Nel linguaggio contemporaneo s’incontrano alcune parole che hanno la forza di evocare ideali, di suscitare aspirazioni e rivendicazioni, parole che vengono usate come talismani. Una di queste è “libertà”. Il pensiero occidentale ha fatto luce in modo graduale sulla questione della libertà man mano che andava interrogandosi e delineando una risposta sulla natura umana.
Gli antichi
Socrate (470 o 469 a.c. – 399 a.c.) centra la propria riflessione sulla natura dell’uomo che identifica con la ragione. Se lo specifico dell’uomo è la ragione, la sua perfezione, cioè l’attuazione della sua natura, sarà la conoscenza, e l’ignoranza sarà la radice di ogni vizio. Socrate non riesce ad uscire dalla difficoltà posta dal suo “intellettualismo”: se l’uomo sta tutto nella sua ragione, quando conosce il vero necessariamente dovrà agire secondo la sua conoscenza, farà il bene o il male a seconda di ciò che la sua ragione ha conosciuto. Socrate individua una radice della libertà, perché chi non conosce la verità non può attuare pienamente la propria libertà, ma non identifica un’altra caratteristica fondamentale dell’agire umano: la capacità di scegliere.
Aristotele (385 a.c. – 322 a.c.) approfondisce criticamente l’etica socratica. L’etica di Aristotele ha il suo punto di partenza nella metafisica e nell’antropologia: l’uomo è “animale razionale”, la razionalità, oltre a testimoniare l’esistenza di una dimensione immateriale, è anche fondamento della scelta: “Che cosa è … la scelta? È manifestamente un che di volontario… Ma non sarà forse quel volontario che è preceduto da una deliberazione? Infatti, la scelta è accompagnata da ragione, cioè da pensiero”. (Etica Nicomachea, III, 2, 1112 a 13-16). Come la ragione è la caratteristica che distingue la conoscenza umana dalla conoscenza solo sensibile degli animali, così la scelta volontaria è la proprietà che distingue l’agire umano da ogni altro agire materiale.
Patristica e scolastica
Le riflessioni patristica e scolastica affrontano il problema della libertà utilizzando gli elementi offerti dalla filosofia classica, ma componendoli in una sintesi originale: compare per la prima volta il termine esplicito “libero arbitrio”. S. Anselmo d’Aosta (1034 – 1109), che s’ispira a S. Agostino (354 – 430), afferma che il libero arbitrio è la possibilità di peccare o non peccare, di scegliere il bene o il male.
S. Tommaso d’Aquino (1225 – 1274) descrive il rapporto tra ragione e volontà in modo semplice e magistrale, facendo emergere in tutto il suo spessore la dignità della persona umana e la sua conseguente responsabilità: “l’uomo si distingue dalle altre creature, non ragionevoli, perché padrone dei propri atti. Perciò in senso stretto si dicono umane solo le azioni di cui l’uomo ha la padronanza. D’altra parte l’uomo è padrone dei propri atti mediante la ragione e la volontà… quindi. . . sono chiamate umane le azioni che derivano dalla deliberata volontà” (Summa theol., I-II, q.1, a.1). La radice della libertà è la volontà, ma la sua causa è la ragione: “Infatti la volontà può liberamente indirizzarsi a cose diverse, perché la ragione è capace di concepire diversi beni” (Summa theol., I-II, q. 17, a.1, ad 2).
La libertà dunque sta nel fatto che l’uomo è padrone dei propri atti: essere liberi significa essere causa delle proprie azioni perché sono state scelte e la scelta non riguarda solo il “modo” in cui si realizza qualcosa, ma soprattutto il “perché”, cioè il fine del proprio agire; perciò l’uomo è responsabile delle proprie azioni. In tutto l’universo sensibile solo l’uomo è dotato di libertà e infatti tale proprietà peculiare ed esclusiva non gli proviene dalla corporeità, ma dalle facoltà spirituali.
I moderni
Nella filosofia moderna la libertà come reale possibilità di scelta viene messa in discussione dall’immanentismo panteistico di Spinoza e dall’idealismo tedesco. In entrambi i casi il dato di partenza è l’esistenza di un unico piano dell’essere, pensato come “sostanza” da Spinoza e c..0me “spirito” dall’idealismo. .
Se esiste un’unica realtà, essa deve per forza essere pensata come causa di se stessa, come realtà necessaria, quindi non ha senso porsi il problema della libertà umana come reale possibilità di scelta: ciò che accade è sempre necessario, non può essere diverso da come è.
Anche il positivismo nega di fatto l’esistenza della libertà perché considera l’uomo come totalmente soggetto alle leggi di natura; le azioni umane, per i positivisti e i neo-positivisti, hanno solo l’apparenza della libertà, mentre di fatto sono sottoposte allo stesso determinismo fisico-meccanico a cui è soggetto il resto del mondo.
Esistenzialismo
Tra le molte prospettive che potrebbero essere prese in considerazione nel pensiero contemporaneo, l’esistenzialismo merita un’attenzione particolare per l’influenza che ha lungamente esercitato anche all’interno del mondo cattolico. L’esistenzialismo vuole superare sia l’idealismo che il positivismo per rivalutare l’esistenza concreta dell’uomo. È Martin Heidegger (1889 – 1976) in Essere e tempo, opera pubblicata nel 1927, a porre le coordinate fondamentali all’interno delle quali si muoverà il pensiero esistenzialista. L’idealismo e il positivismo avevano, sia pure per motivi diversi, chiuso l’uomo all’interno di un orizzonte totalmente necessario. Contro questa riduzione del soggetto a cosa, Heidegger afferma che il modo di essere dell’uomo è l’esistenza; la sua natura, la sua essenza è esistenza, cioè pura possibilità, puro poter-essere.
Il problema che sorge da questa impostazione è che viene meno il fine verso cui l’uomo deve tendere: quale progetto deve attuare la libertà se non c’è più una natura e quindi un bene ultimo da raggiungere a essa conseguente?
Dall’esistenzialismo nasce un’idea di libertà come spontaneità, immediatezza. L’atto libero procede dalla deliberazione, mentre l’atto spontaneo dall’istintività. L’esperienza della coscienza testimonia che nell’uomo c’è come una sospensione, una discontinuità tra gli impulsi e l’atto. In questo intervallo, che non deve essere pensato come un periodo di tempo, ma come l’atto con cui l’io personale interviene scegliendo, orientando la volontà e assumendo o respingendo l’azione, si compie l’opera della libertà.
RICORDA
«”La vera libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l’uomo ‘in mano al suo consiglio (cf. Sir 15,14), così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione” (Gaudium et Spes, 17). Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancor prima l’obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta”.
(Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 34).
BIBLIOGRAFIA
G.S. Agostino, De libero arbitrio.
S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 6-21.
Karol Wojtyla, Persona e atto, Libreria Editrice Vaticana, Città del vaticano 1982.
Franco Amerio, La dottrina della fede, Ares, Milano 1982.
Cornelio Fabro, voce libertà, in Enciclopedia cattolica, vol. VII, coll. 1283-1287.
M. Sordi, Il sacramentum in Plin. Ep. X, 96, 7, in Vetera Christianorum, 19, 1982, 97 sgg. e, ora, in Da mysterion a sacramentum, in corso di pubblicazione.
IL TIMONE N. 24 – ANNO V – Marzo/Aprile 2003 – pag. 26 – 27