Vedemmo la volta scorsa come Stalin, sino ad allora impegnato nel genocidio del cristianesimo, per salvare se stesso e il regime minacciati dai tedeschi non esitò a prendere sul serio – andando addirittura al di là delle indicazioni celesti – una apparizione mariana ad personam, indirizzata proprio a lui. L'ex-seminarista, passato dal Vangelo di Gesù a quello di Marx e Lenin, sapeva bene come da mille anni il cristianesimo impregnasse ogni fibra della Russia, unendosi all'amore per la terra natale: dunque, per cercare di arrestare i nazionalsocialisti, bisognava fare appello non ai "compagni e compagne" ma ai «fratelli e sorelle». Solo così poteva sperare in una reazione energica anche di coloro – ed erano la stragrande maggioranza – la cui fede aveva perseguitato. «Il popolo russo» è stato osservato «è per Dio ma può essere anche contro Dio: in ogni caso, mai è senza Dio». In questa "ossessione" del divino (da venerare o da combattere) che porta ai miracoli della " santità o alle stragi contro i credenti, i due estremi d'Europa, Russia a Oriente e Spagna a Occidente, sembrano assomigliarsi. La storia mostra che, se decide di tagliare i legami col Trascendente, il russo finisce in un nichilismo feroce che assume i tratti del satanismo: e nessuno, come si sa, pensa giorno e notte a Dio come Satana.
È misteriosamente significativo che proprio la Russia e il suo destino facciano parte importante del messaggio di Fatima. Maria profetizza (era il 1917, Lenin stava conquistando il potere) un ruolo nefasto per quel Paese che «spargerà i suoi errori per il mondo» e «distruggerà varie nazioni». Ma segue il risvolto positivo della profezia: «Il Santo Padre mi consacrerà la Russia, che si convertirà». In effetti, come tutti sanno bene, Giovanni Paolo Il fu ferito all'addome in un modo tale che solo «per intervento di Maria che deviò il proiettile» (parole sue) non fu mortale, proprio nella sessantaquattresima ricorrenza della prima apparizione di Fatima. Dunque, il 13 maggio del 19181.
Nel giorno dell'Annunciazione, il 25 marzo di quattro anni dopo, il Papa procedeva alla consacrazione del mondo, coinvolgendo tutti i vescovi di ogni continente, con chiaro riferimento alla Russia. Cinque anni dopo, ecco – imprevisto da tutti, servizi segreti di ogni Paese compreso – quel collasso mortale, senza alcuna speranza di ripresa, dell'Unione Sovietica e dei suoi satelliti. Lasciamo stare ogni discussione sulla «conversione» che, in effetti, si è davvero realizzata, visto il passaggio subitaneo da uno Stato persecutore della fede a uno che, in nome della fede, ha ricostruito a sua cura e spese cattedrali, chiese, monasteri distrutti dal regime precedente. Uno stato il cui attuale capo, Putin, porta in omaggio a papa Francesco una copia della Madre di Dio di Wladimir che è, come dicevamo la volta
scorsa, uno dei simboli stessi non solo della fede ma della nazione intera. Singolare il fatto – testimoniato dal filmato sull'incontro – che il pontefice abbia ammirato l'icona, ma evidentemente non abbastanza, come un po' distratto, allontanandosi subito. Tanto che Putin lo ha richiamato e, cercando maggior interesse per il dono prezioso, ha detto al pontefice: «Bella, eh?». Francesco ha annuito e allora il leader politico, per ribadire una devozione anche personale che voleva testimoniare in pubblico, ha alzato l'icona dal tavolo dove era deposta, l'ha portata alle labbra e l'ha delicatamente baciata.
Francesco ha capito e si è deciso egli pure a dare un bacio alla sacra tavola. Insomma, un ex-ufficiale del KGB, la tenebrosa polizia segreta sovietica, che – diciamolo pure è sembrato dare lezione di devozione a un pontefice, poco propenso a dar segni di omaggio che, forse, gli sembrano eccessivi. Un suo stile, pare, ben diverso da quello così appassionato di Giovanni Paolo Il: uno slavo egli pure, e non per caso. Sta di fatto che non è difficile parlare di "conversione", davanti al leader della Russia attuale, che non porta al Capo della Chiesa romana un dono "burocratico" ma un oggetto di devozione anche per lui, già spia del Partito e, come tale, avverso a ogni segno di religiosità.
Per tornare a Fatima: alla luce di quella profezia, paiono lanciare segni misteriosi anche le date: si ricordino l'accordo per lo scioglimento dell’Urss, firmato l’8 dicembre del 1991 e, nello stesso anno, la bandiera con la falce e martello ammainata per sempre dalla cupola più alta del Cremlino, per far posto all'antica con l'aquila zarista, il 25 dicembre. Date "cattoliche", va pur detto: il dogma dell'Immacolata Concezione, festeggiato dal 1854 in quel fatidico 8 dicembre, non è accettato dalla Chiesa russa, anche se per ragioni più polemiche che teologiche e forse anche per fraintendimenti su ciò che quel dogma davvero significa. In effetti, sia nella liturgia che nel popolo ortodosso appare chiaramente la fede in una Madre di Dio senza peccato sin dal concepimento. Ma i teologi si sono chiusi nella loro ostinazione, quasi per un bisogno ormai millenario di opporsi per principio a colui in cui vedono, al massimo, il Patriarca di Roma, senza alcuna autorità di proclamare un dogma: cosa che, semmai, toccherebbe a un Concilio ecumenico che radunasse Oriente ed Occidente e desse a ciascun vescovo diritto di voto. Sempre per ragioni di polemica verso Roma, l'ortodossia russa non ha voluto accettare, nel calendario liturgico, la riforma gregoriana, restando al computo detto giuliano, quello della Roma imperiale e non
papale, così che la data del Natale non coincide con quella cattolica.
In questi "segni" cattolici, ci sarà un significato? Ci si può meditare, ma non pretendere di penetrare l'enigma: ancora una volta, Deus scit.
Ma sarà bene dire qualcosa che aiuti a capire questa fede russa con la quale dovremo sempre più confrontarci: dopo la caduta del comunismo, i contatti sono divenuti assai frequenti, anche nella vita quotidiana, a causa dell'immigrazione. Tra l'altro, per la prima volta, a Roma è stata costruita da pochissimi anni una chiesa voluta e finanziata non dal patriarcato di Mosca ma (sempre a proposito di "conversione" dell'apparato pubblico) direttamente dallo Stato russo che ha concesso come prestigioso terreno per edificare il parco della lussuosa ambasciata che fu dell'Urss. Mai i diplomatici sovietici devono avere sospettato un simile esito finale dell'ateismo da materialismo dialettico! Mi dicono che, la domenica, la bella chiesa con le cupole e cipolla e le innumerevoli icone è sempre gremita non solo da ortodossi ma anche da cattolici, attratti dalle splendide – e lunghissime – liturgie.
Va detto innanzitutto – non ci si pensa quasi mai – che quella che noi chiamiamo oggi Russia e quelle che chiamiamo Ucraina e Bielorussia, all'inizio strettamente unite, sono entrate nella cristianità quando essa era ancora, malgrado tutto, indivisa. In effetti, già da molto tempo i rapporti tra Roma e il Patriarcato di Costantinopoli erano sempre meno stretti e talvolta burrascosi. Ma lo scisma tra i cattolici e coloro che si dissero "ortodossi", in quanto pensavano di essere i soli a seguire l'antica dottrina dei primi Concili ecumenici, quello scisma, dunque, si verificò nel 1054. Il 16 luglio di quell'anno, i legati pontifici giunti da Roma a Costantinopoli, vista l'impossibilità di vincere l'intransigenza del patriarca Michele Cerulario, duramente antiromano, deposero sull'altare di Santa Sofia il decreto papale di scomunica. AI quale, naturalmente, il bizantino replicò con un controdecreto, esso pure di scomunica. Da allora, non ci fu più legame, almeno canonico, tra Bisanzio e Roma. Ma la "conversione" di Wladimir, principe di quelle che sarebbero diventate la Russia, l'Ucraina e la Bielorussia, risale a 66 anni prima: dunque l'entrata di quei popoli slavi fu nel cristianesimo ancora indiviso, almeno formalmente.
La storia di questa cristianizzazione è singolare: Wladimir (che la Chiesa ortodossa venera come santo) decise che le sue genti, per contare in Europa, avrebbero dovuto lasciare i loro culti pagani e abbracciare una delle tre grandi religioni monoteiste.
Dunque, stando alle antiche cronache, inviò dei saggi ad indagare, affinché trovassero la fede che meglio convenisse al temperamento e ai bisogni spirituali dei loro popoli. Il giudaismo fu subito scartato, come fede di un popolo sconfitto, senza una patria, un credo non universale ma legato a una etnia particolare. Fu scartato poi anche l'islamismo, esso pure legato strettamente a un popolo, quello arabo. Ma anche perché, dicono sempre le cronache, il suo libro sacro, il Corano, vietava le bevande alcoliche. "Non posso negare ai miei popoli ciò che è così importante per loro: bere», avrebbe esclama
to Wladimir. Restava il cristianesimo:
se fu scelto è perché quei saggi slavi giunsero a Costantinopoli e restarono ammaliati dalla bellezza e dalla grandiosità delle messe e delle altre liturgie nelle meravigliose basiliche della capitale dell'Impero romano d'Oriente. "Qui» scrissero a Wladimir "non sapevamo più se eravamo in Cielo o in Terra. Abbiamo sperimentato che davvero Dio si intrattiene con questo popolo». Così, il principe si fece inviare sacerdoti e teologi greci perché l'istruissero nella fede che aveva scelto e nel 988, come dicevamo, riceveva il battesimo.
Storia singolare, dicevamo, non solo per i suoi inizi ma anche per i suoi esiti ormai millenari: i Russi, come gli Ucraini e i Bielorussi, divennero cattolici, seppur di rito bizantino, non per libera scelta, non perché fossero stati catechizzati e convinti da missionari ma perché, secondo le loro leggi, erano obbligati a seguire la religione del principe. Cuius regio, eius religio … Furono battezzati in massa, come da ordine di Wladimir, prima ancora di sapere quale fosse questa nuova fede alla quale erano ini
ziati per obbligo. Soltanto in seguito, schiere di sacerdoti inviati dall'imperatore da Costantinopoli li iniziarono ai misteri del cristianesimo, costruirono chiese e cominciarono a celebrarvi quelle liturgie che avevano portato alla scelta principesca. A noi moderni, tutto questo appare inaccettabile se non, addirittura, scandaloso. Eppure, quella fede straniera e sconosciuta, imposta per decreto prima di conoscerla, diede origine a uno dei popoli più profondamente cristiani, più radicalmente impregnati di Vangelo, più eroicamente disposti a morire invece di rinnegare le proprie credenze. Le nostre vie non sono quelle di Dio. Non è un caso che, Costantinopoli essendo stata presa dai turchi (1453), i teologi slavi proclameranno che, caduta la prima Roma, caduta anche la seconda, toccava a Mosca, come "terza Roma", guidare tutta la cristianità, almeno quella orientale.
Una cristianità contrassegnata soprattutto da un elemento: il posto di assoluto rilievo – pur se sempre accanto al Figlio, anche nelle icone dato alla Madre di Gesù, proclamato come Dio egli stesso, come Seconda Persona della Santissima Trinità. Un rilievo che è evidente a un primo sguardo, entrando in una qualunque casa russa dove, al posto d'onore, è ritornata quella icona splendente di dorature della Madre di Dio che era stata nascosta per 70 anni, ma che è subito riemersa con la caduta dei nemici della religione. Nelle abitazioni private come nei luoghi pubblici non ci sono, come presso i cattolici, delle croci: questi sono oggetti sacri, deposti sull'altare delle chiese e che solo i sacerdoti possono toccare, presentandoli alla venerazione dei fedeli inginocchiati. Ovunque altrove, unicamente icone di santi ma soprattutto (e sempre) la Madre di Dio, indicata sulla tela – è un obbligo canonico – con le iniziali di quello che è appunto il suo ruolo eccelso: la maternità divina.
Sergij Bulgakov, il famoso teologo, ha potuto scrivere: «Un cristianesimo con Cristo ma senza la Madre
non è un'altra confessione cristiana: per l'ortodossia russa è, nell'essenza, un'altra religione, con la quale i fedeli non vogliono avere a che fare". Nei secoli, i protestanti europei hanno cercato in molti modi di allearsi con Mosca per combattere, uniti, il cattolicesimo romano. Ma ogni proposta è stata respinta: e questo, va detto, non per amore di un papato del quale ancora e sempre si diffida (la Russia è forse il solo Paese dove i pontefici non siano stati mai invitati per una visita, per volere del Patriarcato), non per amore del Papa, dunque. Ma per amore di Maria, declassata dai riformati da Regina del Cielo a membro della Chiesa primitiva, a normale casalinga di Galilea, a donna che aveva prestato provvisoriamente il suo utero a un Dio che aveva deciso di incarnarsi nel corpo di una femmina umana. Compiuta la missione, ecco la consumazione del matrimonio con Giuseppe (egli pure un artigiano come tanti) e poi figli a volontà, rientrando nell'ombra da cui era stata tratta solo per il servizio del parto. Ancor più che i cattolici, a questa prospettiva non ci stanno proprio gli ortodossi e, in modo particolare, i russi: se ne ebbe, tra l'altro, una conferma clamorosa, dagli echi internazionali, nel 1927 alla prima riunione, in Svizzera, del Consiglio delle Chiese cristiane, un organo voluto dalla impotente Società delle Nazioni, creazioné dell'utopismo un po' ipocrita del presidente Wilson. I rappresentanti della Chiesa di Russia – scampati per il momento alle persecuzioni comuniste, grazie all'accettazione della nomina dei vescovi fatta dal Partito unico – dichiararono subito che non avrebbero partecipato ai lavori se tutti, protestanti in primis, non avessero accettato di mettere gli incontri sotto la protezione della Madre di Dio e non l'avessero lungamente pregata, come conveniva a dei cristiani veri. I riformati rifiutarono e la delegazione russa rientrò in patria, anche se là l'attendeva un futuro incerto se non tragico.
San Dimitrij di Rostov (XVIII secolo), uno fra gli innumerevoli altri: «Dopo il Nostro Signore, nessuno è più potente della nostra Sovrana e Madre del Signore, la sempre vergine Maria. Ella, infatti, può convincere Dio stesso con le sue intercessioni. Lei, che aveva avvolto il Verbo in fasce, lo avvolge ora per l'eternità con le preghiere di misericordia per gli uomini". Altri santi mistici russi hanno sostenuto addirittura che il suo potere di intercessione può spingersi sino al punto di mutare il giudizio divino e di ottenere la liberazione di dannati dall'inferno.
Eppure, malgrado questa fiducia totale nel suo intervento misericordioso verso tutti i bisognosi, la grande liturgia russa ha un carattere "disinteressato", "gratuito". Per noi, figli della Chiesa occidentale, la preghiera alla Madre termina sempre, o quasi, invocando il suo aiuto. L'Ave Maria stessa, dopo la prima parte evangelica, con la salutatio angelica esprime una intercessione: Ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Il rosario termina con le litanie dette "Iauretane" dove dopo a ogni proclamazione di un attributo mariano gli oranti replicano con un ora pro nobis. Invece, nel culto ecclesiale russo (ma spesso diversa è la pratica popolare, dove si arriva a flagellarsi a sangue o a imporsi duri pellegrinaggi o digiuni disumani per ottenere una grazia da Maria), invece di chiedere si glorifica, si loda, si ringrazia Dio per il dono fattoci con una simile Donna. Invece dell'ora pro nobis c'è il kaire greco, quello che in latino suonerebbe sia Ave che gaude, rallegrati.
Questo orientamento liturgico deriva dal fatto che, mentre per gli occidentali Maria è soprattutto Madre nostra (come da parole di Gesù in croce a Giovanni, presente come rappresentante dell'umanità intera), per l'ortodossia russa, ucraina, bielorussa mai si dimentica che tutto deriva dal fatto che il Concilio di Nicea non l'ha proclamata solo Madre di Gesù ma, addirittura, Madre di Dio. Da qui quasi lo sgomento, l'aura solenne delle icone, il grazie ripetuto all'infinito per avere a tal punto elevato una creatura umana. Da noi è chiamata, quasi come suo titolo massimo di gloria, "la Santa Vergine". Per gli ortodossi in versione russa, la triplice verginità (prima, durante, dopo il parto) non fa né problema né discussione: nelle icone, Maria è circondata da tre stelle, simboli appunto delle tre fasi in cui restò corporalmente intatta. L'ipotesi – purtroppo oggi adombrata anche da qualche teologo di università "cattoliche" e non solo dagli Hans Kung e soci – l'ipotesi che Gesù sia stato solo il primo di molti fratelli e sorelle provoca tra il popolo russo non scandalo ma sbalordimento, seguito subito dall'ironia sulla salute mentale di chi azzardi simili empietà. Nessun dubbio, dunque, sulla "purità" perpetua e totale di
Maria. Essendo cosa scontata, ci si focalizza sul titolo da cui tutto deriva:
Theotokos, Madre di Dio. Una maestà che traspare dalle icone che non sono "dipinte" ma "scritte". E non da artisti ma da asceti che, tra digiuni e penitenze, lavorano spesso in ginocchio. Nulla è più lontano da questa devozione come certe Madonne, soprattutto italiane, del Rinascimento, ma anche del Settecento, per dipingere le quali si è presa a modello la bellezza di una popolana, magari scollacciata.
In ogni caso, non dimentichiamo mai il nostro debito verso quel talvolta maltrattato cristianesimo greco-bizantino, che ha così profondamente plasmato i popoli slavi. È da là, dall'Oriente, che ci giungono tutte le grandi festività mariane e le loro liturgie che hanno ispirato quelle latine: la Natività, la Presentazione al Tempio, l'Annunciazione, l'Assunzione (detta Dormizione) e ogni altra a seguire. È un patrimonio inestimabile che abbiamo ereditato e che merita la gratitudine di ogni credente. •
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