Gesù, come uomo, ha affrontato e superato la soglia che conduce alla vita vera. Ne aveva il potere, essendo Dio. Ma al suo seguito, per sua mediazione e sua grazia, anche a noi sarà possibile
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entravi ma non ci riusciranno ». È Luca a riferirci queste lapidarie parole di Gesù (13,24). Matteo, riporta lo stesso concetto, ampliandolo un po’: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa; quanto invece stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (7,13- 14).
Parole un po’ misteriose e, come sempre, spiazzanti. Espressioni che, tuttavia, alludono chiaramente a un passaggio. Nella vita di noi tutti, dunque, esiste come una sorta di varco da superare; una specie di forca caudina che sembra porsi come decisiva, anzi obbligatoria, perché l’esistenza di ciascuno abbia un esito positivo.
Ma il quadro che esce dalle parole evangeliche non contiene solo questa porta “stretta” che porta alla “vita”, al cui ingresso molti si accalcano cercando di entrarvi, e che solo pochi riusciranno ad oltrepassare. Vi è anche una porta “larga” che invece molti riescono a varcare ma al di là della quale si trova il burrone della “perdizione”.
Si tratta evidentemente di una metafora che Gesù usa per descrivere, con una immagine assai pregnante che smuova anche i distratti, la sorte di questo genere umano del quale ognuno di noi fa parte. Uomini e donne di ogni età, che in ogni tempo sentono la voglia di vivere con pienezza la loro esistenza, di dare risonanza a quello slancio vitale che avvertono premere dentro di loro. Che percepiscono nel loro cuore un desiderio di amore e di creatività che cercano a tentoni di realizzare. Una moltitudine, dunque, che aspira ad orizzonti vasti e felici e che si accalca attorno a quella che sembra essere la strada giusta per trovarli. Ma che, tuttavia, come il Vangelo ci ammonisce con severità e tristezza, finisce spesso per incamminarsi nel sentiero sbagliato, che appare quello della “perdizione”, cioè della delusione, della sofferenza, quando non della inutilità e della morte interiore. È dunque evidente che questa possibilità dell’una o dell’altra scelta è molto importante anche per noi e che per questo diventa decisivo sapere dove stiamo. Capire, cioè, davanti a quale porta siamo in attesa oppure quale soglia abbiamo varcato.
Ma che cos’è poi, in realtà, questa “porta stretta” a cui Gesù allude? È sempre il Vangelo ad aiutarci. Questa volta si tratta di Giovanni (10,1-18), quando ci riporta un’altra immagine, questa volta sotto forma di parabola. Quella del “buon pastore”, nella quale Gesù fa due affermazioni che colpiscono. La prima è quella in cui egli sostiene di essere il solo ad avere le “credenziali” giuste per guidare le sue pecore. E questo perché, a differenza di altri, ladri e malfattori, è entrato, guarda caso, attraverso la “porta”; particolare quest’ultimo tanto importante che servirà – come un sigillo – a riconoscerlo e a dargli credito. Quando, poi, gli uditori sembrano non capire questa sua prima affermazione, egli ne aggiunge un’altra sorprendente e cioè che egli stesso è “la porta” delle pecore.
Gesù, dunque, è passato anch’egli attraverso quella porta che in altra parte del Vangelo ci invita a superare? E lo ha fatto in modo tale da essere diventato, proprio in seguito a questo evento, mediatore e giusta guida per tutti gli altri? Sì. È proprio così, ed è ancora una volta niente altro che il cuore della fede cristiana. Sempre nella stessa parabola è infatti ancora Gesù a spiegarci il come e il perché: «Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere. Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore e il buon pastore offre la vita per le pecore… Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie. Ma la offro da me stesso poiché ho il potere di offrirla e poi di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
In poche e suggestive immagini Gesù dunque ci svela che quando, per un disegno amorevole, il Padre ha deciso di far entrare l’umanità – quella che aveva creata e che gli si era ribellata contro – all’interno stesso della vita trinitaria, egli, Figlio unigenito, ha fatto suo questo disegno accettando di incarnarsi. E lo ha fatto con un atteggiamento di amore e di obbedienza così totali alla volontà paterna da giungere fino ad offrire completamente la propria vita per questa stessa umanità, fino alla morte di croce. Consapevole, tuttavia, che tale sacrificio – accettato del tutto volontariamente – sarebbe stato non la fine di tutto ma il passaggio ad una vita “ripresa di nuovo”. Cioè a quella che ormai sappiamo essere stata la risurrezione. Gesù stesso, dunque, come uomo, ha dovuto affrontare quel passaggio che ora viene indicato come la via giusta anche per noi al fine di trovare la vita. Egli lo ha fatto perché “ne aveva il potere”, cioè era anche Dio. Ma al suo seguito, per sua mediazione e sua grazia, anche a noi sarà possibile.
Ecco, dunque, il perché di quella porta “stretta”. Essa è tale perché implica un impegno, richiede una donazione che può – ma anche deve – giungere fino alla rinuncia alla vita. Non certo per amore della sofferenza e della morte o per una rinuncia a vivere le proprie aspirazioni. Ma nel senso espresso da altre parole che hanno tuttavia lo stesso significato: «chi cerca di salvare la propria vita la perderà. Chi invece la perderà per amor mio la troverà…». Detto in altri termini: noi premiamo verso la porta della vita perché aspiriamo ad essa ma, in realtà, ignoriamo quali siano le regole valide per accedervi. Anzi, spesso confondiamo le regole buone con quelle cattive dando retta a ladri e malfattori. Solo il Vangelo è la chiave vera che apre la porta a Dio e insieme ai desideri profondi del nostro cuore .Sì, perché non è facile capire fino in fondo il mistero che attraversa la nostra esistenza. Così come non è facile nemmeno mantenerci fedeli a quanto pur giustamente, spesso, abbiamo iniziato ad intuire.
Sulla direzione che ci avvia verso questa porta “stretta” frequenti infatti possono essere gli abbagli oppure le illusioni. Gesù stesso, per esempio, ci dice con chiarezza che occorre giungere all’incontro con lui per essere certi di essere sulla buona strada. E lo chiarisce bene: per tutti, non solo per i cristiani: «Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre». Dunque, che lo si voglia o no, che se ne abbia coscienza o meno, Gesù è il solo, unico, vero mediatore e pastore. Certo, lo sappiamo, i confini della Chiesa mistica non coincidono con quelli della Chiesa visibile. Solo Dio, infatti, scruta davvero i cuori, mentre lo Spirito soffia ovunque per dare vita a veri figli che lo sappiano scoprire, seppure per vie diverse. Ma là dove avviene un incontro vero tra un uomo e il suo Dio, là mediatore è sempre il Cristo e là soffia quell’autentico Spirito che unisce in un amore eterno il Padre e il Figlio.
Ma anche questo incontro con il vero Dio, rivelatoci da Gesù, seppure importantissimo, può tuttavia ancora non essere decisivo per una salvezza e una comunione piene. Può mantenerci nella giusta direzione, questo sì, ma trattenerci solo sul limitare della porta, oppure farci fare solo pochi e incerti passi oltre la soglia, sempre troppo trattenuti nel donarci, sempre un po’ nostalgici di quel poco o niente che abbiamo lasciato. Ciò che invece diventerà decisivo sarà realizzare, con l’aiuto di Gesù che ha percorso questo cammino prima di noi, quella conversione totale del cuore che davvero opera il passaggio in modo radicale e ci avvia con forza sulla via della vita. Sarà quella disponibilità a morire al nostro piccolo io che invece tende a resistere sempre oltre misura. E questo perché è cieco e non sa scorgere, se non con grande difficoltà, la grandezza e la gioia che lo attendono quando sa riconoscersi creatura e pertanto si abbandona con fiducia a chi lo ha fatto. A colui che proprio per questo lo conosce davvero nei suoi limiti ma anche nel suo straordinario destino.
Passare per la “porta stretta” significherà dunque alla fin fine capire e di conseguenza arrendersi, senza più resistenze inutili e dannose, a quella che è la legge eterna che presiede a tutto. A quell’amore che muove ogni cosa, anche la nostra piccola e fragile vita. Un amore che esce dal nostro orizzonte e dal nostro cuore entrambi limitati. E che proprio per questo richiede umiltà e semplicità per essere capito. Ma che ci permetterà di fare esperienza fin da qui, fin da questo nostro mondo pur pieno di contraddizioni, di che cosa significhi incontrare la pienezza del cuore di Dio.
IL TIMONE N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 56 – 57