabato»; cfr. Marco 2,27-28 e Luca 6,9), più grande del Tempio (Matteo 12,6).
Sono proprio tali affermazioni che stanno alla base dell’accusa di bestemmia per la quale il Sinedrio riterrà Gesù degno di morte. Importantissima per la coscienza che Gesù rivela di Sé è la risposta che Egli dà agli scribi sul Cristo figlio di Davide, con la citazione del salmo 110: «Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra finché io metta i tuoi nemici sotto i tuoi piedi» e la sottolineatura di quel «Signore» (kyrios), epiteto di Dio. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi; essi divengono ancor più numerosi ed espliciti se, dai vangeli Sinottici, passiamo a Giovanni, a partire dal famoso prologo: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Altrettanto importante è la risposta ai Giudei su Abramo: «Prima che Abramo fosse, Io sono» (Giovanni 8,58). I discepoli, dopo la Resurrezione ne riconoscono la divinità nella nota confessione di Tommaso: «Signore mio, Dio mio» (Giovanni 20,28-29).
Che i Cristiani adorassero Cristo come un Dio, i pagani lo sapevano perfettamente: Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, ebbe occasione nel 112-113 d.C. di condurre, sulla base delle molte denunce a lui giunte, processi anticristiani e ne scrisse a Traiano per avere istruzioni: la lettera di Plinio a Traiano e la risposta di Traiano a Plinio sono documenti fondamentali a noi giunti sul Cristianesimo dei primi secoli e sono conservati nell’epistolario pliniano (Epistulae, X, 96-97). Egli descrive l’assemblea liturgica dei Cristiani, celebrata in un giorno stabilito, prima dell’alba ed applica ad essa, per la prima volta, il termine sacramentum; particolarmente importante, ai fini del nostro discorso, è l’affermazione che all’inizio della loro riunione i Cristiani «cantano a Cristo un inno come ad un Dio» (Carmenque Christo quasi deo dicere, ibidem, X, 96-97).
Ma già prima di Plinio la testimonianza della conoscenza da parte dei Romani dell’adorazione di Cristo come Dio ci viene da un altro documento ufficiale, il cosiddetto editto di Nazareth, identificabile con un editto neroniano, che punisce chi viola le tombe spostando le pietre tombali e trasportando dolosamente i defunti in altro luogo, e giustifica l’applicazione, del tutto inusitata, della pena di morte per reati di questo tipo, i quali sono forme di empietà verso gli dei, a causa «dell’adorazione di uomini». L’editto di Nazareth fa propria l’accusa giudaica ai discepoli (accusa «viva – dice Matteo 28,15 – fino ad oggi», cioè presumibilmente fino all’epoca di Nerone) di aver sottratto dal sepolcro il corpo di Cristo.
Meritano la nostra attenzione altre due notizie: la prima è la proposta, fatta in senato nell’anno 35, secondo Tertulliano (cfr. Apologeticum V, 2), dall’imperatore Tiberio, sulla base della relazione di Pilato (che «gli aveva annunziato dalla Palestina di Siria i fatti che là avevano rivelato la veridicità della divinità di costui» [cioè di Gesù]: «adnuntiatum sibi ex Syria Palaestina, quod illic veritatem istius divinitatis revelaverat»), di riconoscere la liceità del culto di Cristo (il cui rifiuto, da parte del senato, fornì a Nerone la base giuridica per la persecuzione: dell’autenticità di questa notizia ho scritto ampiamente altrove); la seconda è la rimodellazione nell’Ercole Eteo (tragedia di un autore senechiano del I secolo), di Ercole su Cristo, con la ripresa di espressioni evangeliche, con la risurrezione dell’eroe e con l’assunzione di esso fra gli dei (versi 1981-2 «novumque templis additum numen»: «un nuovo nume da aggiungere nei templi», secondo la formula pagana scelta da Tiberio per il riconoscimento del culto cristiano, formula ripresa poi, senza successo, da Severo Alessandro).
Secondo Dan Brown il cristianesimo non è originale, bensì è una ripresa del culto di Mitra, un dio solare pre-cristiano. Anche questa volta si tratta di un falso.
Infatti, la presunta dipendenza del Cristianesimo dal Mitraismo è un’ipotesi priva di ogni fondamento ed è oggi superata: è vero, invece che il culto mitraico, di origine iranica, ma ampiamente diffuso in Occidente dal I secolo d.C. in poi, come attestano i numerosi mitrei [luoghi sotterranei di culto] ritrovati e le iscrizioni, fu tra gli antagonisti pagani del Cristianesimo.
Mitra era un dio solare, con caratteri ben precisi, ma non era la sola divinità solare venerata nell’impero romano: in età Severiana il Bal (Sole) di Emesa acquista un peso particolare nel Pantheon romano, suscitando, per le intemperanze di Eliogabalo, la reazione della religione tradizionale, ma divenendo anche occasione di tolleranza religiosa. L’adorazione del Sole, spogliato dalle caratteristiche delle divinità orientali, e identificato con il summus deus dai molti nomi, onnipotente, onnisciente, provvidente, diventa per tutto il III secolo e sino agli inizi del IV, dai Severi a Gallieno, a Costanzo Cloro, a Costantino prima del 312, il simbolo di una nuova politica religiosa, improntata alla tolleranza. Già Tertulliano, nell’Apologetico, scritto tra la fine del II e gli inizi del III secolo, confutando i fraintendimenti caricaturali del culto cristiano da parte dei pagani, dopo aver ricordato l’accusa ai Cristiani di adorare una testa d’asino (Apologeticum, XVI, 1 e sgg.), afferma che altri, più umani, dicono che i Cristiani adorano il sole, ma non perché i cristiani adorino l’astro celeste, bensì solo perché pregano rivolti verso oriente e celebrano in letizia il giorno del sole (la domenica) e spiega poi (Apologeticum, XVII-XXI), ampiamente, la fede cristiana nel Dio unico, creatore e padre di Cristo, il logos, di cui già parlavano i filosofi, «deus […] et dei filius et unus ambo» («Dio e figlio di Dio e nondimeno un solo Dio»). I Cristiani, che vedevano in Cristo il Sol Iustitiae, annunciato dai Profeti e dal canto di Zaccaria, non disdegnavano nella loro iconografia immagini e simboli solari, come il Cristo sulla quadriga solare del sepolcro cristiano dei Giulii e il Cristo Pantocrator. Ma non c’era alcuna somiglianza con le divinità solari dei romani: i cristiani utilizzavano il sole esclusivamente come simbolo di Cristo, ma si guardavano bene dal ritenere che l’astro solare fosse Dio. La stessa conversione di Costantino fu, come rivela proprio il racconto dell’imperatore nella Vita Costantini di Eusebio, un passaggio dal summus Deus all’unus Deus: il Dio dai molti nomi ha adesso un nome: Cristo.
La Bibbia, i culti pagani e il femminismo
Vediamo altre affermazioni del Codice da Vinci (pp. 271-275).
«La Bibbia come noi la conosciamo oggi è stata collazionata dall’Imperatore romano pagano Costantino»; «alcuni vangeli che Costantino voleva mettere al bando riuscirono a sopravvivere, tra questi i Rotoli del Mar Morto. […] La Chiesa ha cercato di impedire la diffusione di questi testi»; «Nel cristianesimo non c’è nulla di originale. Il dio precristiano Mitra […] morì, fu sepolto in una tomba nella roccia e poi risorse tre giorni più tardi. Tra l’altro il 25 dicembre è anche il compleanno di Osiride, Adone e Dioniso».
Si tratta di un cumulo di falsificazioni.
L’inclusione dei vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni (scritti nel primo secolo d.C.) nella Bibbia e l’esclusione dei testi gnostici e dei vangeli apocrifi era già compiuta con il Canone Muratoriano, del 190 d.C. circa, cioè novant’anni prima della nascita di Costatino. Era stata la comunità cristiana a individuare i quattro vangeli come canonici, perché venivano letti nella liturgia e perché erano i più sobri e privi dei racconti magici tipici dello gnosticismo. Quanto ai vangeli apocrifi, sono stati esclusi non perché rifiutassero la divinità di Cristo, ma perché erano infarciti di brani fantasiosi e di teorie filosofiche di età successiva ai fatti narrati.
È falso dire che nel Cristianesimo non c’è nulla di originale, perché la diffusione del Cristianesimo è dovuta proprio al fatto che il messaggio era assolutamente nuovo e anche per questo estremamente affascinante: un Dio che si fa uomo, che sceglie di essere debole e inerme in una mangiatoia, che accetta liberamente di morire in croce, che ama e perdona i nemici, che prega per i propri persecutori, che invita ad esercitare un amore completamente gratuito, che sceglie di dare la vita per i propri amici.
Un’altra novità del cristianesimo è l’inedita valorizzazione della donna. Dan Brown dice che il cristianesimo ha sminuito la donna e si inventa il matrimonio tra Gesù e la Maddalena per valorizzare le figure femminili. In realtà, in modo rivoluzionario rispetto alle culture dell’epoca, il cristianesimo ha ampiamente valorizzato la donna, al punto da considerare la Madonna la creatura più sublime di tutto l’universo. Le divinità pagane (Adone, Mitra, Osiride, ecc.) citate da Brown sono ben diverse da Cristo. Grandissimi studiosi come J. Jeremias, K. Schubert, A. Robinson, R. Schnackenburg hanno spiegato che si trattava di divinità legate al ciclo della natura che alterna le sue stagioni passando dal letargo dell’inverno al rifiorire della primavera, in cui la «morte» e la «resurrezione » sono completamente diverse da quelle di Gesù, perché non sono evento concreto e storico. Inutile dire che Dan Brown non cita nemmeno una fonte, neanche uno storico, per suffragare le sue teorie.
Infine, non è vero che la Chiesa ha impedito la diffusione dei codici del Mar Morto, che non contrastano per nulla con i Vangeli. Anzi, il famoso Frammento 7 Q 5 è di Qumran, è databile intorno al 50 d.C, ed è di grande importanza per la Chiesa, perché attesta che i vangeli sono stati scritti quando erano ancora viventi i protagonisti e i testimoni oculari dei fatti narrati, che avrebbero dunque potuto smentirli, cosa che non hanno fatto, se fossero stati falsi.
BIBLIOGRAFIA
Marta Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca Book, 2004.
Erhard Grzybeck – Marta Sordi, L’edit de Nazareth, in «Zeitschrift für Papigraphie und Epigraphik», 120 (1998), pp. 279 e sgg.
Ilaria Ramelli, La Chiesa di Roma e la cultura pagana: echi cristiani nell’Hercules Oetaeus?, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 52 (1998), pp. 11-31.
Dossier: Le falsità del Codice da Vinci
IL TIMONE – N. 53 – ANNO VIII – Maggio 2006 – pag. 39 – 41