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13.12.2024

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La fabbrica delle paure
31 Gennaio 2014

La fabbrica delle paure



Cinquanta anni fa usciva il libro che lanciava la tendenza al catastrofismo e a creare allarmismi ingiustificati nell’opinione pubblica. È il prodotto di una società secolarizzata, con la sua visione negativa dell’uomo da cui solo il ritorno a Dio può salvarci

Era giusto 50 anni fa, il 27 settembre 1962 usciva negli Stati Uniti un libro destinato a segnare uno storico passaggio culturale: Silent Spring (Primavera silenziosa), una raccolta di articoli già pubblicati e firmati dalla scrittrice americana Rachel Carson. Argomento: l’uso dei pesticidi in agricoltura che – sosteneva la Carson – aveva già allora effetti disastrosi, quali l’estinzione già in atto degli uccelli e la prossima esplosione di tumori al polmone negli esseri umani con milioni di morti. Probabilmente quel libro sintetizzava e convogliava paure che erano già state instillate nell’opinione pubblica, fatto sta che ebbe un successo clamoroso – decine di traduzioni e milioni di copie vendute in tutto il mondo – e soprattutto una grande influenza su pubblico e politici tanto da essere considerato l’origine del movimento ecologista moderno.
Ma l’influenza di questo libro va ben oltre l’argomento in sé, esso segna l’inizio dell’epoca delle grandi paure globali, degli allarmismi distribuiti a piene mani. Silent Spring è infatti soltanto il primo di una serie di libri e rapporti destinati a creare delle vere e proprie psicosi collettive e delle scelte politiche ed economiche conseguenti. Una prima caratteristica comune a questo genere di letteratura è l’inesorabile smentita da parte della realtà: tutti gli allarmi si dimostrano nel tempo assolutamente falsi o abbondantemente sovrastimati, restano però immutati nell’immaginario collettivo. Pensiamo ancora a Silent Spring e ai pesticidi: gli uccelli non solo non si sono estinti, ma nelle zone prese in esame dalla Carson addirittura sono aumentate le specie, così come accade oggi nelle nostre grandi città, a dispetto di tutte le previsioni e di quello che ci viene fatto credere. Allo stesso modo, non solo non c’è stata una strage di esseri umani a causa del cancro, ma non ne è neanche aumentata l’incidenza. Inoltre, se è ovvio che ci possono essere dei casi di abuso dei pesticidi – e in questo caso possono sì avere effetti dannosi, come per qualsiasi sostanza di cui si abusi – bisogna anche ricordare che i pesticidi hanno avuto un effetto altamente positivo sull’agricoltura aumentando la produttività dei terreni, favorendo prezzi più bassi e la possibilità di sfamare una popolazione crescente. Eppure, per la nostra cultura, pesticida ha solo un’accezione negativa, per non dire tragica.
Ma lo stesso si deve dire per gli allarmi successivi: nel 1968, ad esempio, esce un altro best seller, La bomba demografica, del biologo americano Paul Ehrlich, che lancerà su scala planetaria l’allarme per la sovrappopolazione. Nelle prime pagine del libro si leggono le famose parole: «La battaglia per sfamare il mondo è ormai persa…», e giù le previsioni di centinaia di milioni di morti per fame già dai primi anni ’70, a cominciare dall’India. Come sappiamo, le cose non sono andate come previsto, senza considerare che la realtà ha abbondantemente dimostrato che non c’è alcuna esplosione demografica, ma solo un rapido aumento della popolazione dovuto a meccanismi ben conosciuti dai demografi e comunque tendente alla stabilizzazione. Anzi, se un problema c’è – e non solo nei paesi sviluppati – è quello del drastico calo dei tassi di fertilità che nei prossimi anni avrà impatti drammatici anche su diversi paesi in via di sviluppo. Ma, curiosamente, Paul Ehrlich continua a essere onorato e riverito come un grande esperto e nell’immaginario collettivo la sovrappopolazione resta il vero problema. Anche perché, nel frattempo, all’allarme demografico si è unito quello economico ed ecologico rappresentato dalla presunta fine delle risorse. È un allarme iniziato nel 1972 con un altro best seller mondiale, I limiti dello sviluppo, un rapporto voluto e pubblicato dal Club di Roma, secondo cui già nel 1992 si sarebbero esaurite le principali risorse minerarie con conseguente crollo della civiltà industriale. La realtà ovviamente ha proseguito per la sua strada e nulla di tutto questo è avvenuto; malgrado ciò, quest’anno il Club di Roma ha celebrato il quarantennale rilanciando i suoi allarmi come se niente fosse. Ma ormai c’è anche assuefazione perché da allora gli allarmi si sono moltiplicati e hanno abbracciato campi diversi: dalla paura di tutte le sostanze chimiche alle onde elettromagnetiche, dalle catastrofi climatiche che ci vengono annunciate ogni settimana al cibo inquinato e avvelenato, dalle guerre per l’acqua fino all’esplosione delle pandemie (non passa anno che non si evochi il fantasma della Spagnola). Ormai si vive in un costante “stato di paura”, come titola un romanzo di qualche anno fa di Michael Crichton.
Ma da che cosa nasce questo allarmismo, questa visione catastrofica del futuro? Sostanzialmente da una errata concezione dell’uomo e della natura. Ancora Silent Spring è il paradigma di questa concezione: si immagina una natura in uno stato di equilibrio e armonia, rovinata solo dalla presenza e dall’attività dell’uomo. C’è, qui, il frutto della secolarizzazione, il passaggio dalla concezione di Creato a quella di ambiente, che si innesta però su una tradizione protestante, che ha una concezione totalmente negativa dell’uomo, capace solo di fare del male. Ovvio che il moltiplicarsi degli uomini e della loro attività crei per questa concezione una sorta di angoscia pensando a tutto il male che gli uomini sono in grado di fare. Si capisce allora per quale motivo la realtà abbia sempre smentito le previsioni catastrofiche: perché questa concezione non corrisponde a ciò che l’uomo è. Perché Dio ha creato l’uomo libero, capace certamente di fare il male, ma anche creato per il bene e con la possibilità di fare il bene se riconosce il destino buono che Dio ha preparato per lui. E allora ecco che l’aumento della popolazione ha fatto sì che l’uomo trovasse con la sua creatività e ingegno i mezzi per rispondere ai nuovi bisogni che via via si sono presentati: così che oggi il mondo è in grado di produrre abbastanza cibo per sfamare una popolazione molto più numerosa di quella attuale, e di avere una disponibilità di risorse che nel tempo è andata aumentando e diversificando. L’uomo è dunque la prima e vera risorsa, l’uomo – immagine e somiglianza di Dio – è l’unico fattore su cui davvero puntare per il futuro. E riconoscere l’appartenenza a Dio è anche l’unico modo per liberarci dalle paure e dal catastrofismo che paralizzano la nostra società.
Il problema di questa concezione negativa dell’uomo, infatti, non sta soltanto nell’errore delle previsioni che, al limite, potrebbe anche essere argomento di allegre conversazioni, ma sta negli effetti tragici che essa comporta. Ancora Silent Spring: la pubblicazione di quel libro diede il via a una campagna mondiale contro il DDT, assurto a simbolo negativo per eccellenza, e alla sua messa al bando a partire dal 1972. Il che ha però impedito che intere popolazioni, soprattutto in Africa, potessero godere dei benefici del DDT non solo in agricoltura ma anche per la lotta contro la malaria, per la quale tuttora il DDT resta l’unica arma efficace. Ogni anno così continuano a morire circa un milione di persone, la stragrande maggioranza bambini al di sotto dei 5 anni. E il terrore per i possibili (e fantasiosi) effetti del riscaldamento globale sta portando a scelte energetiche suicide. Perché dunque continuare a seguire chi vuole salvare il pianeta quando c’è già Chi ha salvato il mondo?

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«Il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell’amore al Padre che ci ama».
(Benedetto XVI, Udienza generale, 23 maggio 2012).


IL TIMONE N. 117 – ANNO XIV – Novembre 2012 – pag. 18 – 19

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