L’esperienza quotidiana conferma un dato di fatto: vivere da cristiani non è per niente facile, anzi “è dura”! Seguire Cristo comporta un certo sforzo ed esige che il nostro comportamento sia coerente con ciò che diciamo di essere e di credere. Dire: «Signore, Signore…» può risultare, in qualche circostanza, anche piuttosto facile, ma «fare sempre la volontà di Dio» non lo è altrettanto. Almeno in certe occasioni.
Qualche esempio? Volere bene al prossimo, anche se questi meriterebbe – a nostro modesto e certamente fallibile avviso – di essere preso sonoramente a sberle e mandato “a quel paese”; sopportare pazientemente chi vorremmo evitare eppure continua a tampinarci; perdonare sinceramente, e perfino dimenticare, i torti subiti, quando una elementare nozione di giustizia sembra invitarci a restituire “colpo su colpo”, senza dimenticare – sempre per la stessa elementare nozione di giustizia – di aggiungervi gli interessi, non essendo buona cosa farla passar liscia a chi ci ha fatto del male.
Quante volte ci siamo trovati di fronte a “prove” di questo genere – e ad altre che lo spazio non ci consente di richiamare – e abbiamo vacillato, ci siamo arrabbiati, abbiamo ingoiato il rospo, abbiamo tentato di resistere. Sappiamo che cosa vuol dire essere cristiani e che cosa comporta questo titolo. Ciò nonostante, qualche volta la tentazione di scordarci, anche per un breve istante, le esigenze del Vangelo ha avuto il sopravvento sulle nostre buone intenzioni. E la coerenza tra il credere e il fare è andata a farsi benedire.
Chi ha il dono della fede, sa – e certamente avrà sperimentato – che la preghiera, la pratica delle virtù e soprattutto la grazia che deriva dai Sacramenti sono un aiuto formidabile e indispensabile per superare le proprie miserie.
Ma potrà risultare di qualche utilità anche l’abitudine di porci, il più frequentemente possibile, una domandina elementare. Nella sua disarmante semplicità, suona così: «E se Dio facesse a me quel che io faccio al mio prossimo? Come me la caverei?».
Mi inalbero facilmente per un torto subito? Non riesco a perdonare sinceramente? Mi stanco di “passare per fesso”? E sia! Avrò le mie buone ragioni. Ma se il buon Dio si stancasse altrettanto facilmente della mia pochezza? Delle mie incoerenze e disattenzioni nei suoi confronti? Degli sgarbi e delle offese che macchiano la vita di uno che certamente santo non è, come il sottoscritto: che ne sarebbe di me?
È un pensierino – come avrete notato – semplice semplice, da scuola elementare, ma mi pare di poter dire sia di qualche utilità per la nostra vita quotidiana. D’altronde, per andare in Paradiso non ci è chiesto di essere laureati: basta ricordarci quel prezioso suggerimento evangelico: «Con la misura con cui misurate sarà misurato anche a voi…».
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IL TIMONE n. 105 – Anno XIII – Luglio/Agosto 2011 – pag. 3