Massoni, anarchici, socialisti e comunisti: per tutti la Chiesa era il principale ostacolo alla rinascita del paese e la sua eliminazione la premessa di un nuovo, luminoso futuro. La tragedia della guerra civile spagnola.
Le parole d’ordine ai comitati rivoluzionari erano: «trattandosi di sacerdoti, né pietà né prigionieri: bisogna ammazzarli tutti»; «Per i preti non c’è alcuna possibilità di salvezza. Tutti debbono essere uccisi»; «Vi abbiamo detto che dovete ammazzarli tutti e per primo quelli ritenuti i migliori e più santi». (Vicente Cárcel Orti, in 30Giorni, marzo 90)
In ambito cattolico si parla di rado e con vistoso imbarazzo della guerra di Spagna e appare del tutto naturale il fatto che alcuni religiosi e teologi spagnoli si siano scusati per l’appoggio dato dalla Chiesa al regime franchista. Di contro, gli eredi politici dei repubblicani non hanno mai rinnegato la propria vecchia vulgata: il governo democratico, liberamente eletto nel 1936, venne abbattuto da una rivolta dell’esercito, appoggiata dagli strati più retrivi della società spagnola e alimentata da imponenti aiuti provenienti dai regimi nazifascisti. Gli “eccessi” commessi nei confronti del clero furono la risposta popolare all’alleanza della Chiesa coi militari, per non citare l’usanza, diffusa tra i preti spagnoli, di tirare fucilate dall’alto dei campanili.
In realtà l’aggressione alla Chiesa cattolica spagnola iniziò molto prima, a partire dall’espulsione dei gesuiti nel 1767 e continuò per tutto il XIX secolo, nel corso del quale furono trucidati 371 religiosi. Le aggressioni si intensificarono man mano che la nazione entrava in una crisi profondissima, economica, politica e militare. Per massoni, anarchici e socialisti, la Chiesa era il principale ostacolo alla rinascita del paese e la sua eliminazione la premessa di un nuovo, luminoso futuro. Così, mentre una politica antiecclesiastica sottraeva alla Chiesa ogni compito educativo e la estro metteva dalla vita della nazione, gruppi ben organizzati incendiavano e distruggevano decine e decine di chiese e di scuole come nella settimana tragica di Barcellona, dal 25 al30 luglio 1909, fino alle mostruosità della rivolta delle Asturie nel 1934. Di fronte a tali attacchi, la Chiesa spagnola reagì come poté, forse in ritardo, ma la dura realtà, perso, tuttavia più per sentimenti atavici che per convinzione proveniente da una fede matura e viva”, mentre secondo il gesuita Francisco Peirò, nel 1931, solo il 5% della popolazione della Nuova Castiglia aveva santificato il precetto pasquale. La Spagna aveva assoluto bisogno di essere rievangelizzata ma era proprio questa debolezza a ispirare, nei suoi avversari, il tentativo di abbattere la Chiesa con la violenza una volta per tutte.
Nel 1934 i cattolici e il centro destra vinsero le elezioni ma la debolezza del governo da essi sostenuto portò ad elezioni anticipate che furono vinte, nel febbraio 1936, dalle sinistre, grazie a un sistema elettorale che diede loro un vantaggio schiacciante in seggi. Nella primavera di quell’anno si contarono centinaia di aggressioni e di omicidi, molti dei quali, per la verità, attribuibili alla neonata Falange di estrema destra, anch’essa di matrice anticlericale. L’esponente monarchico Calvo Sotelo denunciò lo stato di anarchia in cui si trovava il paese, affrontando una canea urlante minacce e insulti, in un clima che ricorda quello che accolse l’ultimo discorso di Giacomo Matteotti. Come per il deputato italiano, fu un gruppo di scherani, forse interpretando i desideri dei capi, ad assassinare Calvo Sotelo il 13 luglio 1936. I militari, dal canto loro, si erano già preparati allo scontro, al pari delle confederazioni sindacali anarchiche e socialiste e dei carlisti navarresi, eredi dei sostenitori di Don Carlos e della tradizione cattolica spagnola.
La rivolta dei militari fu, inizialmente, confusa e pasticciata come i pronunciamientos che l’avevano preceduta e, inizialmente, parve che il governo avrebbe schiacciato facilmente l’insurrezione. Un terzo dell’esercito, quasi tutta la marina e gran parte dell’aviazione rimasero fedeli al governo. Fu l’intervento italiano a cambiare le sorti del conflitto, cui seguirono quello francese, sovietico e nazista.
Quali furono allora i fattori che determinarono la vittoria di Francisco Franco?
La risposta può essere rinvenuta in un esame imparziale della principale caratteristica di quel lungo e sanguinoso conflitto e cioè le stragi commesse dalle due parti. È ormai un dato incontrovertibile che la Chiesa spagnola fu letteralmente massacrata nei modi più atroci e basteranno alcune cifre: 4184 sacerdoti e seminaristi, 2365 frati, 283 suore, quasi tutti trucidati nei primi sei mesi di guerra. È pur vero che anche i franchisti passarono per le armi circa 40.000 oppositori nel corso della guerra, ma è anche vero che, secondo l’imparziale, e laburista, Hugh Thomas, “circa 50.000 persone furono giustiziate o trucidate tra il 18 luglio e il 1° settembre 1936” in territorio repubblicano: a tali vittime vanno aggiunti i trozkisti e gli anarchici eliminati dai comunisti nel corso di purghe sanguinose. Proprio i numerosi miliziani anarchici badarono più a sterminare i cristiani che a combattere i requetes carlisti, ossessionati dal nemico interno, simili a Hitler, il quale ordinò che i vagoni piombati carichi di ebrei avessero la precedenza sui convogli di rifornimenti diretti al fronte orientale.
Il principale merito di Francisco Franco fu il realismo politico, spesso cinico, spietato e ingiusto, come quando fece fucilare sedici sacerdoti baschi, colpevoli solo di volere la libertà del proprio popolo. Franco riuscì a fondere in un solo partito falangisti e carlisti, ottenendo, dopo un lungo periodo di diffidenza, anche l’appoggio dell’episcopato spagnolo e della Santa Sede. Notevole fu pure l’intuizione che lo distolse dal tentare la conquista di Madrid nel settembre del 1936 per liberare dall’assedio i difensori dell’Alcazar, simbolo di una resistenza incrollabile sostenuta da una fede profonda. Memorabile è rimasto il dialogo tra il colonnello Moscardò e il figlio Luis, minacciato di fucilazione se l’Alcazar non si fosse arreso: «Se è vero – disse il colonnello – raccomanda la tua anima a Dio, grida “Viva Espafia!” e muori da eroe. Addio figlio mio, un ultimo bacio». «Addio papà, un grosso bacio»: sia Luis che il fratello Carmel furono fucilati poco dopo. I cattolici, in effetti, si batterono con l’eroismo di sempre: i carlisti andavano all’attacco seguendo un crocifisso sorretto dal portabandiera più giovane e la resistenza delle guarnigioni di Oviedo e del Santuario di Santa Maria della Cabeza sono degne di un’epopea tragica. Davanti a simili drammi, i cristiani di oggi “storcono la bocca, scuotono il capo”, come d’altronde fecero, all’epoca, Alcide de Gasperi e don Luigi Sturzo: il primo, pur comprendendo i motivi dell’insurrezione militare, la disapprovava in quanto il conflitto aveva fatto più vittime della persecuzione; il secondo, mentre riteneva illegittima la rivolta dei militari, considerava la persecuzione come un male minore, e ammetteva solo la resistenza passiva o, al più, quella limitata alla stretta autodifesa personale.
Pur lasciando al lettore un commento su tali posizioni, resta il dubbio che la palese inadeguatezza di tali giudizi derivi da un’idea di pace che, oggi, si sta affermando in misura sempre maggiore.In ambito cattolico si parla di rado e con vistoso imbarazzo della guerra di Spagna e appare del tutto naturale il fatto che alcuni religiosi e teologi spagnoli si siano scusati per l’appoggio dato dalla Chiesa al regime franchista. Di contro, gli eredi politici dei repubblicani non hanno mai rinnegato la propria vecchia vulgata: il governo democratico, liberamente eletto nel 1936, venne abbattuto da una rivolta dell’esercito, appoggiata dagli strati più retrivi della società spagnola e alimentata da imponenti aiuti provenienti dai regimi nazifascisti. Gli “eccessi” commessi nei confronti del clero furono la risposta popolare all’alleanza della Chiesa coi militari, per non citare l’usanza, diffusa tra i preti spagnoli, di tirare fucilate dall’alto dei campanili.
In realtà l’aggressione alla Chiesa cattolica spagnola iniziò molto prima, a partire dall’espulsione dei gesuiti nel 1767 e continuò per tutto il XIX secolo, nel corso del quale furono trucidati 371 religiosi. Le aggressioni si intensificarono man mano che la nazione entrava in una crisi profondissima, economica, politica e militare. Per massoni, anarchici e socialisti, la Chiesa era il principale ostacolo alla rinascita del paese e la sua eliminazione la premessa di un nuovo, luminoso futuro. Così, mentre una politica antiecclesiastica sottraeva alla Chiesa ogni compito educativo e la estro metteva dalla vita della nazione, gruppi ben organizzati incendiavano e distruggevano decine e decine di chiese e di scuole come nella settimana tragica di Barcellona, dal 25 al30 luglio 1909, fino alle mostruosità della rivolta delle Asturie nel 1934. Di fronte a tali attacchi, la Chiesa spagnola reagì come poté, forse in ritardo, ma la dura realtà, perso, tuttavia più per sentimenti atavici che per convinzione proveniente da una fede matura e viva”, mentre secondo il gesuita Francisco Peirò, nel 1931, solo il 5% della popolazione della Nuova Castiglia aveva santificato il precetto pasquale. La Spagna aveva assoluto bisogno di essere rievangelizzata ma era proprio questa debolezza a ispirare, nei suoi avversari, il tentativo di abbattere la Chiesa con la violenza una volta per tutte.
Nel 1934 i cattolici e il centro destra vinsero le elezioni ma la debolezza del governo da essi sostenuto portò ad elezioni anticipate che furono vinte, nel febbraio 1936, dalle sinistre, grazie a un sistema elettorale che diede loro un vantaggio schiacciante in seggi. Nella primavera di quell’anno si contarono centinaia di aggressioni e di omicidi, molti dei quali, per la verità, attribuibili alla neonata Falange di estrema destra, anch’essa di matrice anticlericale. L’esponente monarchico Calvo Sotelo denunciò lo stato di anarchia in cui si trovava il paese, affrontando una canea urlante minacce e insulti, in un clima che ricorda quello che accolse l’ultimo discorso di Giacomo Matteotti. Come per il deputato italiano, fu un gruppo di scherani, forse interpretando i desideri dei capi, ad assassinare Calvo Sotelo il 13 luglio 1936. I militari, dal canto loro, si erano già preparati allo scontro, al pari delle confederazioni sindacali anarchiche e socialiste e dei carlisti navarresi, eredi dei sostenitori di Don Carlos e della tradizione cattolica spagnola.
La rivolta dei militari fu, inizialmente, confusa e pasticciata come i pronunciamientos che l’avevano preceduta e, inizialmente, parve che il governo avrebbe schiacciato facilmente l’insurrezione. Un terzo dell’esercito, quasi tutta la marina e gran parte dell’aviazione rimasero fedeli al governo. Fu l’intervento italiano a cambiare le sorti del conflitto, cui seguirono quello francese, sovietico e nazista.
Quali furono allora i fattori che determinarono la vittoria di Francisco Franco?
La risposta può essere rinvenuta in un esame imparziale della principale caratteristica di quel lungo e sanguinoso conflitto e cioè le stragi commesse dalle due parti. È ormai un dato incontrovertibile che la Chiesa spagnola fu letteralmente massacrata nei modi più atroci e basteranno alcune cifre: 4184 sacerdoti e seminaristi, 2365 frati, 283 suore, quasi tutti trucidati nei primi sei mesi di guerra. È pur vero che anche i franchisti passarono per le armi circa 40.000 oppositori nel corso della guerra, ma è anche vero che, secondo l’imparziale, e laburista, Hugh Thomas, “circa 50.000 persone furono giustiziate o trucidate tra il 18 luglio e il 1° settembre 1936” in territorio repubblicano: a tali vittime vanno aggiunti i trozkisti e gli anarchici eliminati dai comunisti nel corso di purghe sanguinose. Proprio i numerosi miliziani anarchici badarono più a sterminare i cristiani che a combattere i requetes carlisti, ossessionati dal nemico interno, simili a Hitler, il quale ordinò che i vagoni piombati carichi di ebrei avessero la precedenza sui convogli di rifornimenti diretti al fronte orientale.
Il principale merito di Francisco Franco fu il realismo politico, spesso cinico, spietato e ingiusto, come quando fece fucilare sedici sacerdoti baschi, colpevoli solo di volere la libertà del proprio popolo. Franco riuscì a fondere in un solo partito falangisti e carlisti, ottenendo, dopo un lungo periodo di diffidenza, anche l’appoggio dell’episcopato spagnolo e della Santa Sede. Notevole fu pure l’intuizione che lo distolse dal tentare la conquista di Madrid nel settembre del 1936 per liberare dall’assedio i difensori dell’Alcazar, simbolo di una resistenza incrollabile sostenuta da una fede profonda. Memorabile è rimasto il dialogo tra il colonnello Moscardò e il figlio Luis, minacciato di fucilazione se l’Alcazar non si fosse arreso: «Se è vero – disse il colonnello – raccomanda la tua anima a Dio, grida “Viva Espafia!” e muori da eroe. Addio figlio mio, un ultimo bacio». «Addio papà, un grosso bacio»: sia Luis che il fratello Carmel furono fucilati poco dopo. I cattolici, in effetti, si batterono con l’eroismo di sempre: i carlisti andavano all’attacco seguendo un crocifisso sorretto dal portabandiera più giovane e la resistenza delle guarnigioni di Oviedo e del Santuario di Santa Maria della Cabeza sono degne di un’epopea tragica. Davanti a simili drammi, i cristiani di oggi “storcono la bocca, scuotono il capo”, come d’altronde fecero, all’epoca, Alcide de Gasperi e don Luigi Sturzo: il primo, pur comprendendo i motivi dell’insurrezione militare, la disapprovava in quanto il conflitto aveva fatto più vittime della persecuzione; il secondo, mentre riteneva illegittima la rivolta dei militari, considerava la persecuzione come un male minore, e ammetteva solo la resistenza passiva o, al più, quella limitata alla stretta autodifesa personale.
Pur lasciando al lettore un commento su tali posizioni, resta il dubbio che la palese inadeguatezza di tali giudizi derivi da un’idea di pace che, oggi, si sta affermando in misura sempre maggiore.
BIBLIOGRAFIA
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