Perdonati da Dio, impariamo a nostra volta a perdonare. Conviene all’uomo. Che fa la volontà di Dio, ma che se impara a perdonare vive meglio. Lo conferma anche la psicologia.
Non so se anche voi avete notato una strana moda che da qualche anno si sta diffondendo. Succede una rapina in cui, che so, i banditi sparano e uccidono un marito, un padre o un figlio. Oppure c’è un altro tragico evento in cui qualcuno muore o viene offeso nel corpo o nella reputazione per colpa di qualcun altro.Passano poche ore e arriva una torma di giornalisti che dà immediatamente la caccia ai parenti di coloro che hanno perso la vita oppure a quelli che hanno subìto il danno. E, quando riesce a rintracciarli, pone loro, spesso brutalmente, un microfono davanti alla bocca rivolgendo ai malcapitati due domande ormai di rito. La prima, inutile e retorica, consiste nel chiedere che cosa abbiano provato di fronte all’evento doloroso.
L’ovvia risposta non fa altro che mostrare quanto, molto spesso, sarebbe assai meglio rispettare un dolore invece che sfrucugliarvi dentro con morbosa curiosità.
La seconda che, oserei dire, sfiora il ridicolo se non si trattasse di cose serie e gravi, è ormai diventata un classico: «Scusi, lei ha perdonato?». Così, a botta fresca, proprio quando il dolore è ancora al suo acme, senza che la persona abbia potuto compiere un minimo di elaborazione interiore, con superficialità estrema, spudoratamente, si chiede alla gente di esprimersi su quello che è uno degli aspetti più importanti ma anche più difficili e complessi della vita di tutti, credenti e non credenti. Chi avrà raggiunto una vera maturità umana e spirituale potrà, certo, vivere in una dimensione abituale di perdono, e, dunque, anche di fronte ad eventi tragici, riuscire rapidamente a volgere l’animo all’amore che tutto comprende. Ma è davvero frutto di questa nostra cultura così contraddittoria, da un lato esasperatamente egoista ma, dall’altro ipocritamente buonista, pensare che una scelta così impegnativa sia sempre facile e immediata.
Eppure perdonare non è una cosa che si possa fare o non fare. Non è un optional. È una necessità. Ce lo dicono le scienze psicologiche che hanno ampiamente dimostrato come chi non impari a perdonare finisca per vivere assai male, chiudendosi spesso in una personalità patologica. E, ancor più per noi credenti, ce lo indica con chiarezza estrema il Vangelo: «Se voi, infatti, perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi. Ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). Una citazione da Matteo alla quale se ne potrebbero aggiungere molte altre, perché in realtà il tema del perdono attraversa tutto il messaggio e la vita stessa di Gesù. Tra le sue ultime parole pronunciate a fatica sulla Croce prima di spirare ci saranno, infatti, proprio quelle riportate da Luca (23,34): «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno», intese ad ottenere misericordia presso Dio proprio per coloro che lo avevano inchiodato al patibolo. Un perdono chiesto e concesso senza condizione alcuna, invocato per gente che non aveva affatto preso coscienza del male che aveva fatto e che, dunque, non si era per nulla scusata. Un amore, quello di Gesù, vissuto a livelli sublimi.
Eppure, anche a noi che siamo pieni di limiti e condizionati dalle conseguenze del peccato originale viene chiesto di pregare ogni giorno così: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Mentre, ad una precisa domanda di Pietro: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?», Gesù risponderà: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» cioè a dire sempre.
Così, capiamo subito, senza ombra di equivoci, che non siamo chiamati a compiere questo gesto solo poche volte nella vita, in alcuni casi gravi, eclatanti, ma in continuazione nella sempre impegnativa quotidianità della vita. Così come ci appare evidente che il perdono è strettamente legato ad un altro atteggiamento al quale siamo sollecitati e cioè all’amore. E che, anzi, alla fine, si tratta della stessa cosa perché amare significa perdonare e perdonare significa amare, cosicché il perdono che sappiamo dare, ma anche quello che sappiamo chiedere e ricevere, diventa il migliore termometro della nostra capacità di amare, del nostro grado di adesione al Vangelo.
Se continuiamo nella nostra riflessione, ci rendiamo conto anche di un’altra cosa e cioè del fatto che se perdonare significa amare, noi impareremo a compiere questo gesto così importante solo quando noi stessi avremo capito che cos’è l’amore e ne avremo fatto concreta esperienza. Non soltanto l’amore umano, bello e importante, ma pur sempre limitato e spesso incapace di perdono e di misericordia, ma anzitutto l’amore pieno, assoluto, senza limiti e cioè l’amore di Dio. Sarà quando il nostro cuore avrà intuito l’esistenza di questa fonte inesauribile di bontà e di comprensione, quando avrà vissuto in prima persona l’esperienza del Figliol prodigo atteso di continuo, rivestito degli abiti più belli, festeggiato nonostante i passati tradimenti, che finalmente comincerà almeno ad intravedere quale sia la vera dinamica della vita. Capirà che non si è felici quando si vuol bene a chi ci ricambia della stessa moneta, mentre si risponde con la vendetta a chi ci ha ferito e fatto soffrire. Ma che per raggiungere la vera gioia occorre imparare a rispondere al male con il bene. Impresa difficile, quasi impossibile per chi non sia vivamente inserito nel circuito della grazia e non abbia fatto l’esperienza di essere egli stesso un uomo non certo perfetto e, dunque, bisognoso lui pure, di continuo perdono.
La psicologia dice che la personalità raggiunge il suo equilibrio e la sua maturità quando sa vedere con realismo il negativo e il positivo che stanno dentro se stessi e negli altri. Quando, cioè, smette di idealizzare oppure di denigrare senza vero fondamento la propria persona e, insieme ad essa, quella di coloro con i quali è chiamata a dividere l’esistenza. A quel punto, infatti, riuscirà a stabilire rapporti veri e sinceri nei quali, quando sarà necessario, entrerà a far parte anche il perdono. Tanto più, aggiungiamo noi credenti, se avrà capito che quaggiù, noi e gli altri siamo, sotto sembianze qualche volta nemiche, tutti fratelli perché figli di uno stesso Padre che tutti, con uguale misericordia, ama e perdona.
(continua)
RICORDA
«Perché dunque non fare agli altri ciò che ciascuno desidera sia fatto a se stesso? Ogni essere umano coltiva in sé la speranza di potere ricominciare un percorso di vita e di non rimanere prigioniero per sempre dei propri errori e delle proprie colpe».
(Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace, n. 8, 1 gennaio 2002).
BIBLIOGRAFIA
Annalisa Giulianini, La capacità di perdonare, San Paolo, 2005.
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 56 – 57