Virtù fuori moda. Perché è parte di un’altra virtù, la fortezza, dimenticata in un tempo dove si moltiplicano pensieri e uomini deboli. Scopriamo e valorizziamo la “fedeltà”.
Vogliamo oggi parlare di una virtù fuori moda, che appare invece fondamentale per una vita di relazione equilibrata e armoniosa: la fedeltà.
La fedeltà è parte della virtù della fortezza, e significa adesione ad altri, e insieme accettazione dei vincoli che tale adesione comporta. È evidente che la vita implica, per tutti, una serie di legami e di vincoli di ogni genere, che vanno dai più banali ai più seri e impegnativi: dal tifo per una squadra di calcio all’adesione a un partito politico, per esempio, su su fino alla propria professione, a qualche specifico interesse culturale, all’amicizia, alla famiglia, fino ad arrivare a Dio.
Si tratta di vincoli differenti per ogni persona, perché dipendono dal carattere, dai gusti, dagli affetti e dalle inclinazioni di ciascuno: non costituiscono pertanto costrizioni aride e soffocanti, ma sono espressione diretta dell’esercizio della libertà personale.
Uno dei più grandi atti di libertà è proprio quello di scegliere e quindi assumere questi vincoli e – quando si tratta di importanti opzioni di fondo – impegnarsi a osservarli: questa è la fedeltà, che implica dunque lealtà, fiducia, stima, coerenza (si può chiamare fedeltà «solo una coerenza che dura tutta la vita», ha detto papa Giovanni Paolo II in un’omelia del 27 gennaio 1979); e ancora spirito di servizio e di sacrificio, puntualità, perseveranza, pazienza…
Non è dunque una fedeltà canina, la nostra, perché non deriva dall’istinto, ma dall’intelletto e dalla volontà: le scelte che facciamo non sono banale rinuncia ad altre alternative, ma aperto e positivo riconoscimento della bontà di queste scelte.
L’esempio più evidente lo si riscontra, per la maggior parte degli uomini, nel matrimonio (in fondo, diceva argutamente un sacerdote a un amico sposato, la differenza fra noi non è poi così grande, dato che io ho rinunciato a tutte le donne, tu a tutte tranne una!). Ecco perché occorre ripensare spesso al proprio matrimonio e alle sue ragioni di fondo: una persona seria si sposa non tanto perché ama, quanto per amare, ovviamente per tutta la vita. La stessa idea è stata espressa da C.S. Lewis, quando scrive che «l’innamoramento è la spinta a promettersi fedeltà, l’amore rende capaci di mantenere questa promessa».
Il problema, anche al di là del matrimonio, è quello di riuscire a stabilire nella vita di tutti i giorni una gerarchia fra i diversi legami, anche perché – come diceva Antoine de Saint-Exupéry – il valore di una persona dipende dal numero e dalla qualità delle sue relazioni e dei suoi vincoli. Il fondamento di una vera fedeltà sta dunque nell’amore e – per un cristiano – «nell’amore di Dio, che fa vincere tutti gli ostacoli: l’egoismo, la superbia, la stanchezza, l’impazienza…» (San Josemaria Escrivà, Forgia, n. 532). Non per niente i primi cristiani erano spesso chiamati semplicemente fedeli (cfr per esempio Atti 10,45; 2 Cor 6,15; Ef 1,1), perché essere fedeli significava rimanere fermi di fronte agli ostacoli esterni, anche i più gravi: in tempi difficili come quelli attuali, appare pertanto davvero urgente recuperare questa virtù così svalutata. Del resto, è proprio al servo buono e fedele che viene promesso di entrare nel gaudio del Signore (Mt 25,23): il Signore di cui tutta la Bibbia sottolinea continuamente, appunto, la fedeltà.
IL TIMONE – N. 44 – ANNO VII – Giugno 2005 – pag. 47