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12.12.2024

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La negazione del dono
28 Febbraio 2014

La negazione del dono

Chi non ama uccide e non lo sa.
La chiusura del proprio cuore all’amore non comporta solo l’inaridimento della propria persona, l’auto-privazione dei beni spirituali a noi destinati, ma comporta anche la grande responsabilità di non essere portatori di salvezza verso il prossimo. Che tipo di salvezza? Ogni tipo di salvezza, dalla salvezza fisica (come nei casi di omissione di soccorso), alla salvezza esistenziale (come quando si abbandona l’altro alla sua solitudine), fino alla salvezza spirituale (per esempio, quando non indichiamo agli assetati di verità le vie di redenzione che abbiamo conosciuto).
Dio, infatti, ci ha scelto come strumenti di salvezza gli uni per gli altri, tramite la circolazione dell’amore che salva. «Vi farò pescatori di uomini », «farete le mie stesse opere ed anche di maggiori », «darete molto frutto» (Mt 4,19; Gv 14,12; 15,5).
Dinanzi alla logica dello scoraggiamento e al senso d’impotenza che proviene dall’avvertire che non possiamo cambiare il mondo, il cristiano si apre alla speranza di poter, cambiando se stesso, intervenire efficacemente anche sul prossimo tramite la grazia che opera attraverso di lui.
«Lo slancio della speranza preserva dall’egoismo e conduce alla gioia della carità» (CCC 1818).
Noi siamo chiamati ad essere custodi del nostro prossimo, sentinelle della sua vita (vedi La custodia della Carità, in il Timone n.130). Quando Dio chiese a Caino, dopo l’omicidio di Abele, «dov’è tuo fratello?», egli rispose «Non lo so; sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gn 4,9). Abitualmente diciamo: ha risposto così perché l’aveva ucciso. In realtà è vero il contrario: lo ha ucciso perché rispondeva così. Non vedeva suo fratello come una realtà da custodire, da sorvegliare. Lo aveva già ucciso nel suo cuore. Satana fu definito da Gesù «omicida fin dall’inizio» (Gv 8,44), perché nessuno come lui si chiuse all’amore. Ma chiunque non ama uccide, e uccide sempre. Uccide la gioia perché priva di un sorriso, uccide la vita perché non la soccorre nella carità, uccide anche fisicamente le esistenze per le infinite omissioni di sorveglianza, per le carenze nella prevenzione, per i vuoti di responsabilità, per la non percezione della vita altrui (come nei casi di eutanasia o aborto). Chi non ama uccide e spesso non lo sa. Ed è questo il delitto maggiore: non sapere che stai togliendo la vita all’altro. E la si toglie ogni qualvolta si smette di «considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come “un altro se stesso”, tenendo conto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente» (Gaudium et Spes, 27). I credenti sono dunque chiamati alla vigilanza verso i fratelli, anche quella materiale, nella quale sono invitati non “ad aiutare” (perché l’altro spesso non ama “essere aiutato”) ma “a condividere”.
La nostra missione, tuttavia, va ben oltre le necessità materiali, perché il La negazione del dono nostro tralcio conduce anche la linfa di quella Vite cui siamo innestati.
Noi siamo, infatti, costituiti come dono per l’altro, e la negazione del dono di sé all’altro è negazione della sua vita oltre che della nostra. Dio crea tramite atti d’amore, perciò anche noi, sue creature, siamo “atti d’amore di Dio”, e se non viviamo in conformità a questa natura, nascondiamo il volto di Dio al nostro prossimo, e poiché Dio è Vita, gli nascondiamo la vita, gliela rubiamo. Questo furto, questo “omicidio”, può avvenire in diversi contesti: all’interno della stessa comunità cristiana, o nelle relazioni fra essa e il mondo, o nella vita coniugale.
Quando, per esempio, uno dei due coniugi smette di amare l’altro, gli adombra il volto dell’amore, ed è come se gli togliesse a poco a poco l’ossigeno, col rischio di annichilire gradualmente la sua struttura di persona, e, col tempo, di spingerlo a contraddizioni che potrebbero perfino precludergli la vita eterna. Questa responsabilità a non far spegnere l’amore e a coltivarlo non è però solo per i coniugi, ma anche per tutti coloro che sono al servizio dell’amore, come i pastori e i sacerdoti nei riguardi del popolo ad essi affidato, e come tutti noi credenti verso il fratello o la sorella che ci passa accanto, anche occasionalmente, interpellando la nostra attenzione, suscitando la nostra allerta, poiché essi ci chiedono di essere la loro sentinella, di risvegliare la nostra custodia, di scuotere il nostro dono.   

IL TIMONE – Marzo 2014 (pag. 61)     

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