Marzo 1937: tre encicliche a pochi giorni di distanza. Pio XI sfida nazismo, comunismo e laicismo massonico e invita le nazioni a riconoscere la signoria di Cristo. Ma l’odio ideologico ha il sopravvento e la pace si allontana. Due anni dopo, la seconda, tragica, guerra mondiale.
Il periodo fra il 1914 e il 1989 viene detto “secolo breve”, ossia il periodo in cui scoppiano due guerre mondiali, entrambe conseguenza del conflitto fra le diverse ideologie che si contendevano il controllo del potere in Europa. Più breve di un secolo, ma sufficientemente lungo per provocare decine di milioni di morti e per finire con la caduta del Muro di Berlino, simbolo del fallimento del tentativo comunista di conquista dell’Europa e del mondo.
Ciò che finisce nel 1989 era cominciato nel 1789, duecento anni prima, a Parigi, in occasione di quella rivoluzione che gli storici unanimemente pongono all’origine di una nuova epoca nella quale l’individuo prima (il liberalismo) e le masse poi (il socialcomunismo) tenteranno di emanciparsi dalla religione e da un assetto sociale che ancora si riferiva, almeno parzialmente, a una concezione del mondo in qualche modo influenzata dalla religione.
La religione è precisamente al centro dell’odio di questo processo rivoluzionario che prende il nome di secolarizzazione, ma che in realtà consiste nel tentativo di imporre il secolarismo come unica concezione della vita, con la forza, con la legge o attraverso il convincimento. E trattandosi di operare in Occidente, che era il cuore della civiltà mondiale, non è soltanto la religione come caratteristica naturale della persona ad essere oggetto di questo odio, a volta aggressivo e omicida, altre volte subdolo e astuto, ma è la religione rivelata da Cristo e incarnata nella Chiesa cattolica. Oggetto dell’odio “fideista” del protestantesimo, poi di quello razionalista dell’illuminismo, martirizzati in quanto papisti in Inghilterra e nelle nazioni tedesche, prima di essere colpiti in Francia dalla Grande Rivoluzione e poi durante i due secoli ideologici, l’800 e il 900, i cattolici patiscono la prova del martirio soprattutto nel Novecento, il secolo con il maggior numero di martiri della storia della Chiesa.
La Rivoluzione contro la realtà
Il “secolo breve” ha conosciuto una violenta aggressione contro la realtà. Ma cos’è la realtà? Nella vita quotidiana di un popolo, come di una persona, la realtà consiste nell’accettazione della propria natura e della personalità o del destino che il Creatore ci ha dato, affidandoci il compito di portare la nostra persona a vivere in comunione con la SS. Trinità per sempre, oppure chiamando un popolo a condividere un destino comune nel tempo. Questo realismo veniva insegnato (e continua a essere insegnato) dalla Chiesa cattolica, che ne è divenuta come la custode. La vita era povera, ma sicura, soprattutto erano ben chiari gli scopi principali della vita, e il comune modo di sentire della gran parte della popolazione era una garanzia contro il prevalere delle ideologie. Queste ultime, nel corso dell’Ottocento, avevano conquistato piccole minoranze che, anche dove detenevano il potere politico e governavano gli Stati, come in Italia, non erano riuscite a “fare gli italiani”, cioè a far penetrare nelle masse il veleno dell’ideologia, eccitandole all’odio, di classe, di razza o di nazione.
Ci riuscì invece la prima guerra mondiale, la Grande Guerra, grande soprattutto perché offrì l’opportunità di estendere l’odio ideologico dalle minoranze alle masse, che appunto diedero vita ai partiti di massa. Così l’odio della Grande Guerra rimase nel cuore di molti uomini, accecati dal nazionalismo o dalla speranza della rivoluzione bolscevica mondiale, che provvidenzialmente si fermò in Polonia, fra il 14 e il 16 agosto 1920, grazie al “miracolo della Vistola”, quando il militare e statista polacco Maresciallo Józef Pilsudski (1867-1935) riuscì a fermare i bolscevichi che avanzavano proprio sulla Vistola, alle porte di Varsavia, da dove il comunismo avrebbe potuto estendersi a tutto il continente europeo.
La Chiesa guardiana del realismo
A fare la guardia al realismo, cioè al senso comune ancora radicato nella maggioranza del popolo, rimase la Chiesa, che perciò divenne oggetto dell’odio delle diverse ideologie, pur impegnate fra loro in una sfida mortale. La Chiesa era stata l’anima e comunque una componente importante delle società precedenti la Rivoluzione del 1789, ma non sarebbe scomparsa con loro. La Chiesa reagirà con forza dapprima, durante il pontificato di Pio IX, denunciando il male sociale che penetrava nel corpo delle nazioni e che le avrebbe condotte all’odio e alla morte. Ma già con il pontefice successivo, Leone XIII, la Chiesa preparerà la riforma della società postrivoluzionaria, indicando un itinerario di restaurazione dei principi fondamentali dell’ordine sociale, che erano stati ridimensionati ma non erano scomparsi del tutto, e soprattutto era possibile che tornassero a “vestire” le nazioni.
Sarà proprio nel “secolo breve” che i cristiani cominceranno a patire le persecuzioni più dure. Esse cominceranno nel 1915 con il genocidio degli Armeni, un milione e mezzo di cristiani sterminati dalla follia che aveva appena cominciato a guidare l’ex impero ottomano, dove il califfo islamico era stato sostituito da una dittatura nazionalista, che aveva così fondato la Turchia moderna e massonica, più sanguinaria e irragionevole del pur feroce impero ottomano. Poi continueranno nella Russia comunista dal 1917, che costruendo l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche eliminerà la presenza di ogni espressione religiosa, ortodossa e cattolica. Sarà in questi anni, dopo la fine del primo conflitto mondiale, che il cardinale Achille Ratti diventa Pontefice con il nome di Pio XI, nel 1922.
Un bel libro dello storico francese Yves Chiron, recentemente tradotto in italiano, ha riassunto la vita e le opere di papa Ratti. Egli guidò la Chiesa nell’epoca delle masse, quando queste ultime diventavano protagoniste della storia, anche se dirette da minoranze. Pio XI colse la novità e rispose con l’Azione Cattolica, cioè con una organizzazione di massa del laicato che riteneva essere adeguata alle caratteristiche del tempo. Ma sarà soprattutto il Papa che dovrà scontrarsi, e contemporaneamente convivere, con gli Stati totalitari del tempo, in particolare con la Russia, comunista dall’ottobre 1917, con la Germania, nazionalsocialista dal 1933, con il Messico, dove era ripresa la persecuzione anticattolica da parte del governo massonico e laicista. Un discorso a parte meriterebbe il regime fascista italiano, contro il quale il Papa scrisse un’enciclica, direttamente in lingua italiana, la Non abbiamo bisogno, del 1931, ma con il quale cercò sempre di mantenere un dialogo aperto, almeno fino alla svolta delle leggi razziste del 1938.
Con un’Europa così, divisa fra nazisti e comunisti, laicisti massonici e cattolici intransigenti, poco abituati alle regole della democrazia e affascinati dalla violenza politica come mezzo di testimonianza e di conquista del potere, il Papa doveva convivere, ma soprattutto evangelizzare. Lo farà, credo anche bene. Per la convivenza verrà ricordato come un pontefice con la mania del Concordato (saranno ben diciassette i concordati, convenzioni o accordi stipulati con diversi Stati dal 1922 al 1939). Per quanto riguarda l’evangelizzazione, Pio XI sarà ricordato come il Papa delle missioni, avendo aperto 37 missioni, soprattutto in Africa e Cina, 148 prefetture apostoliche e 111 vicariati apostolici. Ma non mancheranno le difficoltà, come oggi sappiamo. Uno dei momenti più difficili sarà nel 1937, attorno alla festa di Pasqua. Pio XI era ancora convalescente per una seria malattia, della quale poco o nulla era trapelato attraverso i media ufficiali.
La Pasqua delle tre encicliche
Nel giro di pochi giorni del mese di marzo, il Papa firma tre encicliche con le quali indica ai fedeli cattolici i nemici della Chiesa, il loro modo di operare, fornendo anche indicazioni su come resistere e replicare all’aggressione delle ideologie. Secondo le date ufficiali delle encicliche, il Papa firma la Mit brennender Sorge, il 14 marzo, «sulla situazione della Chiesa cattolica nel Reich germanico»; il 19 marzo, la Divini Redemptoris, «contro il comunismo ateo», che peraltro sarà resa pubblica prima della precedente, a sua volta letta in tutte le chiese tedesche, dove era stata consegnata con molta discrezione, la domenica delle Palme 21 marzo; infine la Firmissimam constantiam, il 28 marzo, «sulla situazione dei cattolici in Messico». Come spiega Chiron, il Papa non voleva mettere comunismo e nazismo sullo stesso piano, perché riteneva che il comunismo fosse il pericolo più grande e più generale, come aveva detto il 12 maggio 1936 inaugurando l’Esposizione internazionale della stampa cattolica in Vaticano. Tuttavia, al termine di una lunga malattia che lo aveva costretto a una vita molto ritirata, alla soglia degli 80 anni, quasi al termine del pontificato, sembra voler dare una risposta alla sfida di tutte le ideologie che aggrediscono la Chiesa nel suo tempo. Il razzismo nazista in Germania, il comunismo in molta parte del mondo e in particolare in Russia, da 20 anni in mano ai bolscevichi, e il laicismo, diffuso ovunque anche se l’enciclica riguarda la particolare situazione messicana e la resistenza armata dei Cristeros, sono l’oggetto di questi tre documenti.
Dossier: La Chiesa e le ideologie del “secolo breve”
IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 pag. 36 – 37