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12.12.2024

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La libertà religiosa
31 Gennaio 2014

La libertà religiosa

Nel mondo la libertà religiosa è spesso calpestata e minacciata. Anche nel nostro continente. Ne parliamo con Attilio Tamburrini, direttore italiano di «Aiuto alla Chiesa che soffre».

Sarebbe bello, se il mappamondo avesse un’ascella, applicarvi un termometro come si fa ai malati per prendere la temperatura: hanno la febbre oggi i diritti umani? E come sta la libertà? Ma solo due persone, forse, sono in grado di misurare più o meno così lo stato di salute «morale» del pianeta: Mafalda, surreale creatura del disegnatore argentino Quino, e – da 6 anni – anche Attilio Tamburrini, direttore della sezione italiana di «Aiuto alla Chiesa che Soffre» (l’associazione fondata da padre Werenfried van Straaten, più noto come «Padrelardo») nonché responsabile del «Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo», uscito a giugno con la sua VI edizione. Un’iniziativa unica che, grazie a collaboratori in tutto il globo, riesce a tastare il polso alle più delicate situazioni di emergenza religiosa del pianeta.

Dunque, Tamburrini: come sta il mappamondo, dal punto di vista delle fedi?

«Anzitutto l’ispirazione generale del nostro lavoro non è solo “confessionale”. Noi abbiamo preso sul serio un’affermazione di Giovanni Paolo II, che cioè la libertà religiosa è un test per verificare in ogni Paese il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Si tratta del rovesciamento della posizione assunta in genere dall’opinione pubblica, che prima si occupa delle strutture politico-sociali e poi semmai di quelle religiose; ma la proposta del Papa va al centro del problema: se non c’è libertà religiosa, infatti, anche tutti gli altri diritti sono fittizi, perché il sacro è il cuore dell’esperienza umana».

Per riprendere l’immagine iniziale, dunque, la possibilità di praticare la religione è «il termometro» di tutte le altre libertà…

«Infatti. Una libertà religiosa però non astratta, ma che implica la possibilità concreta di conversione, di praticare il culto, di educare i figli nella fede, di godere dell’assistenza religiosa nei luoghi di aggregazione pubblica (caserme, ospedali…), di organizzare la propria chiesa senza ingerenze… Nota bene: noi ci occupiamo della libertà di tutte le fedi, non solo della cattolica».

Vediamo allora le novità del Rapporto 2005. Quali sono i Paesi più «malati» quanto a religione?

«L’impressione generale è che non ci siano stati troppi miglioramenti rispetto al passato, anzi si notano segnali pericolosi. Un esempio: i regimi social-comunisti, in pratica Cina, Vietnam e Cuba. In Cina la situazione dei credenti è peggiorata a causa delle direttive sul controllo della vita religiosa, così come nel Vietnam dove – a detta dei vescovi – le leggi attuali sono peggiori di quelle di Ho Chi Minh. In questi Paesi il fatto religioso è sempre concepito come una concessione dello Stato, non come diritto personale, e dunque va esercitato sotto autorizzazione e controllo. Il che significa che non si può praticare la fede nemmeno privatamente, in casa propria; e infatti nascono le Chiese clandestine».

Allora le aree di crisi per le religioni non sono soltanto le nazioni islamiche.

«Quello è un altro settore dove la persecuzione ha ripreso vigore. Però la situazione è piuttosto ambigua: la presenza di forti pressioni fondamentaliste in regimi di per sé non integralisti, infatti, produce per contrasto un’inattesa liberalizzazione. In Egitto, ad esempio, si è introdotto l’insegnamento della cultura cristiana nelle scuole, per tentare di bloccare l’offensiva fondamentalista. In Marocco è stato riformato in senso più liberale il diritto familiare. C’è dunque qualche elemento positivo persino dove esiste il fondamentalismo».

Dobbiamo smettere di preoccuparci dell’islam?

«Un momento: la situazione rimane costantemente grave in varie nazioni islamiche. In Indonesia, ad esempio, anche se recentemente ci sono state meno stragi di cristiani. In Nigeria. In Sudan, nella regione del Darfur e in tutto il Sud. In India per l’aggressività del fondamentalismo induista che attacca soprattutto le scuole cristiane…».

Guerre di religione?

«Casi conflittuali in regioni di frontiera, dove si mescolano parecchi altri elementi: politici, economici, culturali. In nome della religione, in realtà, è difficile fare una guerra: perché chi approfondisce la fede, è raro che sia spinto al massacro di altri. Nei gruppi fondamentalisti armati il grado di adesione religiosa è simile a quello degli ultras degli stadi: un’identificazione irrazionale più che di consapevole fede. In Iraq, per esempio, la guerra è così poco “di religione” che i terroristi islamici attaccano anche i fratelli di fede, mettono bombe contro gli sciiti e nelle stesse moschee».
Passiamo all’America. Tutto bene laggiù?
«Negli Usa si segnala solo qualche atteggiamento anti-islamico, dovuto agli attentati dell’11 settembre che hanno dato origine a intolleranze.
In America latina, invece, preoccupa la situazione del Venezuela, dove il presidente Chavez cerca di creare un blocco continentale legato a Cuba e per certi aspetti sembra di essere tornati negli anni Settanta. Si parla apertamente di “cubanizzazione” della società e la situazione della Chiesa sta diventando pesante, per la sottrazione di influenza in vari settori e il taglio di tutti gli aiuti».

In Europa invece nessun problema, dal punto di vista religioso. O no?

«In Occidente va accentuandosi il rischio della “dittatura del relativismo”, come ha subito sottolineato Papa Ratzinger. L’aggressione è sempre più forte in varie nazioni. In Spagna si vocifera di un “comitato per la laicizzazione” che eliminerà tutte le strutture cattoliche nello Stato e nella recente proposta di legge sulla fecondazione assistita non viene posto alcun limite di età per accedervi, né di sperimentazioni sull’embrione. In Svezia è stato processato (e poi assolto, per fortuna) un pastore protestante che aveva semplicemente letto i passi biblici sugli omosessuali. Si registrano poi casi – è successo ad esempio in Belgio – in cui nelle cause di separazione vengono già privilegiati nell’assegnamento dei figli i coniugi non religiosi, perché considerati meno «pericolosi» per il «condizionamento» della prole [ndr: cfr. un caso analogo italiano sul Timone di giugno]. Per finire con la proposta per l’espulsione della Santa Sede dall’Unione europea perché il Vaticano non è uno Stato democratico e perché discrimina la donna…».

Però non possiamo dire che da noi non esista libertà religiosa…

«È vero. Per ora si tratta solo di rischi, ma intanto si diffonde una mentalità quasi di relativismo obbligatorio. Soprattutto l’incidenza sociale della fede viene sempre più attaccata. E poi in Europa l’aggressione alla religione è più subdola, perché dà l’impressione di azzerare tutti i valori in nome di una presunta libertà assoluta e generale. Invece alla fine, senza più punti di riferimento comuni, si arriva a negare la libertà per tutti. Se in Francia la legge che vieta lo chador in classe è stata applicata anche alla veste dei cappellani nelle carceri, per esempio, che cosa impedisce che prima o poi si chieda di eliminare ogni altro simbolo religioso, chiese comprese?».

Bibliografia

Aiuto alla Chiesa che Soffre, www.acs-italia.org, tel. 06-69893911
Idem, Rapporto 2005 sulla libertà religiosa nel mondo, Quaderni della Chiesa che Soffre, Roma 2005.

Dossier: La libertà: dono inestimabile

TIMONE – N. 45 – ANNO VII – Luglio-Agosto 2005 – pag. 42-43

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