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14.12.2024

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La filosofia nell’immortale Poema
31 Gennaio 2014

La filosofia nell’immortale Poema

 

 

Il ruolo cruciale della filosofia secondo Dante e i concetti filosofici centrali espressi in versi, con insuperabile maestria, nella Divina Commedia


Non sappiamo se Dante abbia seguito corsi regolari di filosofia: sembra che abbia ascoltato qualche lezione presso i Domenicani e presso i Francescani. In ogni caso, non divenne partigiano dell’uno o dell’altro indirizzo filosofico, arrivando a quella specie di concordia espressa dagli elogi di san Francesco (per opera di san Tommaso d’Aquino), e di san Domenico (per opera di san Bonaventura), presenti nei canti XI e XII del Paradiso.
Dante è poeta-filosofo nel senso che la filosofia è stata per lui sorgente di ispirazione poetica, non mero pretesto. Sono pochi i poeti-filosofi: certamente lo fu Lucrezio. Anche Dante, deluso dalla politica, fu salvato dalla possibilità di ricorrere alla ragione come fondamentale mediatrice tra gli uomini. Ideò il Convito, concepito come una serie di canzoni poetiche, ciascuna seguita da un trattato filosofico, ma scrisse solamente quattro canzoni e tre trattati. L’interruzione del Convito è stata interpretata come l’irruzione dell’ispirazione della Commedia. Benedetto Croce non comprese la poesia di Dante. In un infelice saggio del 1921, intitolato Poesia e non poesia in Dante, affermò che il poeta fiorentino raggiunge vette altissime in alcuni episodi lirici (Paolo e Francesca, il conte Ugolino, Ulisse ecc.), ma annegati in un pesante tessuto connettivo rappresentato dalla filosofia scolastica: perciò Croce salvava solamente quegli episodi. Tuttavia, se si leggono uno dopo l’altro (come suggerisce di fare Croce) gli episodi indicati non si capisce perché mai Dante abbia provato il bisogno di evocarli. Vediamo allora quale messaggio voleva comunicare Dante.
Il punto è che, per Dante, la salvezza non viene dalla politica, perché quest’ultima spesso è espressione della mera forza e culmina nella guerra, che è un metodo irrazionale per risolvere i rapporti umani. Perciò, l’unica via di salvezza per convivere è il ricorso alla ragione (come insiste Benedetto XVI). Ora, l’età di Dante è caratterizzata dal ricorso alla violenza: le fazioni di guelfi e ghibellini non esitavano a incendiare le case degli avversari e a ricorrere ai complotti di partito. In aggiunta, visto che Dio è Ragione, non è razionale che egli ordini ad un uomo di ucciderne un altro in nome suo. Perciò la filosofia che fonda e spiega questa posizione diventa una fonte di salvezza dell’umanità.
Inoltre, l’ardito recupero della filosofia di Aristotele operato da san Tommaso d’Aquino e poeticamente espresso da Dante si fonda su un’importante distinzione dell’Aquinate. Ciò che è decisivo nelle cose non è (come diceva erroneamente la filosofia platonica, che attribuiva la vera realtà alle Idee) la loro essenza, bensì il loro actus essendi, il loro essere attuale. Poiché però le cose non si sono date l’essere, cioè non si sono fatte da sé, deve esistere una Causa Incausata che le ha poste. Inoltre, poiché ogni cosa si dirige al suo fine, deve esistere un Fine Ultimo al quale tende tutto l’universo, una Perfezione Massima che tutto attrae a sé, e noi possiamo chiamare tutto ciò Dio.
Ancora, il progetto divino eterno che presiede la creazione del mondo si chiama legge eterna. La natura segue rigorosamente i suoi ritmi perché obbedisce alla legge posta dalla Ragione di Dio a fondamento dell’intelligibilità del mondo. E la ragione umana è in grado, senza bisogno della Rivelazione, di conoscere una legge morale naturale valida sempre. Ma, di fronte al ripudio della ragione operato dagli uomini, Dio ha fatto conoscere a Mosè il decalogo, che è una legge divina positiva. Anche il legislatore umano ha il diritto e il dovere di emanare una legge positiva umana, che è legge giusta solamente se rispetta la legge morale naturale.
La Commedia, poema al quale hanno posto mano e cielo e terra, vuol far comprendere tutte queste cose anche a chi è privo di attitudine per lo studio della filosofia: gli episodi lirici della Commedia che abbiamo sopra menzionato hanno il compito di esemplificare questi (e altri) ragionamenti.
Dante ha concluso il mirabile XIII secolo, caratterizzato da immani sommovimenti sociali, da eresie e da decisioni politiche conflittuali, ma anche dalla filosofia di san Tommaso d’Aquino, dalla pittura di Giotto, dalla scultura di Nicola Pisano, tutti debitori di san Francesco d’Assisi, vero scopritore della bellezza del creato, nel quale le cose proclamano di non essersi fatte da sé, bensì di aver ricevuto l’essere da Dio.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Charles S. Singleton, La poesia della Divina Commedia, il Mulino, 20022.
Patrick Boyde, L’uomo nel cosmo. Filosofia della natura e poesia in Dante, il Mulino, 1984.

 

 

 

 

 

Dossier: La Divina Commedia: capolavoro massimo della letteratura

 

IL TIMONE N. 96 – ANNO XII – Settembre/Ottobre 2010 – pag. 46

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