1) La volontà è la facoltà propria della persona. La ragione basta a sapere che cosa è bene, ma non ancora ad amarlo, né perciò ad essere buoni. La volontà incide sull'identità morale dell'uomo, assimila l'uomo al valore di quanto è fatto oggetto di scelta. L'uomo è buono per la bontà della sua volontà. Grazie ad essa infatti userà bene di tutto ciò che è in suo potere.
La tesi ha costretto Fabro ad una correzione dell'importanza che la tradizione tomista assegna alla ragione nella costituzione della libertà. Secondo san Tommaso la ragione è il fondamento della libertà. Grazie ad essa possiamo cogliere il bene reale, discernendolo dal bene illusorio. Grazie alla ragione possiamo progettare le indefinite possibilità d'azione che ci si offrono. La conoscenza dell'essere è perciò condizione necessaria del volere e della creatività.
Anche per Fabro la volontà dipende dalla conoscenza del bene. Tale dipendenza è tuttavia una condizione necessaria, ma non sufficiente per la genesi dell'agire. Il bene conosciuto esige di essere amato. L'amore è motivato dalla presenza del bene manifestata dalla ragione, ma nel suo atto di adesione dipende soltanto dall'iniziativa della persona. Il volere come risposta personale al bene non è derivabile causai mente da un altro principio. «Formalmente l'intelletto fonda tutta l'attività volontaria, ma più come "condizione" che come causa; è la volontà che muove se stessa (Riflessioni sulla libertà, p. 72)».
2) La libertà si esercita primariamente rispetto ai fini. Si è detto che la volontà qualifica direttamente l'essere morale della persona. Ma il fine della vita è ciò in cui il soggetto si riconosce, ciò cui tende attraverso tutto l'agire. Se la libertà dispone dunque dell'identità più profonda della persona, essa deve riferirsi al fine. Se pur, di fatto, si può fraintendere il fine in molti modi, il Bene ultimo (Dio) dev'esser assunto come fine tramite l'atto proprio della libertà: la scelta.
Si sottolinea così che l'uomo è libero perché si porta da sé al fine, e che proprio perciò egli, e non l'animale, può deviare da esso o fraintenderlo.
«Nella scelta del fine esistenziale, altro è perciò il piano oggettivo formale nel quale Dio ch'è l'Assoluto non ha competitori e altro è il piano soggettivo reale nel quale Dio ha per competitori tutti i beni umbratili che possono travolgere l'uomo per preferirli a Dio nella sua scelta. Pertanto, anche se sotto l'aspetto metafisico Dio non è un oggetto di scelta, a causa della sua trascendenza, diventa invece per l'uomo oggetto di scelta – e di una scelta decisiva per il suo essere – nella sfera della libertà (C. Fabro, La libertà in san Bonaventura, in "Atti del Congresso Internazionale per il VII Centenario di S. Bonaventura da Bagnoregio», Roma 1976, t. Il p. 531).
Per via della libertà l'esistenza umana ha il carattere di un'avventura rischiosa, ma non solitaria. Fabro ha colto nella libertà l'atto per il quale l'uomo, unico tra gli esseri, è capace di rispondere al dono dell'essere che gli è stato fatto. In tal senso, la sua riflessione sulla libertà risulta come la chiusura della sua riflessione metafisica. La creazione senza la libertà risulterebbe incomprensibile. Sullo sfondo del rapporto personale tra l'uomo e Dio, la libertà è non solo una parte dell'essere ma in certo modo come il suo fondo.
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BIBLIOGRAFIA
IL TIMONE – N.40 – ANNO VII – Febbraio 2005 pag. 50-51
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