Il primo fine della nostra vita, la prima ragione dell’agire di ogni uomo: la Gloria di Dio. Una verità da non dimenticare.
Dopo aver affrontato il tema della Risurrezione di Gesù, dell’ Ascensione e della risurrezione dei corpi (cfr il Timone, nn. 1-2-3), ci sembra opportuno affrontare quello della Gloria di Dio, che troppo spesso rimane assente dalle predicazioni e dalle omelie.
La nostra esagerata preoccupazione delle cose contingenti e la tendenza a interessarci solo di ciò che nel cristianesimo conduce a un’utilità sociale, ci porta infatti a dimenticare che il fondamento e il fine di tutto quanto esiste è la Gloria di Dio.
La carità verso i poveri, l’aiuto verso gli emarginati o i tossicodipendenti, la cura dei portatori di handicap ed ogni altra forma di servizio come anche di apostolato, acquistano una direzione e un senso se la speranza che ci anima è quella di vedere un giorno tutti questi fratelli partecipare alla Gloria di Dio.
Ciò che di bello e di buono noi riusciamo a realizzare nel tempo deve essere visto solo come il primo, precario frammento di un Regno che completerà in gloria quello che noi abbiamo fatto. Anzi, è proprio per questa ragione che ogni opera umana merita la massima attenzione. Perché è vero che le nostre azioni e il nostro annuncio, tutto in Cielo verrà ripreso, valorizzato e perfezionato dall’ Amore onnipotente di Dio che glorifica tutto ciò che Gli somiglia.
Se non intende questo, anche il cristiano meglio intenzionato rischia lo scoraggiamento, o cade in quella mentalità efficientista che limita l’orizzonte al contingente, e per la quale è buono e ha senso solo ciò che produce un successo visibile. Ma il cristiano che in stato di grazia è già, in parte, cittadino del Cielo, sa che Dio asciugherà ogni lacrima dai suoi occhi perché: “il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza” e “i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1402).
Tutto questo il cristiano può già pregustarlo nell’Eucaristia, che la Chiesa antica chiamava “pegno della Gloria futura” e che il Catechismo definisce “anticipazione della Gloria del Cielo” (n. 1402): lasciandosi trasfigurare dal Pane di vita eterna, egli infatti anticipa in sé e nel suo agire i tratti di quella Gloria.
È questa la radice di quella virtù teologale che chiamiamo Speranza, anche se spesso la riduciamo a una semplice attesa di un qualche futuro migliore. In realtà, non è in gioco solo la nostra felicità, sebbene (e pure questo viene ricordato poco) questa ci verrà con. ferita in misura immensa e per tutta l’eternità. La Gloria di Dio non si riduce solo alla dilatazione di tutto l’essere al godimento celeste, ma è anche somma manifestazione dello Spirito, alla Luce ineffabile del quale tutto il molteplice si incontra e si unisce sublimandosi nell’ Amore irradiato dalla Trinità. E sebbene quest’Ultima sarebbe nella Gloria anche senza le creature, la storia personale di salvezza ciascuna di queste, una volta glorificata, diventerà paradiso vicendevole per tutti i beati.
Se imparassimo a vedere nelle persone quello che esse saranno in gloria, riusciremmo ad amarle oltre ogni tentazione di scoraggiamento o rancore Riusciremmo a capire che non sono quali ci appaiono, riusciremmo a scorgere in loro le membra risorte del Cristo.
Ed anche tutte le cose che ci circondano ci svelerebbero la loro natura di segni che nascondono e svelano i lineamenti della Città celeste.
IL TIMONE – N.4 – ANNO I – Novembre/Dicembre 1999 – pag. 26