Un telo di lino color avorio, lungo 4 metri e 36 centimetri per 1 metro e dieci, spesso mezzo millimetro. Sul tessuto è impressa l’immagine di un uomo che porta i segni della flagellazione e di una corona di spine, i fori dei chiodi, una profonda ferita al costato, il ginocchio sinistro malridotto da ripetute cadute. Il volto, di indicibile bellezza, è pure segnato da ecchimosi e tumefazioni. La Sindone – ancora oggi al centro di affascinanti e controverse ricerche da parte degli scienziati – certamente è straordinario oggetto di devozione, che rievoca con impressionante precisione le sofferenze patite da Gesù di Nazaret durante la sua passione. Le analogie con la narrazione evangelica sono impressionanti.
A cominciare dalla flagellazione, che Ponzio Pilato aveva ordinato forse con la segreta speranza di sottrarre Gesù alla pena capitale.
Le impronte della flagellazione – circa 120 – si notano in tutto il corpo dell’uomo della Sindone, ma soprattutto sulla schiena. La vittima veniva infatti legata a una colonna con il viso rivolto verso di essa. Lo strumento usato dai Romani per questa tortura era il flagello taxillato, costituito da strisce di cuoio appesantite da palline acuminate di piombo, che scarnificavano l’intero corpo al punto che talvolta provocavano la morte della vittima. Il sangue è presente in modo copioso su tutto il corpo sindonico. Il Vangelo racconta che i soldati, dopo aver intrecciato una corona di spine, la misero in capo a Gesù, e lo schernivano percuotendolo sulla testa con una canna. Tutta la superficie del cranio dell’uomo della Sindone è segnata da tracce di sangue, che sono più numerose sulla nuca. Ciò corrisponde a una corona non consistente in un piccolo cerchio di spine, ma a un vero e proprio casco di rovi calcato in testa, che evoca le insegne regali in uso all’epoca in oriente.
Il corpo impresso sul lino presenta due ampie ferite lacero contuse sulle due spalle, provocate dallo sfregamento della trave orizzontale che il condannato alla crocifissione doveva trasportare fino al luogo dell’esecuzione. Infatti, nella crocifissione romana il palo verticale, lo stipite, era già infisso a terra, mentre solo il palo orizzontale – una trave del peso di oltre 50 chili detta patibolo – veniva legato alle braccia distese del condannato, e poi assicurato con una fune alle caviglie, collegando con una corda i diversi condannati.
Dunque, le cadute di Gesù furono provocate anche dagli strattoni dei due ladroni che lo accompagnavano.
La Sindone documenta in modo inequivocabile che l’uomo avvolto in quel lenzuolo è caduto molte volte. Ci sono una serie di traumi cranici, provocati dalla robusta trave del patibolo che ad ogni inciampo schiacciava violentemente il capo del condannato contro le pietre della strada. Gesù, le braccia legate al patibulum, non può ripararsi il volto con le mani e va a cadere rovinosamente faccia a terra. Oltre al volto, anche le ginocchia evidenziano numerose lesioni della stessa natura. I soldati del picchetto che accompagna i tre sul Golgota si accorgono della prostrazione di Gesù, e forse temono che possa morire lungo la strada. Allora, con procedura insolita, costringono un uomo che passa di là, Simone di Cirene, a caricarsi il patibolo sulle spalle.
A questo punto, anche se alleviato del carico, il volto di Gesù è una maschera di sangue. L’uomo della Sindone ne fornisce una “fotografia” impressionante: il setto nasale è rotto; c’è una ecchimosi al centro della fronte, e poi una contusione all’altezza dello zigomo destro che comprime l’occhio.
Giunto al Calvario, Gesù viene spogliato brutalmente del suo mantello dai soldati, che per non tagliarlo lo tirano a sorte. Le ferite, rimaste aderenti alla stoffa, vengono riaperte dal brusco strappo della tunica. La Sindone mostra alcuni rivoli di sangue che sono riconducibili proprio allo strappo di un tessuto incollato alla pelle.
Tutto è pronto per la crocifissione. La Sindone riserva qui le sorprese maggiori: tutti gli artisti medioevali raffigurano il Cristo crocifisso nelle mani, mentre nella Sindone l’uomo avvolto nel lino non ha il palmo delle mani forate dai chiodi, ma sono invece i polsi a presentare il segno caratteristico dei ferri. L’anatomia conferma oggi che questa era l’unica modalità che rendeva staticamente sicura la crocifissione. Nell’uomo della Sindone non compare l’impronta del pollice: è un effetto inevitabile della lesione del nervo mediano, causata dal chiodo, che fa flettere automaticamente il pollice verso il palmo. Lo sfregamento dei fasci nervosi contro i chiodi, sui quali va a pesare tutto il corpo, procura un dolore lancinante.
Nell’uomo della Sindone, i piedi sono fra loro sovrapposti e trafitti da un unico lungo chiodo, che tormenta atrocemente il condannato durante il movimento rotatorio di oscillazione tra la posizione di accasciamento e sollevamento. La Sindone, fedelmente, ne fornisce traccia: la ferita del polso sinistro presenta due rivoli separati, che derivano dalle due posizioni tenute dalla vittima durante l’agonia. Lo stesso Gesù – come ogni condannato al patibolo – per alcuni istanti si accascia gravando sui chiodi delle mani, e poi si risolleva per non soffocare facendo leva sul chiodo che gli trafigge i piedi. È in questa posizione che il Figlio di Dio ha la possibilità di parlare, perdonando i suoi carnefici, dialogando con il ladrone pentito, e rivolgendosi a Maria e all’apostolo Giovanni. Poi, tutto è compiuto e Gesù muore. Viene sepolto in tutta fretta per via del sabato incombente. In questo modo, il suo corpo non viene lavato, cosicché viene affidato al sudario con tutti i segni della cruenta passione. Durante la deposizione e il tragitto verso la tomba, molto sangue misto a siero esce dalla ferita del costato. Il colore più intenso dimostra che si tratta di sangue fuoriuscito dopo la morte della vittima. Ma la Sindone ci parla misteriosamente anche della resurrezione: affinché l’immagine si sia riprodotta è stato necessario che il cadavere sia rimasto nel sudario almeno 24 ore ma non più di qualche giorno, perché altrimenti la putrefazione avrebbe distrutto l’immagine e il lenzuolo stesso. Tempi che corrispondono a quanto avvenne nel sepolcro trovato vuoto dalle donne e dai discepoli, la mattina di quel primo giorno dopo il sabato.
BIBLIOGRAFIA
Orazio Favaro, Via Crucis con la Sindone, Elle Di Ci, Torino 1997.
Maria Grazia Siliato, Sindone, Piemme, Casale Monferrato 1997.
Orazio Petrosillo – Emanuela Marinelli, La Sindone un enigma alla prova della scienza, Rizzoli, Milano 1990.
Dossier: La Passione di Cristo? E’ storia vera
IL TIMONE – N. 31 – ANNO VI – Marzo 2004 – pag. 44 – 45