Uscita da poco più di un mese, Evangelii gaudium rischia di essere archiviata. Eppure, contiene indicazioni importanti. Vediamone alcune
Letti parzialmente al solo scopo di trovare titoli sensazionali, che servano ad aumentare le tirature, e poi abbandonati al loro destino: questo è ordinariamente il destino dei documenti pontifici. È bene diffidare dei commenti che enfatizzano qualche frase, presa qua e là, secondo le intenzioni ideologiche del commentatore, invece di cogliere l’architettura del documento e il messaggio complessivo che vuole trasmettere. Ma per questo bisogna fare fatica, almeno quella di leggere il documento per intero e possibilmente più di una volta. Altrimenti si prendono in giro gli eventuali lettori.
Accadrà così anche per l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, pubblicata da papa Francesco nella Solennità di Cristo Re dell’universo, il 24 novembre 2013, che si presenta come il documento più lungo della recente storia dei testi pontifici? Il Papa sembra consapevole di questo rischio: «Non ignoro che oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati» (n. 25).
La tristezza e l’evangelizzazione
«Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (n. 2).
Questo è il punto di partenza del Pontefice. In Occidente (in Asia e in Africa bisognerebbe fare un discorso diverso), molta gente perde la fede e con essa la speranza. Poi, diventa triste, a volte anche disperata.
Ma che cosa fanno i cattolici davanti a questa situazione? Molti, scrive papa Francesco, «sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua» (n. 6). Invece, un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. Bisogna fare crescere il fervore, «la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime […]. Possa il mondo del nostro tempo – che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizza- La gioia dell’evan tori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo» (n. 10), così come scriveva Paolo VI nell’esortazione apostolica del 1975 Evangelii nuntiandi (n. 80).
Il progetto missionario
«La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr Lc 10,17)» (n. 21).
Già nel primo capitolo si delinea il progetto di papa Francesco di favorire nell’operare della Chiesa una grande sensibilità missionaria, a cominciare da quelli che sono i due punti fondamentali attorno ai quali si svolge l’attività pastorale della Chiesa: la parrocchia e il vescovo.
La parrocchia non è superata, secondo il Pontefice, ma deve assumere delle caratteristiche missionarie che molte parrocchie attualmente non hanno. Essa non deve allontanare ma includere, nella propria vita pastorale, i movimenti e le associazioni sorte dopo il Concilio, che ordinariamente portano una propensione alla missione superiore a quella dei parrocchiani. E il vescovo deve favorire questa integrazione in vista dell’unità (cfr. nn. 29-31).
Come e cosa trasmettere
Il messaggio evangelico, incentrato sulla persona di Gesù Cristo, figlio di Dio, non va piegato su alcuni accenni dottrinali e morali, secondo le preferenze del soggetto che fa questa scelta. La Chiesa ha sempre insegnato, da san Tommaso al Concilio Vaticano II, che esiste una gerarchia nelle verità da proporre e una proporzione fra le diverse verità proposte (cfr. nn. 35-37).
Il Papa poi sottolinea (n. 41) l’importanza di usare un linguaggio che sia comprensibile all’uomo contemporaneo, la cui cultura cambia con una velocità sorprendente, in conseguenza anche dell’avvento dei mutamenti tecnologici. Così, per esempio, potrebbe avvenire che un linguaggio completamente ortodosso non riesca a trasmettere veramente il Vangelo, ma soltanto aspetti culturali secondari.
La Chiesa non è una dogana
Il primo capitolo si conclude con l’appello decisivo, che esprime tutta l’architettura dell’Esortazione, ossia il fatto che le comunità cristiane, tutte senza esclusione, devono riformarsi in senso missionario e andare dove si trovano uomini e donne che soffrono perché sono senza Cristo, l’unico che può dare la felicità eterna. E ancora una volta papa Francesco incita ad assumere questo stile, invitando tutti a non preoccuparsi di eventuali incidenti, ma a non chiudersi nelle proprie abitudini e formule, nei propri schemi anche se belli e veri, quando ci si accorge che tutto questo non penetra nell’umanità dei nostri contemporanei.
Nell’andare incontro a coloro che sono senza Cristo e senza una meta, la Chiesa incontra anzitutto sulla sua strada i poveri, ai quali si sente legata da un amore privilegiato, soprattutto ai poveri di oggi, «esclusi» e non semplicemente sfruttati (cfr. n. 53; cfr. anche più avanti, dove l’esortazione tratta della «inclusione sociale» dei poveri, nn. 187-192, ma anche il n. 200 dove il Papa ricorda che ai poveri dobbiamo una «attenzione religiosa privilegiata e prioritaria»). In questa azione missionaria la Chiesa incontra molte resistenze e ostilità: il Papa ne enumera molte, fra cui ricorda la divinizzazione del mercato, l’indifferenza o ironia nei confronti dell’etica. Si sofferma anche sul fondamentalismo dei nuovi movimenti religiosi (cfr. n. 63) e sul processo di secolarizzazione che ha ridotto la fede a sentimento privato (cfr. n. 64).
La spiritualità del missionario
Non è facile fare apostolato perché comporta una elevata dose di sacrificio. Il Papa dedica alcuni paragrafi (nn. 78-83) alle tentazioni che subisce chi vuole essere un missionario nella vita ordinaria della Chiesa e denuncia la mancanza di un numero adeguato di persone disponibili, per esempio a fare i catechisti, o comunque a sacrificare un po’ del proprio tempo per gli altri. Il problema è spirituale e consiste nell’indisponibilità a fare quello che serve, cioè a rinunciare alla propria volontà per seguire Cristo. E seguirlo senza assumere l’atteggiamento dello sconfitto, scrive il Papa, perché chi comincia una battaglia senza la speranza di poterla vincere pone le condizioni della vittoria dell’avversario (cfr. n. 85).
Ma l’apostolo subisce anche altre tentazioni, dalle quali deve guardarsi costantemente: la mondanità spirituale (cfr. n. 93) che lo porta a cercare la gloria umana e il benessere invece della gloria di Dio, lo gnosticismo e il neopelagianesimo, che invece lo portano a guardare soltanto alla propria esperienza religiosa nel primo caso o, nel secondo, a esaltare «una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare» (n. 94).
Diversità di culture
Nel terzo capitolo il Papa affronta la questione del rapporto fra la missione evangelica e le diverse culture presenti nel mondo. Francesco ricorda come pur essendo vero che il cristianesimo si è particolarmente incarnato in alcune culture, esso può essere proposto e accolto da ogni cultura, naturalmente compatibile con il Vangelo stesso, senza che questo possa minacciare l’unità della Chiesa (cfr. n. 117). Il Vangelo va proposto così a ogni persona, meglio «da persona a persona », ma anche alle singole culture locali che i missionari incontrano nel corso della loro esperienza di evangelizzazione: si tratta del tema dell’inculturazione della fede, affrontato in modo particolare dal beato Giovanni Paolo II quando ha trattato dei santi Cirillo (826-869) e Metodio (815-885) e della loro evangelizzazione dei popoli slavi nella sua enciclica Slavorum apostoli (1985).
La spiritualità della nuova evangelizzazione
La preghiera è l’anima della nuova evangelizzazione, così come quella di ogni apostolato, parafrasando il bel libro di dom Jean- Baptiste Chautard (1858-1935).
«Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore» – scrive il Papa – «facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne» (n. 262).
E tuttavia, la preghiera non è sufficiente. Bisogna anche conoscere chi si prega o almeno sforzarsi di comprenderlo sempre di più e meglio. Così il cristiano sarà un apostolo con la testimonianza della propria vita, ma quest’ultima sarà consapevole di Chi è Colui per il quale sta spendendo la vita.
«Non si può perseverare in un’evangelizzazione piena di fervore se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare» (n. 266). Ma questo vale anche per la dimensione sociale della fede cristiana, che non può essere ridotta alla sfera privata, ma è chiamata a evangelizzare il mondo, sotto la guida di Maria, la Stella della nuova evangelizzazione: «Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione» (n. 266).
IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 58 – 59
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