La statua della Madonna, profanata durante le violente manifestazioni di Roma del 15 ottobre, è il segno del nulla che ormai avvolge la nostra società. Dove non esistono più simboli e la realtà non ha più significato. Ma è anche il segno che abbiamo un compito urgente….
«L’episodio della profanazione della statua della Madonna durante la manifestazione degli indignados a Roma ha colpito l’immaginazione di tutti. Non si tratta solo di un’offesa alla religione e ai suoi simboli ma, più profondamente, all’uomo e alla sua dignità». Così lo scrittore Luca Doninelli commentava su Il Giornale del 17 ottobre quanto accaduto il pomeriggio di due giorni prima. Potrebbe sembrare esagerato sottolineare un piccolo episodio come questo al confronto con quell’orgia di violenza che ha devastato la capitale, e di cui l’irruzione nella casa parrocchiale è solo una delle tante conseguenze. Cosa sarà mai una piccola statua della Madonna di Lourdes ridotta in pezzi quando si consideri che in poche ore intorno a piazza San Giovanni sono stati fatti danni per almeno 3 milioni di euro, con 150 feriti e decine di arresti.
Ma i simboli contano. E le immagini di quella statuetta frantumata hanno colpito, hanno ferito il cuore di tantissime persone, anche non credenti. Anche chi non è cattolico porta istintivamente rispetto alla statua della Madonna, così come allo spazio delle chiese, perché – cosciente o meno – vi riconosce una realtà più grande, che ci supera, e ci offre almeno la speranza che ci possa essere Qualcosa o Qualcuno che ci tiri fuori dalla nostra miseria. Una Madre di cui tutti abbiamo nostalgia, che abbiamo sperimentato o che ci sarebbe piaciuto sperimentare, che sa capire le nostre debolezze e le nostre aspirazioni più profonde, che sa farci riprendere il cammino quando siamo affranti e provati dalle vicende della vita.
In certi frangenti della vita, anche tanti non credenti si rivolgono alla Madonna, non per superstizione ma per quella speranza che Ella suscita in noi. Non è un caso che anche altre religioni, come l’islam, abbiano una venerazione per la Madonna. In Lei c’è qualcosa che parla al cuore di ogni uomo. Le tante statue della Madonna, che sono nelle chiese così come nelle case private, sono segno di questa speranza, di questa irriducibilità dell’uomo a ciò che è solo materiale, visibile.
La statua della Madonna è segno di una realtà più grande, così come tutta la realtà è segno di Dio. Senza questa intuizione che la realtà è segno non ci sarebbe arte, non ci sarebbe scienza, non ci sarebbe poesia, non ci sarebbe tutto ciò che rende l’uomo così diverso da ogni altro essere creato. La profanazione di quella statua, la profanazione di un territorio sacro come è la chiesa, dice di un imbarbarimento crescente nella nostra società, dove la realtà non significa più nulla, dove un telefonino e una statua della Madonna hanno lo stesso valore; anzi il cellulare vale di più perché costa di più, e ha anche più funzioni. E purtroppo i barbari hanno anche i loro sacerdoti, come quel tal matematico Piergiorgio Odifreddi, che ormai spende più tempo a sperperare parole che non a fare di conto. Ha scritto a caldo, reagendo alle parole del portavoce vaticano, sul suo blog che Repubblica gli mette a disposizione (un sacerdote ha ovviamente anche un tempio dove predicare): «Che tra tutti i problemi di cui ci dovremmo preoccupare in questo momento ci fosse pure l’incolumità delle statuette della Madonna, non l’avremmo mai immaginato (…)! E solo nel Sud del mondo (europeo o americano) qualcuno poteva pensare, e addirittura dire, che rompere un pezzo di gesso senza nessun valore potesse costituire un’offesa alla sensibilità di qualcuno».
«Un pezzo di gesso senza nessun valore», dice Odifreddi, e pensa di essere saggio mentre è solo un poveretto incapace di vedere la realtà. Sarebbe come dire che una carezza sono solo cinque dita che impattano leggermente una superficie cutanea posta tra l’orecchio e il naso. E che quindi la differenza con uno schiaffo è solo nella velocità d’impatto, non in quello che una carezza e uno schiaffo significano. Povero il nostro Paese se questi sono gli intellettuali che pretendono di indicarne il cammino.
Ma chissà quanti degli indignati in piazza a Roma sabato 15 ottobre, anche quelli “pacifici”, anche quelli che hanno condannato le violenze, in fondo condividono lo stupore per il tanto rumore che qualcuno ha fatto per “un pezzo di gesso” rotto. Sicuramente in tanti hanno pensato che è stato molto più grave rompere vetrine e bruciare auto. E dal punto di vista economico lo è stato senz’altro, ma dal punto di vista del significato, dal punto di vista della speranza in un futuro migliore, quella statua della Madonna rotta in terra è una ferita grave al cuore dell’uomo.
Del resto, ormai possiamo dire che quella profanazione non è neanche un caso isolato. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli episodi che hanno visto chiese e funzioni religiose oltraggiate: dall’irruzione in una chiesa di Milano di estremisti che hanno interrotto una messa domenicale, alle occupazioni di chiese e basiliche in diverse parti d’Italia da parte di disoccupati e immigrati, con l’ispirazione di attivisti politici di estrema sinistra. Il confine – fino a poco tempo fa invalicabile – del sacro viene oltrepassato con sempre maggiore frequenza, un segnale davvero preoccupante: non per la Chiesa, ma per l’intera società.
E non sono infatti soltanto i simboli religiosi a non essere più riconosciuti. Tornando alle drammatiche violenze di Roma, tra le tante auto bruciate hanno destato particolare impressione le immagini del carabiniere che fugge dalla propria camionetta data alle fiamme. Per quanto il valore economico di un’auto delle forze dell’ordine possa essere comparabile a quella di un privato cittadino, il significato è estremamente diverso. Quella dei carabinieri non è un’auto qualsiasi, è il simbolo dello Stato, rappresenta la garanzia di sicurezza per i cittadini. Vederla data alle fiamme, vedere i carabinieri battere in ritirata mentre una banda di esseri umani ridotti a pura bestialità prende possesso della città e distrugge tutto quello che trova sul proprio cammino, ha avuto e avrà un impatto impressionante. E questo ci rende tutti più insicuri.
Ma almeno che tutto questo ci renda anche maggiormente consapevoli che la crisi della nostra società è molto più che una crisi economica e politica. È una gravissima crisi culturale, come ha scritto monsignor Luigi Negri su La Bussola Quotidiana, laddove la parola cultura indica «quella impostazione sostanziale della vita umana come senso, come significato, come bellezza, come giustizia, come bene». Vuol dire che oggi per noi non c’è spazio per l’indignazione, neanche per l’indignazione contro gli indignati. C’è soltanto l’urgenza di testimoniare la fede, come una bellezza e pienezza di vita, come la possibilità di comprendere sempre più in profondità il senso della nostra vita nel mentre lavoriamo alla costruzione di questo mondo. Perché il fascino di una vita quotidiana vissuta avventurosamente nella compagnia di Cristo si imponga sulla bruttura di una vita passata nel lamento, nella protesta, nella perenne insoddisfazione, nella sterilità.
IL TIMONE N. 107 – ANNO XIII – Novembre 2011 – pag. 18 – 19
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