La Chiesa del piccolo Paese baltico è un esempio di quella silenziosa rinascita religiosa che riguarda non pochi Paesi dell’Europa orientale, liberatisi 25 anni fa dal giogo del comunismo.
Tra devozione mariana, culto eucaristico e volontà di difendere quel baluardo
di umanità che è la famiglia.
A colloquio con Zbignevs StankeviÄs, arcivescovo di Riga
Ex Oriente Lux, luce dall’Oriente, dicevano i Padri per indicare che il cristianesimo era l’alba dell’umanità. Con le debite proporzioni lo si può dire anche per l’attuale Europa, dove un chiarore cristiano arriva dai Paesi dell’Est, proprio quelli usciti 25 anni fa dal giogo del comunismo. Il caso più eclatante, complesso e carico di significati è quello della Russia, dove oggi due abitanti su tre si dichiarano ortodossi, mentre nel 1990 erano appena uno su sei. Ma un risveglio della fede si registra lungo tutta quella fascia che partendo dai Balcani, da Serbia e
Bulgaria, passando per Romania e Moldavia, Slovacchia e Ucraina arriva fino a Bielorussia, Lituania e Lettonia. Il fenomeno è stato ben descritto da Olaf Müller, sociologo dell’Università di Münster, in un saggio da poco pubblicato in Austria, ma una prova della vitalità cristiana di queste terre si è avuta anche all’ultimo Sinodo sulla famiglia, dove tra le voci che hanno difeso la dottrina cattolica su matrimonio e sessualità, fuori e dentro l’aula sinodale, si sono distinte quelle dell’arcivescovo Stanislaw Gadecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, e soprattutto quella di Zbignevs StankeviÄs, arcivescovo di Riga. Cinquantanove anni, pastore schietto e amato dalla gente, StankeviÄs ha una vita avventurosa alle spalle, a partire si può dire dalla nascita, come ha raccontato in più occasioni: alla madre rimasta incinta di lui a 40 anni, i medici avevano consigliato di abortire, vista l’età ritenuta in quegli anni rischiosa.
Al Timone parla delle sfide che sta affrontando oggi con la sua Chiesa.
Eccellenza, in Italia conosciamo abbastanza bene il cattolicesimo polacco, molto meno quello lettone. Ci sono somiglianze?
«La Chiesa in Lettonia come quella in Polonia è stata perseguitata nel secolo scorso ed è una Chiesa di martiri. Il primo cardinale lettone, Julijans Vaivods, scomparso nel 1990, è stato per noi come il cardinale WyszyÅ„ski per la Polonia, una guida in tempi molto difficili. Sapeva trattare con i comunisti, faceva compromessi nelle piccole cose, ma riusciva a vincere in quelle importanti. I cattolici, una minoranza nel Paese, hanno resistito abbastanza bene a quei decenni di prova. Un arcivescovo luterano un giorno mi ha detto: la Chiesa cattolica è come una grande nave, più lenta a prendere il largo, ma una volta in movimento più difficile da fermare. Di fatto, prima della seconda guerra mondiale e dell’occupazione sovietica, in Lettonia c’erano un milione di luterani e mezzo milione di cattolici; quando il comunismo è finito, i luterani erano mezzo milione e i cattolici sempre mezzo milione, su circa due milioni e settecentomila abitanti».
Lei è stato ordinato sacerdote a 41 anni, non giovanissimo, come mai?
«Sono entrato in seminario a trentacinque anni, dopo aver lavorato per dodici anni come ingegnere. Sono nato in una famiglia molto cattolica, ma a tredici anni ho perso la fede e l’ho ritrovata quando ne avevo venticinque, nel 1980. Verso la fine dei miei studi tecnici ho iniziato a interrogarmi sul senso della vita, ma, convinto che il cristianesimo non fosse la verità e fosse una religione per vecchiette, mi sono rivolto alla spiritualità orientale. Ho praticato arti marziali, ho cercato di leggere tutto quello che trovavo sull’induismo. Fino a quando una mattina mi sono svegliato con una convinzione:
Dio esiste. È stato un momento di rottura, il risveglio del desiderio di conoscere Dio e di raggiungerlo. Ho cercato di farlo attraverso lo yoga, ma dopo un po’ sono entrato in crisi: più cercavo di avvicinarmi a Dio e più mi sentivo lontano da Lui. Sono passato per un periodo di buio, di perdita di certezze interiori. In quel momento ho incontrato dei giovani cristiani che si riunivano per pregare, leggere la Bibbia, discutere sulla fede.
Mi sono aggregato al gruppo e il responsabile, che era competente sulle religioni orientali, mi ha dato un suggerimento: “prendi Gesù come tuo guru”. È quello che ho fatto. Dopo poco, mi sono confessato e mi sono sentito in pace, in armonia con me stesso. All’inizio è stato difficile accettare alcune verità, come Cristo figlio unigenito del Padre, perché l’induismo insegna il cosiddetto “tat tvam asi”, “tu sei quello”, ovvero tu sei divino, tutti sono figli di Dio come Gesù. Mi sono detto: “va bene, non riesco a capirlo fino in fondo, metto la cosa da parte”. Dopo poco, anche quel dubbio è svanito».
Lei come il suo predecessore, il cardinale JÄnis Pujats, è stato in prima fila in questi anni nel denunciare le pressioni della lobby LGBT sulla Lettonia. Come mai una tale attenzione da parte di realtà transnazionali verso la piccola Lettonia?
«Perché nel 2005 nella Costituzione lettone è stato scritto che la famiglia è un’unione di un uomo e di una donna e nel preambolo sono stati inseriti i valori cristiani tra le radici della nostra cultura e del nostro Stato. Questo ha causato l’avversione di una certa lobby nei nostri confronti, aumentata perché non abbiamo ceduto di fronte alle pressioni e alle provocazioni. L’ultimo Gay Pride, due anni fa, a cui era presente anche l’ambasciatore degli Stati Uniti, è stato un fallimento: abbiamo organizzato in Cattedrale una preghiera ecumenica e c’erano più persone in chiesa che alla manifestazione per l’orgoglio LGBT. Le confessioni cristiane sono unite nell’opporsi all’ideologia del gender, con una posizione molto chiara, tranne un piccolo gruppo presieduto da un ex luterano, scomunicato dalla “Chiesa luterana lettone” e diventato anglicano.
Recentemente, abbiamo divulgato una lettera su questi temi sottoscritta da cattolici, luterani, ortodossi, battisti, vecchi ortodossi e la Chiesa armena in Lettonia. La società è informata e sa come la pensiamo».
Anche al Sinodo lei si è espresso in modo molto chiaro, in particolare sull’impossibilità di ammettere alla Comunione i divorziati risposati civilmente. Le voci dell’Est Europa sono state tra le più decise in tal senso. Come mai?
«Perché molte Chiese dell’Europa orientale sono state Chiese martiri. Sono passate dall’esperienza del comunismo e più di qualcosa è rimasto di quei tempi. Tempi in cui professare la fede voleva dire spesso rischiare la prigione o la vita. Diversi amici di quel gruppo di cristiani che citavo prima e che sono stati importanti per la mia conversione sono stati in prigione, qualcuno è passato anche dal manicomio con diagnosi inventate di schizofrenia. Il mio padre spirituale, che adesso è morto, colui che mi aiutò a scoprire la vocazione sacerdotale, fu mandato otto anni in miniera.
Il depositum fidei era qualcosa che si difendeva a caro prezzo. Purtroppo, per quanto riguarda il Sinodo, si è notato come lo spirito del mondo è penetrato in profondità in molti esponenti della gerarchia».
Quali sono i punti di forza o i tesori della Chiesa lettone che meritano di essere conosciuti?
«Innanzitutto direi il santuario di Anglona, a 250 chilometri da Riga, e la tradizione dei pellegrinaggi. Questi esistevano clandestinamente anche nel periodo sovietico, ma dopo la dissoluzione dell’Urss sono ripresi apertamente coinvolgendo sempre più persone.
Il 15 agosto in migliaia raggiungono a piedi questo luogo mariano, facendo anche centinaia di chilometri. Sono esperienze molto forti, veri e propri cammini di fede, e molte sono le conversioni che avvengono sia dall’ateismo che da altre confessioni. Il 14 agosto c’è una via Crucis che viene trasmessa dal primo canale televisivo del Paese, così come accade per la celebrazione del giorno seguente, a cui partecipano le più alte autorità dello Stato, che tradizionalmente non sono cattoliche. L’attuale primo ministro, Laimdota Straujuma, in carica dal gennaio dello scorso anno, è la prima cattolica ai vertici delle istituzioni.
Un’altra cosa importante è che i fedeli si confessano regolarmente. Confessarsi aiuta a tenere
vivo il senso del peccato, quindi il senso del sacro. I cattolici lettoni hanno ancora un profondo senso del sacro. Amano molto l’Eucaristia e accanto alla Cattedrale di Riga c’è una cappella per l’adorazione eucaristica permanente. Così come è viva la pietà popolare, in generale, penso alle processioni, ma anche al rosario, una preghiera ancora diffusa, anche se più fra le generazioni anziane che fra i giovani. Un altro dato significativo riguarda i matrimoni: in Lettonia quelli che finiscono in un divorzio sono il 77%, la percentuale più alta d’Europa (2011). Ma fra i matrimoni celebrati in Chiesa, che sono il 14% del totale, i divorzi sono di gran lunga inferiori.
Questo ha colpito molti, anche fra i non credenti e le istituzioni, e hanno iniziato ad interessarsi ai nostri corsi di preparazione al matrimonio. â–
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