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12.12.2024

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La funzione del Magistero
31 Gennaio 2014

La funzione del Magistero

 

 

 

 

A cosa serve? Ha una funzione anche ordinaria oppure riguarda solo la proclamazione di dogmi? L’ossequio al Magistero come condizione per la “nuova evangelizzazione”.

 

Tutti gli operatori culturali stanno cercando, in questi mesi, di capire e interpretare il pontificato appena iniziato. Papa Benedetto XVI è così sotto l’osservazione del mondo. Anche i cattolici aspettano di comprendere dove il Papa vorrà orientare la Chiesa. Il mio primo auspicio è quello di prendere sul serio il Papa e di leggere direttamente le sue parole, i suoi interventi, diffidando di quelle letture giornalistiche nelle quali spesso il titolo è fuorviante, nel senso che mette in risalto un aspetto soltanto di quanto il Pontefice ha voluto comunicare. Un esempio per tutti è stato l’importante intervento dell’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, apparso sul Corriere della Sera del 17 maggio durante la campagna referendaria, nel quale l’arcivescovo afferma con precisione e forza il dovere dell’astensione, mentre il titolo mette in luce la raccomandazione ai cattolici di non dividersi, che c’è certamente nell’intervista ma è successiva e secondaria rispetto al dovere dell’astensione per difendere il diritto alla vita degli embrioni. Il risultato è stato quello di attenuare una posizione tanto attesa e molto importante alla vigilia del referendum.
Infatti, la funzione del Magistero del Papa e dei vescovi in comunione con lui è quella di insegnare ai fedeli a professare la fede autentica, senza errori; per questo il Signore ha dotato i Pastori del carisma dell’infallibilità in materia di fede e costumi, ma anche di un compito pastorale appunto per aiutare i fedeli a rimanere nella verità. Questo significa che il Magistero deve essere preso come una luce che guida e orienta anche quando propriamente non definisce una dottrina inerente alla fede o alla morale.
«La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell’Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l’autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i Pastori del carisma dell’infallibilità in materia di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 890).
Sappiamo purtroppo che questo non avviene proprio all’interno della stessa Chiesa. Il problema maggiore a mio avviso è che non c’è un rifiuto solo di chi vuole “strattonare” il Papa portandolo dalla sua parte, ma anche a causa della mancanza di abitudine all’ascolto del Magistero nella vita quotidiana della Chiesa.
Provo a fare alcuni esempi. Se in una parrocchia non viene mai presentato un documento del Magistero, se il parroco non ne parla mai neppure nelle omelie, se i documenti non vengono neppure esposti e i fedeli invitati ad acquistarli e a leggerli, è difficile, praticamente impossibile, che l’ascolto del Magistero diventi una prassi abituale nella vita del fedele. E questo cosa comporta? Semplicemente che la parola del Papa non penetra nel corpo di Cristo che è la Chiesa.
I fedeli così verranno a conoscenza degli aneddoti della vita del Papa, delle sue abitudini gastronomiche, i più acculturati leggeranno i suoi libri, se continuerà l’abitudine iniziata da Giovanni Paolo II di scrivere libri o di concedere interviste, ma non verranno lette le encicliche, le lettere apostoliche, insomma il Magistero vero e proprio. E scomparirà definitivamente l’abitudine a cercare nel Magistero le indicazioni su come comportarsi nella vita pubblica e privata. Così la fede, se rimarrà ortodossa, cesserà comunque di diventare cultura, cioè di orientare le scelte del fedele, perché non verrà utilizzato quello strumento di guida e di applicazione nella vita degli insegnamenti della fede cristiana che appunto è il Magistero.
Un esempio di come sia andata perduta questa unità tra i fedeli che nasce dall’obbedienza alla stessa fede e allo stesso insegnamento magisteriale si è avuta in occasione delle grandi date della storia ecclesiale italiana e si manifesta nella mancanza di una comune interpretazione della storia nazionale. Anche la recente campagna referendaria sulla legge 40 ha dimostrato la confusione e la divisione che esiste in alcuni cattolici. Alcuni hanno rifiutato la supposta ingerenza del card. Camillo Ruini nel dare indicazione di non votare, senza cogliere la portata morale della posta in gioco, altri hanno voluto privilegiare la partecipazione al voto come strumento democratico imprescindibile (e quindi hanno votato no) rispetto al metodo più efficace per salvare delle vite, che era appunto l’astensione indicata dal presidente della CEI. Anche qualche vescovo e alcuni sacerdoti si sono prestati a questa forma di vera e propria “autodemolizione”, peraltro certamente molto inferiore rispetto ai referendum sul divorzio (1974) e aborto (1981). Ma spaventa ancora di più la mancanza di un modo comune di affrontare i problemi, che non è sintomo di libertà e autonomia, ma segno che il relativismo è penetrato anche dentro.
Che fare dunque? Papa Benedetto XVI non potrà essere accusato di aver trascurato il relativismo e la necessità di farvi fronte. Lo ha denunciato e combattuto da cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e continuerà a farlo. Ma bisogna che venga seguito e imitato. E l’unità può essere ricostruita solo partendo dalla persona di Cristo su cui si fonda la fede cattolica, prima che da un ragionamento che incontrerebbe tante resistenze. E da parte nostra, dobbiamo ascoltare e capire dove la Chiesa vuole condurre il suo popolo, così come Papa Benedetto XVI ha detto a proposito di sé e del suo rapporto con il Signore. Verranno i programmi, le indicazioni, forse verranno molto presto. Ma prima deve crescere nel cuore e nell’intelligenza dei fedeli, laici e sacerdoti, la volontà di cercare la risposta al che fare nelle indicazioni del Magistero.

 
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«In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo. Qualche tratto di ciò che io considero mio compito ho già potuto esporlo nel mio messaggio di mercoledì 20 aprile; non mancheranno altre occasioni per farlo. Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia».
(Benedetto XVI, omelia della Messa di inaugurazione del Pontificato, 24 aprile 2005).

IL TIMONE – N. 45 – ANNO VII – Luglio-Agosto 2005 – pag. 58-59

 
 

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