Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

14.12.2024

/
La Principessa felice
31 Gennaio 2014

La Principessa felice

Si chiama Alessandra Borghese. Discendente della nobile famiglia romana, studi in America e un’attività prestigiosa di imprenditrice culturale. Poi, la conversione al cattolicesimo, che ha raccontato in due libri di successo. «Quando uno incontra Gesù – dice – vuole andare a dirlo a tutti, vuole contagiare gli altri».
Il lieto fine c’è, ma stavolta non si tratta di una fiaba; anzi, è tutto vero. La principessa felice la sua storia l’ha scritta personalmente in due libri di grande successo: «Con occhi nuovi» e «Sete di Dio» (ambedue per Piemme). Si chiama Alessandra Borghese, discendente della nobile famiglia romana, studi in America, un’attività prestigiosa di imprenditrice culturale a contatto con molti nomi «che contano». Se però oggi è famosa e viene invitata a parlare dappertutto non è per le sue conoscenze, ma perché si è convertita al cristianesimo.

Signora Borghese, la sua non è stata una folgorazione sulla via di Damasco, bensì una conversione «passo dopo passo». È così?
«La mia conversione è una storia normale, anche po’ banale.
Si è compiuta nel giro di 4 mesi, piano piano, attraverso fatti anch’essi banali (come seguire un amico a messa), fino alla vera svolta, quando i pregiudizi verso la Chiesa e i preti sono crollati. E sono arrivata alla confessione, col desiderio non tanto di fare un elenco minuzioso di tutte le mancanze commesse quanto di chiedere perdono a Dio, che sapevo di avere offeso non dandogli un posto adeguato nella mia vita».

Lei parla di «ritorno a casa».
«Sì, perché sono stata battezzata e sono stata a scuola delle suore, provengo da una famiglia cattolica che ha avuto Papi e anche santi… Non ho mai lasciato la fede, anche se mi sono conformata a una mentalità secondo la quale mi sembrava che non ci fosse bisogno di Dio per aver successo nella vita. Però “conversione” resta la parola da usare, pur se sono consapevole che faccia un po’ paura».

Appunto. «I convertiti sono ingombranti», lei dice citando Bernanos. A volte sono anche ingenui, entusiasti, estremisti…
«Certo, siamo ingombranti: perché siamo o molto amati o detestati. L’indifferenza non sembra far parte delle reazioni che provochiamo. E siamo denigrati o al contrario esaltati perché costituiamo la prova non solo che Dio esiste, ma che continua a operare anche oggi. Comunque sono state numerose le persone che mi hanno dimostrato affetto e supporto, più di chi mi ha tacciato di esibizionismo o criticato.
Siamo estremisti? Non lo so. Ingenui? Neppure. Che siamo entusiasti è vero. Perché quando uno incontra Gesù (il cristianesimo è quello, non una filosofia) vuole andare a dirlo a tutti, vuole contagiare gli altri. Io – ne sono consapevole – sto vivendo un’infanzia spirituale, dove tutto per ora va benissimo, ma so che potrebbero arrivare anche le notti buie, le aridità. Nel mio piccolo per esempio ho scelto di dare un limite alle presentazioni dei libri e alle testimonianze in giro per l’Italia e l’Europa, perché non voglio che ciò diventi routine bensì rimanga una gioia profonda del cuore, da annunciare con tutta la sua purezza e forza».

Sono ancora tante le conversioni, oggi?
«Parecchie. Solo che molte persone hanno quasi timore o vergogna ad aprire il cuore e a raccontare. Alcuni non parlano della fede per paura del giudizio di chi sta loro intorno.
Altri per una questione di educazione, che li ha abituati a non manifestare la fede in pubblico: in passato non si sentiva quel bisogno di testimonianza cui oggi siamo costantemente chiamati. Però ho girato tutta la Penisola, e pure Francia, Germania, Belgio, ho ricevuto moltissime lettere, e dappertutto mi sono sentita ripetere: la sua storia è come la mia, anche a me è successo lo stesso, e così via. La nostra Chiesa è viva».

La fede è un dono, è l’obiezione di tanti (Montanelli compreso); io non l’ho ricevuto, quindi non è colpa mia se non ce l’ho…
«Certo, se decido di convertirmi con i soli mezzi umani, è molto difficile che ottenga quel dono. Se invece mi pongo umilmente in ginocchio e chiedo a Dio di farmi luce, perché da solo non ce la posso fare, allora l’esito può essere assai diverso. La conversione è una grazia, ma chiunque può fare qualcosa per ottenerla: provare ad aprire il cuore, ad esempio, senza mettere ostacoli per paura di perdere chissà che cosa».

Già. Che cosa, visto dalla parte di chi non crede o comunque è solo un cristiano «nominale», facilita e che cosa ostacola una conversione?
«Il grande ostacolo è la paura di perdere la libertà.
Seguire Gesù Cristo e abbracciare la dottrina della Chiesa appare come una lista di rinunce, di castrazioni a volte, e bisogna far capire che non è così, anzi è il contrario esatto».

Ma di chi è la colpa: dell’ideologia dominante, o della Chiesa che non sa presentarsi?
«Un po’ e un po’. Laddove c’è ideologia, sappiamo bene che ci vuole tempo per sgretolare i pregiudizi. Anche la Chiesa poi può aver sbagliato: secondo me nell’eccessivo liberalismo, nel farsi voler bene a tutti i costi, quasi nella ricerca di consensi. Così si perde il fascino del mistero, il senso del sacro».

Quali sono i vantaggi della conversione, invece?
«La vita diventa un vero dono e tutto assume un valore importante. Lo sguardo si alza dalla terra, sapendo che siamo parte di una grandissima storia che non finisce qui. Persino la natura acquista un senso diverso, la si vede come creazione sentendosi parte di tale splendido dono. Non ci si sente più soli. Io oggi posso dire di avere totale fiducia in Dio».

Trova che i cristiani siano troppo timidi, paurosi davanti al mondo?
«No. È che noi non siamo aggressivi né violenti.
Certo, non tutti sono pronti a testimoniare e annunciare la fede; però molti sono disposti a farlo. Poi in Italia siamo privilegiati, da noi non esistono situazioni di frontiera simili a quelle che ho visto nell’Europa del nord, dove i credenti affrontano un mondo in cui la fede deve rimanere un fatto privato».

Non ha avuto l’idea di un certo trionfalismo clericale, dietro l’enfasi sulle conversioni che ricominciano?
«Semmai trovo un forte bisogno di spiritualità, vissuta nei modi più disparati, e soprattutto una grande ignoranza. Noi battezzati non conosciamo i contenuti della nostra religione e nemmeno la storia della Chiesa».

Che cosa pensa delle altre conversioni?
«Sono molto attratta dai convertiti. Ho voluto scrivere dopo aver letto il libro di Leonardo Mondadori, che conoscevo, sulla sua conversione. Ho pensato che forse il mio nome poteva servire a dare fiducia ad altri più timidi. Ho voluto mostrare che il cristianesimo non è soltanto roba per poveracci, falliti, delusi dalla vita».

Lei infatti è una donna bella, giovane, ricca, nobile, capace di andare nel salotto di Bruno Vespa… Crede che questo conti nel successo della sua storia?
«Se dicessi di no sarei un’ipocrita: in un mondo fatto di apparenza e immagine, tutto questo ha contato. Però non bastava. Ci vuole anche la sostanza, sennò la testimonianza ricadrebbe su se stessa. Difatti le persone più difficili da convincere della mia sincerità sono state la mamma e i miei fratelli, che all’inizio erano scettici e solo col tempo hanno visto che ero effettivamente cambiata».

Dossier: Conversione

IL TIMONE – N. 55 – ANNO VIII – Luglio/Agosto 2006 – pag. 42 – 43

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista