Negli Anni Sessanta e Settanta si combatte in Indocina una guerra aperta fra Occidente e forze comuniste. Queste ultime la vinceranno grazie alla propaganda filocomunista all’interno dei paesi occidentali, in primis negli Usa. Una riflessione su un evento importante della storia contemporanea, indispensabile per capire i decenni successivi alla Seconda guerra mondiale
La Guerra del Vietnam (1960-1975) fra Vietnam del Nord, comunista, e Vietnam del Sud, filoccidentale (massicciamente supportato sul piano militare, economico e politico dagli Stati Uniti d’America) s’inserisce nel quadro più ampio della Guerra d’Indocina (1945-1975). Del resto, la si definisce anche Seconda guerra d’Indocina, giacché successiva alla prima fase del conflitto (1945-1954), combattuta dalle forze nazionaliste e comuniste vietnamite contro la potenza coloniale francese che da secoli governava gran parte della regione, e con essa in continuità diretta. Tutta la Guerra d’Indocina, e quindi la Guerra del Vietnam, costituisce un esempio rotondo di come le “lotte anticoloniali di liberazione”, particolarmente quelle successive alla Seconda guerra mondiale (1939-1945), siano state solo strumenti dell’espansione del comunismo internazionale guidato dall’Unione Sovietica e dalla Cina maoista, che del principio dell’autodeterminazione dei popoli ha fatto un uso ideologico sfociato solo in un neocolonialismo ideocratico ancora più nefasto.
Prologo francese (con additivo coreano)
I francesi giungono nella regione indocinese nel 1663, aprendovi la prima missione cattolica. I territori coloniali di questa regione fanno dunque parte prima dell’impero francese – suddiviso in un primo impero, monarchico, e in un secondo impero, stabilito, dopo le guerre napoleoniche (1803-1815), alla Restaurazione –, poi delle varie forme di unione politico-istituzionale tra metropoli e Oltremare varate dalla quarta (1946-1958) e dalla quinta repubblica (dal 1958) francesi dopo il 1945. L’Indocina francese (non l’unica Indocina) comprendeva il Tonchino (parte del futuro Vietnam, retto da un regime misto), l’Annam (altra parte del futuro Vietnam, un protettorato) e la Cocincina (ulteriore parte del futuro Vietnam), tutti raggruppati dal 1949 nello Stato del Vietnam; il Laos (retto anch’esso da un regime misto fra istituzioni locali e forze coloniali); e il protettorato della Cambogia (una monarchia sotto tutela francese).
Quando, nel giugno 1940, la Germania nazionalsocialista ne invade gran parte del territorio, la Francia si ritira dalle colonie indocinesi e ne approfitta il Giappone (in guerra con la Cina dal 1937), che occupa il Tonchino. Il resto dell’Indocina francese resta sotto il controllo della Francia detta “di Vichy”, cioè quella indipendente ancorché “collaborazionista” dei tedeschi, e questo fino alla sua caduta, nel 1945. Il capo della resistenza antigiapponese vietnamita è Nguyễn Sinh Cung, noto come Ho Chi Minh (1890-1969), leader nazional-comunista che, nel 1941, fondendo il Partito Comunista Indocinese e alcune realtà nazionaliste antioccidentali, crea il Việt Minh, la “Lega per l’Indipendenza del Vietnam”, una organizzazione sia politica sia paramilitare.
Quando, dopo la guerra, la Francia rientra in Indocina, Ho Chi Minh proclama, nel nord, la Repubblica Democratica del Vietnam con capitale Hanoi. Ne nasce un duro conflitto militare.
Nel frattempo, scoppia il primo vero conflitto caldo della Guerra fredda, vale a dire la Guerra di Corea (1950-1953) fra mondo comunista e Occidente: la sua conclusione comporta un enorme successo d’immagine del comunismo cinese, una magra figura del comunismo sovietico e una figura ancora più brutta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite; dunque un nulla di fatto politico, costato in tutto due milioni di vittime, che però permette a uno dei più truci regimi comunisti della storia, quello, ancora vivo e vegeto e minaccioso, della Corea del Nord, di sopravvivere.
L’effetto immediato della Guerra di Corea è però quello di spingere gli Stati Uniti a sostenere i francesi in Indocina, ma il disastro conseguente la sconfitta francese nella battaglia di Dien Bien Phu, nel 1954, segna la sconfitta di Parigi, la vittoria di Ho Chi Minh e una partizione al 17° parallelo del Vietnam che (sul modello di quanto fatto in Corea, divisa fra Nord comunista e Sud filoccidentale al 38° parallelo) lascia il Nord al comunismo e il Sud, per il quale si calendarizzano elezioni entro il luglio 1956 (mai avvenute), a regimi filoccidentali.
La fase americana
In quello stesso 1954, estromesso l’ultimo imperatore vietnamita, Nguyễn Phúc Vĩnh Thụy detto Bao Dai (1913-1997) – considerato troppo filofrancese e peraltro battuto in un referendum molto chiacchierato –, sale al potere Ngo Dinh Diem. Gli Stati Uniti sono al suo fianco.
Ma nel Sud inizia il sabotaggio dei Việt Cộng (cioè i “comunisti del Vietnam”), movimento di resistenza a Diem. Il Nord ammassa truppe nel delta del Mekong. Al Sud il terrorismo dilaga e gli scontri militari fra truppe del Nord e del Sud si fanno sempre più aperti. Il tutto raggiunge poi l’apice nel 1960, quando al Sud viene fondato il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN, composto anche da elementi nazionalisti non comunisti, ma ad appannaggio praticamente totale dei comunisti, appoggiati dal regime di Hanoi). La guerra vera e propria ha dunque inizio.
L’escalation è immediata. I 1364 consiglieri americani inviati nel 1961 da Washington nel Vietnam del Sud, nel 1962 sono già più di sette volte tanto. E, ritenuto ormai imbarazzante il governo autoritario di Diem, Washington comincia a provocare tensioni interne al Vietnam del Sud, che mettano in difficoltà il governo. Nel 1963, gli americani in Vietnam sono saliti a 15.500. Il presidente americano John F. Kennedy (1917-1963) decide a questo punto di accordarsi con i vertici militari sudvietnamiti per rimuovere Diem, il quale, con il beneplacito della CIA, viene ucciso durante un colpo di Stato il 2 novembre, solo pochi giorni prima dello stesso Kennedy, assassinato a Dallas il 22.
La situazione precipita. Nell’agosto 1964 il controverso, forse falso, incidente del Golfo del Tonchino (lo scontro a fuoco tra due cacciatorpediniere statunitensi e alcune torpediniere nordvietnamite, che fa gridare Washington all’agguato) dà l’occasione al presidente Lyndon Johnson (1908-1973) per impiegare ufficialmente le forze armate americane nella guerra. Il bombardamento del Vietnam del Nord inizia l’anno successivo, in febbraio, e in marzo lo sbarco dei marine a Da Nang avvia le operazioni su vasta scala. Nel 1967 il coinvolgimento militare americano nel conflitto conta ben mezzo milione di soldati.
L’offensiva del Tet (il capodanno vietnamita), alla fine del gennaio 1968, coglie clamorosamente di sorpresa gli statunitensi e il famoso massacro del villaggio di My Lai, il 19 marzo, che costa la vita a 347 civili abbattuti dagli americani, mette in crisi, a livello internazionale, e in modo irrimediabile, l’immagine di Washington. La vittoria del comunismo vietnamita inizia remotamente qui.
In aprile si aprono i colloqui di Parigi tra Stati Uniti e Vietnam del Nord, e in ottobre Johnson ferma i bombardamenti sul Nord. Richard Nixon (1913- 1994), successore di Johnson, si insedia alla Casa Bianca alla fine del gennaio 1969. Subito annuncia colloqui riservati con Hanoi, ma nel 1971 il Vietnam del Sud, con il sostegno di Washington, invade il Laos per interrompere i rifornimenti e il sostegno che il Nord dava da sempre all’FLN nel Sud percorrendo il cosiddetto “sentiero di Ho Chi Minh” che appunto attraversa il Laos onde penetrare facilmente nel Vietnam del Sud aggirando gli ostacoli. La Guerra civile laotiana (1953-1975) è del resto strettamente legata a quella, complessiva, d’Indocina, diventando a tratti anche un vero e proprio capitolo della Guerra del Vietnam. È detta anche “Guerra segreta”, giacché gli americani vi furono sempre presenti a sostegno delle forze anticomuniste e però clandestinamente, per via di accordi internazionali che impedivano un loro coinvolgimento palese.
Se poi nel 1972, anno della sua storica visita in Cina, Nixon annuncia la prossimità della pace, l’anno dopo vede la ripresa dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord. Ma l’epilogo è alle porte. Nel 1973 gli USA ufficialmente si disimpegnano dal teatro bellico indocinese. I loro morti sono 58mila e i feriti più di 153mila mentre le vittime vietnamite sono un numero ignoto, enorme, calcolato tra il mezzo e i quattro milioni di caduti.
Una guerra giusta persa male
Hanoi ha finalmente così campo libero. Inesorabilmente, procede lungo la marcia vittoriosa che lo porta al Sud, che viene invaso, occupato, martoriato ancora più di quanto già avesse fatto la guerra guerreggiata. Il 30 aprile Saigon, capitale del Sud, è invasa dalle truppe di Hanoi. La guerra è finita, almeno quella aperta, degli eserciti, delle grandi manovre scoperte. Perché la guerra della persecuzione, del totalitarismo, dell’apparente pacificazione che in realtà uccide non meno di carri armati e aerei continua, s’intensifica, cresce.
Molti ambienti militari e civili statunitensi accusano, ancora oggi, l’allora Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, di avere costretto a un destino atroce migliaia di prigionieri americani ancora nelle mani dei comunisti vietnamiti, per non averne richiesto il rimpatrio. Ma Kissinger aveva già vinto, nel 1973, il Nobel per la Pace e il Vietnam non interessava più. Unificato nel nome del comunismo, il Paese indocinese è così divenuto da subito l’ennesimo inferno terrestre del marxismo-leninismo in cui ogni oppositore, “contro-rivoluzionario”, “amico degli americani” (come i cosiddetti montagnard, i vietnamiti cattolici degli altipiani che durante la guerra combatterono con coraggio il comunismo) o esponente religioso che non si piegasse allo Stato totalitario può essere arbitrariamente incarcerato, picchiato, persino ucciso.
Davvero quella del Vietnam fu una guerra giusta – poiché mirava a fermare il comunismo in un settore geostrategico d’importanza notevole in un tempo cruciale della storia della Guerra fredda –, ma combattuta pessimamente. Non dai soldati, i quali, oltre agli errori da cui l’uomo non è mai purtroppo esente, si coprirono di onore e di gloria sui campi di battaglia, operando spesso il bene fra tanto male: fu invece persa in patria dalla politica, da parti del governo, dai media ideologizzati, dalla controcultura della cosiddetta nuova Sinistra statunitense che negli anni 1960 – il “Sessantotto americano”– si rese protagonista di una sovversione e di un tradimento enormi.
IL TIMONE N. 116 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 22 – 24
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