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12.12.2024

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La mite Inquisizione
31 Gennaio 2014

La mite Inquisizione

 

 

Inquisizione! Basta la parola e per i cattolici non c’è che un rimedio: chiedere scusa, contriti, a destra e a manca. Ma la vera storia è un’altra. Scopriamo la mite Inquisizione.

 

 

Non v’è dubbio che l’Inquisizione sia ancora oggi uno degli istituti più demonizzati della storia, di quella della Chiesa in particolare. I libri scolastici la descrivono come strumento efficace, spietato ed infallibile, utilizzato dal Papato per affermare la propria egemonia e per condannare al rogo eretici e miscredenti. E molti tra gli studenti, ovviamente, rimandano a memoria questo insegnamento.
Che i tribunali dell’Inquisizione fossero luogo di inenarrabili torture e di sadiche condanne (ci furono, in realtà, ben tre Inquisizioni: la medievale, la spagnola e la romana, ciascuna con una storia propria, ma per i più, purtroppo, questi sono dettagli irrilevanti) è opinione assai diffusa. Questa immagine nasce nel Cinquecento protestante, cresce nel Settecento degli Illuministi e si nutre con la letteratura popolare ottocentesca, ispirata dalla Massoneria. Come si vede, tutte fonti interessate, certamente non amiche della Chiesa. Sarà da vedere quanto siano storicamente attendibili.
Gli effetti di tanto accanimento si vedono, eccome, anche in casa cattolica. Al solo pronunciare la parola “Inquisizione” i nostri ammutoliscono, si vergognano, si rifugiano in un imbarazzante “non so che cosa dire”.
Non sempre è così, meno male. I più recenti studi storici stanno gradualmente modificando questa “leggenda nera” dell’Inquisizione, grazie ad una considerevole quantità di dati di cui si viene a conoscenza, che smascherano le falsificazioni e rendono possibile conoscere la verità.
Ne emerge una Inquisizione diversa da quella comunemente denigrata, una Inquisizione non scevra da errori ed eccessi, certo, ma pur sempre limitati, circoscritti, subito corretti non appena denunciati. Insomma, sta emergendo con sorpresa una Inquisizione sostanzialmente mite e tutto altro che sanguinaria.
Lasciamo parlare i fatti.
Nell’immaginario popolare, il termine Inquisizione è sinonimo, in primo luogo, di “tortura”.
Chi non ricorda il film “Il nome della Rosa”, del regista francese Annaud, sceneggiato dalle pagine dell’ omonimo libro di Umberto Eco? Quante altre immagini truculente nei films e nei libri: inquisitori sadici, celle buie e profonde, tenaglie e cavalletti, corpi straziati. Ora, qui – va detto chiaramente ci troviamo di fronte, quasi sempre, ad immagini che rappresentano un autentico falso storico.
In primo luogo: l’inquisito non era affatto alla mercé del sadismo incontrollato di qualche boia occasionale. La tortura applicata dagli inquisitori – si applicava, allora, ovunque – era regolata da norme e disposizioni ecclesiastiche molto precise, severe, che ne stabilivano liceità e procedure, rendendola, concretamente, molto meno dura di quanto si possa immaginare.
È vero: la procedura inquisitoriale ha fatto ricorso alla tortura, che fu ordinata con la bolla Ad extirpanda di Papa Innocenzo IV nel 1252: “Il podestà o il rettore della città saranno tenuti a costringere gli eretici catturati a confessare e a denunciare i loro complici” .
Ma nella bolla, tuttavia, si precisa e questo si dovrà pur ricordare, qualche volta – che la tortura degli imputati non doveva “far loro perdere alcun membro o mettere la loro vita a repentaglio”. Dunque, una tortura, sÌ, ma senza spargimento di sangue e senza mutilazione alcuna. Niente a che fare con quel che sulla tortura ci hanno insegnato giudici e aguzzini dei moderni nostri tempi.
Non solo: stando alle disposizioni ecclesiali, la tortura non poteva essere decisa arbitrariamente dal giudice inquisitore, ma necessitava del parere favorevole del Vescovo. Il fatto non è di poco conto: fu voluto proprio per scoraggiare qualche inquisitore troppo ansioso di ottenere confessioni, visto che, frequentemente, Vescovo e inquisitore non andavano d’accordo.
E ancora: la tortura doveva essere applicata sotto stretto controllo medico, mai a vecchi e minori, e non poteva durare più di 15 minuti. Immaginiamo la quantità industriale di risate che queste norme avrebbero suscitato se proposte agli aguzzini di un lager nazista o comunista.
Inoltre, la tortura – era stabilito – si poteva utilizzare una sola volta, non doveva essere ripetuta e la confessione eventualmente ottenuta non aveva alcun valore ai fini del processo, se non era confermata dall’imputato dopo due giorni ed in condizioni normali.
L’unico mezzo consentito era la corda “ma solo in presenza di gravissimi indizi: l’imputato veniva sospeso per le braccia e lasciato cadere sul pavimento due o tre volte. Se non confessava veniva liberato” (Rino CammilIeri, Fregati dalla Scuola, p 70).
Ora, a ben guardare, queste norme ci svelano che con il termine “tortura” si indicava qualcosa di sostanzialmente diverso da quanto ci hanno fatto vedere tribunali più recenti, questi sì veramente crudeli. Nazionalsocialismo e Comunismo, in materia di tortura, non avevano certo nulla da imparare.
Val la pena di aggiungere che nei processi inquisitoriali la tortura fu applicata con estrema cautela e solo in casi veramente eccezionali.
I dati finora in nostro possesso parlano chiaro: nelle 636 sentenze iscritte nel registro di Tolosa dal 1309 al 1323, la tortura fu applicata una sola volta. A Valencia, dal 1478 al 1530 si celebrarono 2354 processi e la tortura si applicò solo 12 volte. Se i fatti hanno un senso, il giudizio storico sull’Inquisizione dovràessere rivisto.
Ne era consapevole anche lo storico Luigi Firpo, laicista doc, non credente, attento al vero storico più che alla propaganda: “(…) gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono le vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamate celle dell’Inquisizione, dove la vita era ritmata da regolamenti severi ma non disumani. Era, per esempio, prescritto che le lenzuola e federe si cambiassero due volte la settimana: roba da grande albergo […]. Una volta al mese i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di cosa avessero bisogno”.
E veniamo all’infamia più grave: la morte per rogo.
L’Inquisizione non comminava la morte, per il semplice motivo che non era contemplata nel Codice di diritto canonico. Era una pena stabilita dal diritto penale e veniva eseguita dal braccio secolare, che applicava le pene previste dalle leggi civili.
Fu Federico II di Svevia, tutt’altro che amico della Chiesa, a dichiarare per tutto l’Impero (1231-2) l’eresia come crimine di lesa maestà e a stabilire la pena di morte per gli eretici. Ogni sospetto doveva essere tradotto davanti ad un tribunale ecclesiastico e arso vivo se riconosciuto colpevole.
È vero quindi che quando il Tribunale dell’Inquisizione abbandonava un eretico al braccio secolare, questi veniva condannato a morte dalla giustizia secolare, se non si pentiva; ma non era la Chiesa a condannare, né ad eseguire la condanna.
Grazie ai dati documentati storicamente, ci accorgiamo di quanto i tribunali dell’Inquisizione siano stati estremamente benevoli e prudenti nel consegnare al braccio secolare gli eretici non pentiti.
Lo storico danese Gustav Henningsen ha analizzato statisticamente 44.000 casi di inquisiti tra il 1540 ed il 1700 ed ha rilevato che vi furono meno di cinquecento esecuzioni; solo l’l %, quindi, venne giustiziato. Bernardo Guy, severo inquisitore, ha pronunciato dal 1308 al 1323 ben 930 sentenze e abbandonò al braccio secolare solo 42 condannati, a fronte di 139 assolti.
Altri dati: l’Inquisizione di Palmiers dal 1318 al 1324 giudicò 98 imputati e solo cinque di essi furono abbandonati al braccio secolare, mentre 25 furono assolti.
Se nella storia ciò che conta sono i fatti, i fatti dicono che l’Inquisizione fu più mite che crudele. E se stiamo a questi fatti, noi cattolici abbiamo poco da vergognarci.
Il resto è propaganda.

BIBLIOGRAFIA

Jean-Baptiste Guiraud, Elogio dell’Inquisizione, Leonardo Mondadori, Milano 1994.
Jean-Pierre Dedieu, L’Inquisizione, Paoline, Cinisello B.mo (MI) 1990.
Luigi Negri, False accuse alla Chiesa, Piemme, Casale Mon.to (AL) 1997.
Franco Cardini [a cura di], Processi alla Chiesa, Piemme, Casale Mon.to (AL) 1994.

IL TIMONE – N. 2 -ANNO I – Luglio/Agosto 1999 – pag. 10 – 11

 

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