Il silenzio dell’occidente e le minacce dell’islam: le reazioni al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona mettono a nudo il vuoto religioso e l’irrazionalità dominanti nella nostra epoca. manuale II Paleologo e il “saggio persiano” ci insegnano cos’è il vero dialogo e il corretto uso della ragione.
Diciamocelo sinceramente: chi non è sobbalzato nel leggere l’ormai famosissima citazione di Manuele II Paleologo nel discorso che papa Benedetto XVI ha rivolto al corpo accademico dell’Università di Ratisbona? Lo si è visto anche dalle reazioni di tanti autorevoli opinionisti cattolici: quella domanda “sorprendentemente brusca” – come l’ha definita il Papa – che l’imperatore bizantino fa a un saggio musulmano in cui lo sfida a mostrare “ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”, è stata da molti giudicata inopportuna o evitabile. Eppure, anche senza entrare nel merito dei concetti espressi dal Paleologo – che lo stesso Benedetto XVI ha detto di non essere i suoi – la citazione di quel dialogo non può essere casuale. In ogni caso offre spunti di riflessione molto attuali, in aggiunta a quelli già approfonditi dal Papa e riportati in questo stesso numero del Timone a pag. 58.
Ad esempio fa piazza pulita di uno dei più diffusi luoghi comuni su cristianesimo e islam. Tanti, per giustificare in qualche modo il fondamentalismo islamico, sostengono infatti che tale religione attraversi un periodo analogo a quello del cristianesimo nel Medio Evo: commistione tra Chiesa e Stato, guerre di religione e così via. In fondo, quindi, i cristiani non avrebbero molto da rimproverare ai musulmani perché essi hanno fatto lo stesso, e se oggi si sono evoluti lo devono alle conquiste della Rivoluzione francese e dell’illuminismo, che hanno fortemente limitato l’influenza del cristianesimo nella società. Senonché, il dialogo di Manuele II con il saggio persiano, avvenuto nel 1391, quindi proprio durante il Medio Evo cristiano, ci rivela che già allora si poneva la questione del rapporto tra fede e ragione come discriminante tra le due religioni. Una seconda questione è ancora più attuale e la ricaviamo dal contesto in cui il colloquio tra i due personaggi si svolge. L’Impero bizantino è infatti ridotto ai minimi termini, l’avanzata dei Turchi appare inarrestabile e Costantinopoli è prossima a essere presa d’assedio, Manuele II cercherà di salvare il salvabile anche volgendosi alla Chiesa d’Occidente e trovare un’unità contro i turchi. L’interlocutore del Paleologo è peraltro il direttore di una madrassa, una scuola coranica: è perciò un personaggio autorevole dell’islam, ma l’imperatore bizantino lo descrive con una parola greca che significa non solo “saggio”, ma anche “di retta opinione”: oggi potremmo dire un leader islamico che cercava la verità. E infatti i due si trovano per discutere – su un piano di perfetta parità – l’ordine gerarchico tra la Legge di Mosè, di Gesù e di Maometto. È una discussione teologica e storica in cui si colloca la frase citata da Benedetto XVI. La cosa interessante è che ciò che oggi – soltanto citato – appare come un’offesa ignobile all’islam, nell’interlocutore di allora apparve semplicemente come un giudizio legittimo, una sfida da raccogliere per giungere alla verità di sé.
Questo aspetto ci dice anzitutto che pur in tempi carichi di tensione è possibile un dialogo, anche con espressioni “brusche”, se questo è davvero improntato alla ricerca della verità e non del modo più furbo per sottomettere l’altro. In secondo luogo – ma ancora più importante – il dialogo vero, come quello tra l’imperatore e il saggio musulmano, è possibile solo se l’identità delle due parti è chiara, se ognuno cioè è cosciente della propria identità ed è disposto a rischiarla in un rapporto con l’altro. È anche uno dei messaggi che il Papa ha comunicato nel suo viaggio in Germania, e non soltanto nel discorso di Ratisbona. Chi è certo della Verità che ha incontrato non teme un confronto vero con qualsiasi altra cultura o religione. E del resto solo a questa condizione è possibile non essere ricattati dalla paura, che invece – nella vicenda del dopo-Ratisbona – è apparsa come il sentimento dominante sia in Occidente sia nello stesso mondo islamico.
Proprio da questo punto di vista la lezione di Ratisbona, con ciò che ne è seguito, ha messo a nudo la debolezza del mondo attuale. Quanti in Occidente si sono riempiti la bocca di “dialogo” – dentro e fuori la Chiesa – intendono in realtà mettere tra parentesi ciò che siamo e desideriamo per evitare guai. In una parola: paura. Paura di perdere la propria tranquillità, paura di essere uccisi o perseguitati, paura di difendere la libertà. Ecco perciò il silenzio imbarazzato di tanti politici e governi, le parole ambigue di tanti religiosi, l’astiosità contro il Papa di tanti opinionisti laici, tutti così ansiosi di interpretare il “rammarico” di Benedetto XVI come “scuse”, in modo da placare l’ira del potente di turno. È questo il motivo per cui oggi in Occidente si moltiplicano i tabù, argomenti di cui diventa impossibile discutere: l’islam, i rapporti omosessuali, l’Olocausto, il comunismo, perfino i cambiamenti climatici. Ma così una società vede di giorno in giorno restringersi i propri spazi di libertà fino al soffocamento totale. Una identità debole, oltre alla paura, porta anche la violenza. La rabbia delle piazze musulmane, che i tg ci hanno generosamente mostrato, le minacce contro il Papa e la Chiesa, i cattolici uccisi e le chiese distrutte, sono segno di debolezza, non di forza. Il mondo islamico – o almeno i suoi leader – in realtà ha paura di essere fagocitato dall’Occidente e teme il dialogo perché ha paura della Verità. Tanto è vero che, in barba alle nostre distinzioni tra moderati e fondamentalisti, si fatica a trovare qualche voce che faccia un corretto uso della ragione. La sfida che Benedetto XVI ha lanciato a questo mondo è proprio qui: se c’è qualche “saggio persiano” che ama la Verità e non è disposto a svendere la propria religione a una ideologia, si faccia avanti. Troverà certamente un “Manuele II Paleologo” pronto a un dialogo aperto e vero: magari con espressioni meno brusche, ma capace di rendere ragione della propria fede in Cristo.
«L’Occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così può subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza, è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica entra nella disputa del tempo presente. “Non agire secondo ragione (con il logos) è contrario alla natura di Dio”, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori». (Benedetto XVI, Lezione all’Università di Ratisbona, 12 settembre 2006).
BIBLIOGRAFIA
Massimo Introvigne, Il dramma dell’Europa senza Cristo, SugarCo 2006. Cento domande sull’islam, intervista di Giorgio Paolucci e Camille Eid a Samir Khalil Samir, Marsilio 2005.
IL TIMONE – N. 56 – ANNO VIII – Settembre/Ottobre 2006 – pag. 10 – 11