Guerra, terrorismo, rapporti con l’islam. Tra lo scontro di civiltà e il dialogo dei deboli, spunta l’esempio di Francesco d’Assisi: il desiderio di portare ogni uomo a Cristo.
Cristo è la nostra pace”. E tremano i polsi a scrivere queste parole, tanto è grande la realtà che esprimono, e tanto è grande la nostra tentazione di ridurle alla nostra misura. “Cristo è la nostra pace”: in questo periodo così scosso da funeste immagini di orrore e terrore e così squallidamente caratterizzato dalla nostra ostinata volontà di non vedere, di guardare altrove, queste parole di San Paolo agli Efesini sembrano risuonare estranee al dibattito in corso. Scontro di civiltà inevitabile o dialogo a tutti i costi? “Cristo è la nostra pace, Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia”.
Ecco la verità dunque: la pace non è frutto dello sforzo umano, sia esso rappresentato da un esercito, sia esso espresso da abili mediatori. La pace è Cristo, è un uomo che è Dio. Ha detto l’anno scorso il Papa in un messaggio ai cappellani militari: “La pace, pur frutto di accordi politici e intese fra individui e popoli, è dono di Dio, che va invocato insistentemente con la preghiera e la penitenza”. “Cristo è la nostra pace”: vuoi dire che in un momento dove la disperazione sembra farla da padrona non abbiamo altro da proporre che Gesù Cristo. Mi si perdoni l’insistenza, ma mi sembra che oggi lo spettacolo più terribile sia quello dei cattolici che hanno smarrito questa certezza, questa consapevolezza vissuta: “Cristo è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo”. E invece, da una parte troviamo coloro che sono affascinati dalla prospettiva dello scontro di civiltà, con connessa soluzione di forza. Ma a combattere in ogni caso sono altri: americani o anche i nostri soldati professionisti (li paghiamo per questo, no? Che difendano la nostra civiltà). Ma come sempre succede, quando la guerra non procede secondo le aspettative migliori, questo partito ha un forte calo di popolarità. Ora è invece il grande momento dei tifosi del “dialogo”. Ma quale dialogo? Lo chiamano così ma è solo paura di confrontarsi, è un arretrare davanti alla violenza, come colui che crede di aver salva la vita piegandosi al volere del più forte.
In una recente intervista, monsignor Luigi Giussani, rispondendo alla domanda posta a suo tempo da T.S. Eliot “Ma è stata l’umanità ad abbandonare la Chiesa o la Chiesa ad abbandonare l’umanità?”, rispondeva: “Tutte e due”. “E quando la Chiesa ha abbandonato l’umanità?”, gli è stato chiesto. Non dimentichiamo la risposta: “Quando si è vergognata di Cristo”. Ecco il punto: ancora oggi tanto dimenarsi per la pace nasconde solo questo “vergognarsi di Cristo”, il desiderio di sparire in mezzo a una folla indistinta con i colori dell’arcobaleno, la rinuncia a offrire l’unica possibilità reale di pace. “Cristo è la nostra pace”. Ecco le conseguenze: quando la Chiesa si vergogna di Cristo abbandona l’umanità a se stessa, cioè alla violenza, all’inimicizia, alla legge dei tagliatori di teste; e il massimo del dibattito politico è lo scaricare su altri la responsabilità della guerra.
Ha molto colpito nel recente incontro tra le religioni svoltosi a Milano nel settembre scorso, la notizia che dal programma del concerto inaugurale è stato tolto un brano, perché parlava apertamente di Cristo. Così è stato riportato dai giornali, un piccolo episodio ma rivelatore: si ha paura di offendere la sensibilità delle altre religioni. Oggi ci si preoccupa di offendere tutti, ! ma non ci si preoccupa di offendere Dio.
I Eppure c’è un modo di vergognarsi di Cristo anche più subdolo, più insidioso. Ancora l’incontro di Milano tra le religioni: tanti preti, vescovi, imam, pope, bonzi, tutti con i loro abiti tradizionali, tutti con la loro identità ben visibile. Erano chiamati lì per discutere di un “nuovo umanesimo”, un qualcosa che dovrebbe scaturire – si capiva – dal dialogo fra le religioni, da un confronto sui più scottanti problemi dell’umanità. Illusi: senza Cristo non c’è umanesimo.
Questo è il clima che si respira oggi in Italia. Da tanta aspirazione nazionale al dialogo è nata comunque un’idea interessante: una proposta di legge per rendere il 4 ottobre, festa di San Francesco, una festività anche civile dedicata al dialogo tra le religioni e le culture. Tutti e due gli schieramenti politici si sono mostrati d’accordo. Bene. Ma a patto che si rifletta davvero sulla lezione di “dialogo con l’islam” offerta da San Francesco, senza strumentalizzare il santo di Assisi per ridurlo a quella poltiglia sentimentale che oggi va tanto di moda. Ebbene, ricordiamo allora che Francesco non ha il problema di opporsi alle Crociate nome della “non violenza” – figurarsi, lui che era combattente nato -, piuttosto giudica tutto in ordine alla conversione dei musulmani.
Questo solo gli interessava: portare ogni uomo a Cristo. E quando infine, durante l’assedio di Damietta, riesce a passare nel campo musulmano ed essere condotto davanti al Sultano che gli chiede cosa sia venuto a fare, Francesco – si legge nella biografia di Fra Bonaventura – dice: “lo sono mandato da Dio altissimo (..,) acciocch’io dimostri la via della salute a te e al popolo tuo, e annunzi la verità del Vangelio di Cristo”. E predicò al Sultano, riferisce ancora il suo biografo, lo spirito della Trinità e dell’unità di Dio al punto che il capo musulmano non poté non riconoscere.
che quello era davvero un uomo di fede e lo invitò a restare con lui. Ed ! ecco la risposta di Francesco: “Se tu ti vuoi convertire a Cristo, tu e ‘l popolo tuo, io starò con teco volentieri”, gli dice, ma dopo un lungo colloquio, visto che “non potea trarre alcun frutto di convertire quel popolo”, allora “gli fu mostrato da Dio ch’egli si partisse e tornasse tra’ cristiani” (Bonaventura da Bagnoregio, Vita Beati Francisci, cap. IX, n. 8). Ecco cosa vuoi dire “Cristo è la nostra pace”, ecco come si crea un ponte anche con il nemico più terribile: annunciando Cristo, ben sapendo che questo può voler dire martirio, come ne era ben consapevole Francesco, che anzi il martirio desiderava. Come Cristo che “ha distrutto in se stesso l’inimicizia per mezzo della Croce”. Già, proprio. quella Croce che qualcuno vorrebbe togliere alla vista. Questo è il dialogo, un combattimento che può rivelarsi più sanguinoso di una guerra. Altro che pacifismo militante!
Una sola notazione finale: oggi per annunciare Cristo ai musulmani, non c’è neanche bisogno di andare in terra d’islam, ne abbiamo molti tra noi. L’accoglienza, l’incontro con loro è possibile solo se saremo in grado di testimoniare Cristo, con la consapevolezza che Gesù è morto in croce anche per loro e che Gesù è ciò che anch’essi desiderano.
RICORDA
«Il Santo Padre non predica una teoria sulla pace e sulla guerra, ma egli è soprattutto un uomo che ha incontrato la pace. La sua vita è esattamente questa testimonianza… La posizione del Papa è anzitutto questa: in ginocchio! In ginocchio dinanzi a Gesù Cristo e a Sua Madre. Come un mendicante. l’uomo vero è un mendicante della Pace. Egli sa dov’è, egli sa chi è! Per questo la sua posizione sulla guerra è stare in ginocchio dinanzi a Cristo e a Sua Madre. Senza disperazione, commosso per gli uomini di cui porta le pene, ma certo che l’ultima parola sull’umanità e sulla storia è la misericordia».
(Mons. Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, aprile 2003, cit. in Tracce, n. 5, Maggio 2003).
BIBLIOGRAFIA
Giulio Basetti-Sani, L’Islam e Francesco d’Assisi, La Nuova Italia 1975.
Christopher Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, BUR 1997.
IL TIMONE N. 37 – ANNO VI – Novembre 2004 – pag. 18 – 19