Il santo vescovo di Milano combatté coraggiosamente per la libertà della Chiesa. Si oppose, quando necessario, al potere politico. E il popolo stava con lui.
Il potere temporale nacque, come è noto, non dalla donazione di Costantino, che è certamente falsa, ma dalla funzione di supplenza che, nel vuoto di potere e, soprattutto di autorità, seguito alla caduta dell’impero romano di Occidente, la Chiesa fu chiamata a svolgere dalle stesse popolazioni dell’Impero. Ma uno stretto legame fra Vescovo e Popolo si era già manifestato sotto l’impero romano-cristiano, quando il rischio non era quello di una assenza dello Stato, ma, semmai, dall’interferenza di un Potere il cui capo era stato, sino a Graziano, anche il capo ufficiale della religione, nelle cose della Chiesa.
Il comportamento di Ambrogio nella controversia per le basiliche (285-386) e il rapporto nuovo da lui stabilito in quell’occasione col popolo di Milano sono, da questo punto di vista, paradigmatici, anche perché egli era giunto all’episcopato dalla carriera politica e, nella sua costante lealtà verso l’Impero, non rifiutò l’impegno politico a favore di esso quando, per due volte, nel 383/4 dopo la morte di Graziano e nel 386/7, si recò come ambasciatore in Gallia presso l’usurpatore Magno Massimo per scongiurare l’invasione dell’Italia e l’attacco al giovane Valentiniano II.
Ambrogio, che disapprovava il ricorso allo Stato per punire colpe interne alla Chiesa e che, nello stesso 386, poco dopo lo scontro per le basiliche, ruppe la comunione con i Vescovi della Gallia, colpevoli di aver sollecitato il braccio secolare contro gli eretici Priscillianisti, non esitò ad opporsi alla corte di Milano quando questa, in nome della libertà di culto, impose la consegna agli Ariani, “omeisti”, di una basilica cattolica, la Porziana (forse San Vittore al Corpo o San Lorenzo) e, più tardi, anche della Nova, che si trovava dentro le mura, in prossimità dell’attuale Duomo. Lungi dal rappresentare, come ha sostenuto qualche moderno, lo scontro fra due comunità rivali, esistenti da tempo a Milano, la vicenda che culminò con l’occupazione, da parte di Ambrogio e del popolo milanese a lui fedele, delle basiliche, nacque solo dopo la venuta a Milano, come ospite della corte (l’imperatrice Giustina, madre dell’imperatore, era filoariana) di Mercurino Aussenzio, vescovo “omeista” di Durosturum, dell’lI li rico, deposto da Teodosio, e con la richiesta imperiale, nel 385 e poi agli inizi del 386, della cessione di una basilica agli ariani, in nome della libertà di culto e con la minaccia della pena di morte.
La ricostruzione che Ambrogio dà della successione dei fatti è contenuta in due lettere dello stesso Ambrogio, quella a Valentiniano II, del marzo 386 (ep. 75 Faller = 21 Maur.) e quella alla sorella Marcellina (ep. 76 Faller = 20 Maur.) dell’aprile dello stesso anno, oltre che nel suo Sermo contra Auxentium.
Nella lettera a Valentiniano c’è il rifiuto di Ambrogio di discutere la questione nel Consistorium, alla presenza dell’imperatore, dopo aver scelto, come Aussenzio, dei giudici; Ambrogio rifiuta, dichiarando che egli non può mettersi a questionare nel Palazzo, perché egli non cerca né conosce gli intrighi del Palazzo, e citando una disposizione di Valentiniano l, secondo cui, in questioni riguardanti la religione, i sacerdoti devono essere giudicati solo da sacerdoti. Nella lettera a Marcellina, che, essendo confidenziale, ci dà della vicenda una versione molto colorita, dopo la sua felice conclusione, Ambrogio ricorda che, nel periodo immediatamente precedente alla Pasqua del 386, l’ordine di requisizione riguardava ormai due basiliche (la Porziana e la Nova) e che egli aveva risposto che un Vescovo non può consegnare un Tempio che appartiene a Dio, rendendosi colpevole di traditio; quando il prefetto del pretorio cercò di persuaderlo a ritirarsi almeno dalla Porziana, il popolo protestò; durante la settimana santa, dopo gli incidenti scoppiati nella basilica Nova quando gli incaricati dell’imperatore avevano cercato di stendere le “cortine” per indicare la requisizione, la corte tentò di scoraggiare il popolo, colpendo con multe altissime i commercianti, ma riuscì solo ad aumentare la tensione e la protesta popolare.
Il mercoledì santo (1 aprile del 386), mentre la basilica Nova era assediata dalle truppe e Ambrogio si trovava bloccato col popolo nella Vetus, una parte dei soldati avvertirono l’imperatore che lo avrebbero ubbidito solo se lo avessero visto assistere con i cattolici alle sacre funzioni e si unirono al popolo che occupava le basiliche. La corte parlò in quel¬l’occasione di usurpazione e presentò Ambrogio come un tyrannus, ma il giovedì santo, mentre Ambrogio leggeva il libro di Giona, l’imperatore dette all’improvviso l’ordine di togliere il blocco: “Allora compresi – conclude Ambrogio, riprendendo il libro di Giona – che il Signore aveva ucciso il verme antelucano, affinché tutta la città fosse salva”. Di queste vicende fu testimone Agostino, che era venuto a Milano nel 384, su richiesta della corte, inviato come maestro di retorica dal prefetto di Roma, Simmaco, che sperava probabilmente di mettere in imbarazzo, con l’aiuto del brillante oratore manicheo, il suo amico e avversario Ambrogio e che dovette restare deluso dalla conversione di Agostino e del suo abbandono della professione.
Della vicenda della controversia per le basiliche Agostino parla appena nelle Confessioni, che resta soprattutto la storia di un’anima, a cui i grandi avvenimenti, non solo politici ma anche ecclesiali del suo soggiorno a Milano, fanno soltanto da sfondo: “Il popolo devoto vegliava in Chiesa, pronto a morire col suo Vescovo, Tuo servo. Là passava le sue ore in preghiera mia madre, tra le più zelanti nel vegliare” (IX ,7). È significativo il fatto che Agostino, che non sembra dar molta importanza, per la sua conversione, ai suoi incontri personali con Ambrogio, da quello iniziale, in cui quest’ultimo lo accolse con benevolenza (V, 13), a quelli frequenti, per le strade, in cui il Vescovo si congratula”, a con lui per la pietà della madre (VI, 2), alle note attese sulla soglia di Ambrogio intento a leggere (VI, 3), ricordi invece con commozione i suoi incontri pubblici col Vescovo, in mezzo al suo popolo: quando lo ascoltava con assiduità, “mentre conversava pubblicamente” (V, 13), o quando “lo ascoltava con gioia nei suoi discorsi al popolo, mentre spiegava che la lettera uccide, ma lo spirito vivifica” (VI, 4), o, infine, quando, non ancora convertito, piangeva a dirotto durante il canto degli inni (IX, 7), al tempo, appunto, della occupazione elle basiliche.
La lotta per le basiliche fu una lotta per la libertà e il popolo di Milano la visse accanto al suo Vescovo. In questa intensa atmosfera umana e religiosa maturò e si concluse la conversione di Agostino.
BIBLIOGRFIA
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IL TIMONE N. 22 – ANNO IV – Novembre/Dicembre 2002 – pag. 22 – 23