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15.12.2024

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La “nostra casa”. Ranjith, Roma nel cuore dell’Oriente
3 Novembre 2014

La “nostra casa”. Ranjith, Roma nel cuore dell’Oriente

 
A colloquio con il cardinale arcivescovo di Colombo, presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka,  Paese dove il Papa si recherà in gennaio per il suo secondo viaggio apostolico in Asia
“La fede riguarda la vita nel suo fondamento, è un'adesione alla verità sia dell'intelletto che del cuore. In questa parte di Oriente abbiamo una parola per dire fede che è shraddha: indica appunto un'apertura del cuore che si ottiene con la preghiera, con la celebrazione, con la vita. Senza di essa la fede finisce per rimanere un'esperienza “intellettualistica”. Il cardinale Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka, parla con il Timone durante una delle sue soste a Roma, di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes. Nella parola che cita c'è già uno dei motivi che lo rendono una figura speciale all'interno del collegio cardinalizio. I glottologi spiegano infatti che il sanscrito shraddha è imparentato con il latino credo. All'origine di entrambi c'è il lemma kred-dhe, antichissima forma dell'indo europeo, la lingua che fino al 5.000 a.C. univa le popolazioni che poi si divisero tra il continente europeo e il subcontinente indiano. La radice kred, che significa cuore, unita al suffisso -dhe, che indica l'atto del porre. Credere, ovvero porre il cuore su qualcosa.

Fra il Vaticano e le piantagioni di tè

I credenti dello Sri Lanka e quelli dell'Occidente è come se fossero quindi legati da un filo rosso chi risale alla notte dei tempi. E Ranjith incarna un po' questa misteriosa continuità. «La nostra Chiesa ha cinquecento anni di età – fa notare – risale all'arrivo dei portoghesi, ma tracce di cristianesimo c'erano già nel V secolo».
Nato nel 1947 a Polgahawela, nel nord-ovest di quella che allora era ancora chiamata isola di Ceylon, primogenito con tre sorelle, l'attuale porporato è cresciuto in una famiglia di tradizione cattolica, frequentando una parrocchia retta dagli Oblati di Maria Immacolata. Ha studiato dai Fratelli delle scuole cristiane e a diciotto anni è entrato nel seminario nazionale di Kand, dove è rimasto fino al 1970. Ha intrapreso poi un itinerario formativo di primo livello a Roma. Ha completato gli studi teologici al Collegio di Propaganda Fide a cui è seguita la licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, con un periodo di studio all'Università ebraica di Gerusalemme. Tornato in patria nel 1983, sette anni dopo è stato ordinato vescovo, diventando l'ausiliare dell'arcivescovo metropolita di Colombo, quindi nel 1995 vescovo di Ratnapura, nell'entroterra poverissimo del Paese, zona di immense piantagioni di tè. Nel 2001 si è trasferito di nuovo a Roma, come segretario aggiunto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e nel 2004 è stato inviato come nunzio apostolico in Indonesia e nella zona caldissima di Timor Est. Nel 2005 Benedetto XVI lo ha richiamato in Vaticano, in qualità di segretario della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti. Fino al 2009, quando ha fatto ritorno in patria, ottenendo poco dopo la berretta cardinalizia.
Nel suo essere ponte tra Oriente e Occidente Ranjith è anche uno dei più dotati poliglotti fra i cardinali: oltre alla lingua madre, il singalese, parla tamil, italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo. E legge latino, greco ed ebraico.
 
In minoranza fra i buddhisti
Papa Francesco, com'è noto, ha accolto l'invito della conferenza episcopale dello Sri Lanka e visiterà il Paese asiatico dal 13 al 15 gennaio. «Penso di poter dire che la nostra è una Chiesa vitale – spiega il cardinale -, con una ricca attività pastorale e con un'identità forte. La percentuale dei cattolici che vanno a Messa alla domenica è del 50%. Le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa maschile sono ancora alte, c'è un po' di crisi per le vocazioni femminili, ma c'è un recupero. Le diocesi sono dodici, quattordici i vescovi e i cattolici sono 1 milione e ottocentomila, su una popolazione di 22 milioni di abitanti. Siamo una minoranza in un contesto dove maggioritari sono i buddhisti, ma in cui sono presenti anche musulmani e induisti»,
Quella dello Sri Lanka è una situazione etnico-religiosa complessa, come in tante zone dell'Asia. Da alcuni anni, tra l'altro, fa discutere la crescita di gruppi di radicali buddhisti. Ranjith precisa però il quadro così: «Ci sono frange estremiste, certo, che vanno affrontate con accortezza, però la convivenza in generale è molto buona. I buddhisti sono generalmente tolleranti e aperti. Lo scorso maggio sono stato invitato a Parigi, a un incontro internazionale per i 2.600 anni della presenza buddhista nel mondo e ho detto pubblicamente che, “come rappresentante di una minoranza, quella cattolica, sono contento di vivere in un Paese dove là maggioranza è appunto buddhista”, Si tratta di un rapporto ormai collaudato nei secoli. I problemi, continua Ranjith, vengono semmai dai gruppi pentecostali, arrivati di recente e con un piglio che ha intaccato equilibri delicati: «Hanno molti soldi, sono appoggiati da realtà ricche di Paesi stranieri. Hanno aperto chiese in villaggi dove non c'era una presenza cristiana, totalmente indifferenti al contesto culturale. Si sono dati al proselitismo aggressivo, parlando dell'inferno come destino per chi non si converte. Purtroppo i problemi che causano si riflettono poi anche sugli altri cristiani e questo è grave".
 
Sulle orme del cardinale Cooray
Accanto alle faglie religiose, ci sono quelle sociali e politiche, più note all'estero, soprattutto per la guerra che si è combattuta per ventisei anni, a partire dal 1983, tra i gruppi armati dei tamil, nel nord-est, e il governo singalese. Uno scontro che ha portato a violazioni dei diritti umani da entrambe le parti, con i cattolici spettatori e anche vittime della violenza su entrambi i versanti. «Da questo punto di vista – dice Ranjith – penso che il Papa, con la sua statura spirituale, potrà portare un grande messaggio di pace e di riconciliazione. Oltre che un messaggio di speranza per un terzo mondo segnato ancora da profonde ingiustizie sociali, acuite dal fenomeno della globalizzazione». Francesco andrà a far visita anche al principale luogo di culto dello Sri Lanka, il santuario di Nostra Signora di Madhu, che si trova in territorio tamil e che anche per questo ha assunto una valenza "ecumenica". Il viaggio di Bergoglio, come è già stato per la Corea, sarà l'occasione per conoscere meglio una Chiesa dinamica in quella frontiera dell'evangelizzazione che è l'Asia. Magari anche per rievocare una grande figura oggi dimenticata, quella di Thomas Cooray (1901-1988), il primo cardinale del Paese, protagonista al Concilio come membro del Coetus Internationalis Patrum, il gruppo di cardinali e vescovi che si attestarono su una linea "tradizionale", e che ha lasciato un segno profondo nel cattolicesimo locale. “È stato arcivescovo di Colombo per quasi 50 anni – ricorda sempre Ranjith – il suo impegno per i poveri e nell'animazione spirituale della sua arcidiocesi e oltre è stato enorme. Era un uomo con una formazione pre-conciliare ma che accettò con docilità i cambiamenti del Concilio, anche nel dialogo con le altre religioni. Fu un vero leader, lavorò per la crescita della Chiesa e si batté per la libertà religiosa. Quando il governo cercò di nazionalizzare tutte le scuole, non si piegò e difese con forza l'indipendenza di quelle cattoliche. Riusciva ad avere una grande apertura pur tenendo ferma la disciplina ecclesiale. Un esempio di santità, con una vita ascetica e austera. lo fui cresimato da lui e capii la sua grandezza in seminario".
Ranjith del resto sembra portare in sé più di un tratto di Cooray. Pastore mite e vicino agli ultimi, è stato nondimeno protagonista della censura, poi avallata dalla Congregazione per la dottrina delle fede, delle tesi eterodosse di padre Tissa Balasuriya, esponente di punta della teologia della liberazione asiatica. In quella vicenda conobbe personalmente il cardinale Ratzinger di cui divenne amico e collaboratore. Stimato per la sua competenza liturgica, spiega di avere maturato una sensibilità particolare per questo aspetto della vita cristiana proprio a contatto con i più poveri, nella parrocchia in cui prestò servizio di ritorno dagli studi a Roma: «La liturgia è stata importante per me fin da bambino, da chierichetto. Perché la fede si vive, si esplicita nella liturgia e la liturgia rafforza la fede. È il senso dell'espressione "Iex orandi, lex credendi". Da parroco ho lavorato con i pescatori del villaggio in cui mi trovavo. Uomini timorati di Dio che non conoscevano i dogmi, erano digiuni di dottrina, ma sapevano benissimo chi era il Signore. Sentivano fortemente la sua presenza e venivano spontaneamente ad adorarlo. Nella liturgia la loro fede si manifestava in tutta la sua forza e dalla liturgia veniva costantemente nutrita. Questo mi ha molto colpito». •
 
Il Timone – Novembre 2014
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