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15.12.2024

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La Reconquista spagnola: scontro di civiltà ?
31 Gennaio 2014

La Reconquista spagnola: scontro di civiltà ?

 

  

 

Aspetti del ritorno della cristianità nella penisola iberica: la Reconquista. Un’epopea conclusa nel 1492, dopo 750 anni di lotta contro i regni moreschi musulmani. Le vere radici della Spagna
 

 


Ogni volta che si torna a discutere delle radici cristiane dell’Europa viene ricordata la presenza di altre radici, di altre culture e, più di tutte, di quella islamica, presente in Sicilia, nei Balcani e in Spagna. È indubbio che tale presenza sia stata decisiva, spesso positivamente, favorendo lo sviluppo della civiltà europea: uno sviluppo che, però, le popolazioni cristiane di allora pagarono caro, con guerre, scorrerie, devastazioni e schiavitù. Per la Spagna moresca la questione è tanto più importante quanto più lunga è stata la permanenza della penisola iberica nella Dar el Islam (la Casa della Sottomissione). Ancora più importante è considerare il punto di vista dei cristiani di allora e come si comportarono di fronte all’invasione musulmana.
Una questione che, oggi, per la Spagna è di importanza quasi vitale se si considera che il termine reconquista compare nella storiografia ispanica solo alla fine del XVIII secolo e viene sempre più usato nel XIX secolo, dopo le guerre antinapoleoniche e con la fine dell’impero coloniale, proprio quando diventa più acuta l’esigenza di un’identità nazionale. Nel corso del XX secolo le grandi opere storiche di Ramón Menéndez Pidal (1869-1968) e di Claudio Sánchez- Albornoz (1893-1984) consacrarono questo concetto anche se non mancarono voci discordanti come quella di Américo Castro (1885-1972) con la sua Espana en su historia. Castro, correttamente, non negava l’esistenza di una conquista militare, ma ne contestava il valore necessariamente positivo, come spiega Alessandro Vanoli nel suo recente La Reconquista (p. 206). Un valore, va detto, che era largamente condiviso nella Spagna di quegli anni e che fu ancor più esaltato dal generale Francisco Franco (1892-1975) con la sua vittoria nella guerra civile spagnola.
L’occupazione islamica
Ora, se il concetto di “reconquista” era sconosciuto agli spagnoli di allora, quale fu la guerra che questi dovettero combattere e in cosa si differenziava dai conflitti “normali” fra regni cristiani?
L’Iberia era stata invasa e occupata già all’inizio del V secolo da alani, vandali e ostrogoti e, infine, dai visigoti. La popolazione ispano-romana, non addestrata a combattere, aveva dovuto cedere ogni volta alla forza e sottomettersi ai sempre nuovi padroni.  I visigoti, con un’accortezza pari alla miopia, non avevano voluto mescolarsi ai sudditi, mantenendo il monopolio delle armi. In tal modo, 200.000 barbari poterono controllare agevolmente un paese di 5.000.000 di abitanti. La loro forza militare era indubbia ma aveva basi fragili, soprattutto dal punto di vista politico. Guerre civili, ricorrenti colpi di Stato, una Chiesa troppo sottomessa al potere politico per essere autorevole: era quello che venne denominato “morbus gothorum”, ossia la predisposizione a far prevalere sempre e comunque l’interesse della propria fazione su quello collettivo, anche a costo di distruggere un intero paese e consegnarlo a un nemico esterno.
Nel corso del VII secolo pestilenze, carestie e guerre intestine portarono a un brusco calo della popolazione e a una miseria diffusa in tutto il Paese. In questo tragico contesto giunse la prima scorreria berbera nel 710 e, nel 711, l’offensiva di un vero e proprio corpo di spedizione di 7000 uomini, al comando di un liberto di origine berbera, Tāriq ibn Ziyād al-Laythī (?-720). Si trattava di berberi neoconvertiti, traghettati in Spagna dalle navi del governatore bizantino di Ceuta e che costituirono una forte testa di ponte nella baia di Algeciras, davanti a Gibilterra. Re Roderico (688-711), che aveva conquistato il trono con la forza strappandolo ai figli del suo predecessore Vitiza (687-710), era impegnato nell’assedio della ribelle Pamplona, al capo opposto della penisola. Informato dello sbarco musulmano, Roderico si precipitò a sud racimolando tutte le forze disponibili fra le quali quelle dei suoi nemici giurati, Sisbert e Oppa, da lui spodestati. Il 19 agosto 711, nei pressi del rio Guadalete, vicino all’odierna Arcos de la Frontera, Tariq sbaragliò l’esercito visigoto, grazie anche al tradimento di Sisbert e Oppa che fuggirono dal campo di battaglia lasciando solo Roderico. Questi cadde sul campo e la monarchia visigotica morì con lui. Grazie a ulteriori rinforzi berberi (almeno 15.000 uomini inviati dall’emiro Muza ben Nusair), Tariq conquistò tutte le principali città spagnole, ora con la forza, ora con la diplomazia. I visigoti sopravvissuti cedettero, ottenendo condizioni di resa favorevoli e gli ispano-romani erano troppo deboli per resistere. Come era già accaduto in Palestina e in Siria, gli ebrei, perseguitati dai visigoti, accolsero i musulmani come liberatori e diedero un notevole contributo alla conquista islamica. I cristiani divennero dhimmi: il che significava pagare la “tassa del sangue” ed essere ghettizzati secondo le norme che, successivamente, sarebbero state raccolte nella cosiddetta “Carta di Omar”.

La resistenza dei cristiani

Fin da allora, però, emerse un fattore determinante per la fine dell’espansione musulmana: i cristiani spagnoli, contrariamente ai berberi e ad altre popolazioni soggiogate dai musulmani, non si convertirono all’islam e non collaborarono con gli arabi nell’assalto ai paesi cristiani. È vero che la conversione non fu incoraggiata in quanto la “tassa del sangue” era una delle voci di entrata più cospicua degli emiri di Cordova; ma è anche vero che i cristiani di allora, non cambiando religione, non fornirono nuove leve agli eserciti che continuavano ad aggredire la Francia meridionale. Le spedizioni musulmane in Aquitania e Septimania, invece, videro la partecipazione di un numero assai ristretto di guerrieri ispanici. Gli effettivi arabi e berberi erano ridotti e, per tale motivo, alcune sconfitte sanguinose come quella di Tolosa del 721 e quella di Poitiers del 732 causarono la perdita di quasi tutto il potenziale militare musulmano in Spagna, considerato che diverse migliaia di uomini dovevano comunque restare di guarnigione nelle principali città. La Reconquista non cominciò quindi tanto dalla prima insurrezione antislamica di Pelayo (690 ca-737 ca), il fondatore del regno delle Asturie, e dalla pur importante battaglia di Covadonga (722), ma dal cuore di ogni singolo cristiano, deciso a non cedere alla tentazione di una vita più facile e meno umiliante.

Quanti musulmani in Spagna prima della Reconquista?
Quanti musulmani erano presenti in quella che il mondo islamico chiama ancora Al Andalus? Secondo Richard Fletcher, in base ad un calcolo abbastanza ipotetico si può considerare che, ancora nell’800, dopo un secolo di dominio, solo l’8% della popolazione fosse musulmana. «La percentuale salì al 12,50% nell’850, al 25 nel 900 e al 50 nel 950 fino raggiungere il 75% nel 1000» (El Cid, Garzanti, 1989, p. 24). Fu, questo, il frutto di una politica di intensa islamizzazione, con la conversione all’Islam di larghe fasce della popolazione ma anche con una massiccia emigrazione di mozarabi (da “mustarib”, cristiani arabizzati) verso i regni cristiani che, col passare dei secoli, erano divenuti sempre più popolosi e potenti. Tale emigrazione era seguita ad alcune grandi rivolte (come quella di Toledo dell’837) e a un certo numero di martiri avvenuti intorno alla metà del IX secolo. Gli storici spesso descrivono questi confessori della fede come “fanatici”: per essere tali, nella società musulmana di allora, bastava dire che Maometto non era ispirato da Dio, oppure, come sant’Eulogio, sacerdote e martire nell’anno 859, avere ospitato una musulmana convertita al cristianesimo. Certamente si trattava di cristiani impavidi, decisi a resistere contro una certa diffusione nella penisola iberica dell’eresia adozionista, che permetteva forme di coesistenza con l’islam ma rinunciava ad affermare la divinità di Cristo. L’alternativa, forse più gradita ai cristiani “politicamente corretti” di oggi, sarebbe stata quella di venire a patti con l’islam, trovare un terreno di dialogo comune, “sedersi attorno a un tavolo e discuterne”: loro no, anche perché avevano a che fare con un mondo, quello islamico, che non era per niente disposto a relativizzare e ammetteva una verità nel cristianesimo soltanto in quanto rivelazione imperfetta. In ogni caso la caparbietà dei cristiani fu notevole e fu un esempio per tutti, anche per quei cristiani che vivevano liberi nel nord della Spagna. Non è eccessivo affermare che fu la tenacia dei cristiani mozarabi a determinare la fine del califfato di Cordova. La resistenza, anche solo passiva, dei cristiani spagnoli costrinse i califfi a portare nella penisola nuovi immigrati e, con essi, le divisioni tribali e razziali che portarono alla frammentazione dei regni di taifas e, in conclusione, alla scomparsa della Spagna moresca.
Quanto ai regni cristiani del nord va considerato come l’inserimento della Spagna nella cultura e nella vita politica europea sia stata dovuta in buona parte proprio alla lotta contro l’islam. L’influenza franca si fece sentire fin dall’inizio del IX secolo quando Carlo Magno (742- 814) conquistò Barcellona (801). A ciò va aggiunta la costruzione del santuario di Santiago di Compostela che attirò fedeli pellegrini da tutta l’Europa. Questo collegamento fra Spagna ed Europa fece sì che il flusso di pellegrini, nel tempo, diventasse un flusso di volontari nella lotta contro i mori.
Non si possono ripercorrere le fasi di questa lotta di frontiera, ma se ne possono evidenziare alcuni caratteri fondamentali. Le scorrerie musulmane, per quanto fossero spesso vittoriose, come quelle del responsabile militare e politico del califfato di Cordova, Almanzor (938-1002), non tesero mai a diventare occupazione stabile del territorio conquistato, sempre per la carenza di organici di cui si è detto. Con il tempo gli eserciti cristiani non si limitarono solo ad avere fanterie coraggiose e incrollabili, ma anche una cavalleria pesante, efficace e manovriera.
Le continue vittorie cristiane alla fine dell’XI secolo provocarono l’afflusso di eserciti musulmani, come gli almoravidi e gli almohadi, di grande combattività ma di altrettanto grande fanatismo, tanto da far sentire gli stessi andalusi come soggetti a nuovi padroni, per quanto essi fossero correligionari. Al contrario, per quanto i regni cristiani si facessero spesso la guerra tra loro, l’opera della Chiesa e dei Papi, sia in campo spirituale che diplomatico e finanziario, fece sì che tali discordie potessero essere superate, costituendo grandi alleanze che portarono alla strepitosa e decisiva vittoria di Las Navas di Tolosa, il 17 luglio 1212, dove la coalizione cristiana (Navarra, Aragona, Castiglia, Catalogna, Portogallo) ottenne una vittoria importantissima nella storia della Reconquista.

L’unione di Castiglia e Aragona
Alla fine del XV secolo Isabella di Castiglia (1451- 1504) e Ferdinando II d’Aragona (1452-1516) univano i propri regni ed espugnavano Granada, l’ultima roccaforte moresca: era il 2 gennaio del 1492. Per raggiungere tale risultato, i due sovrani avevano dovuto predisporre uno Stato efficiente e un esercito duttile nell’impiego, moderno negli armamenti (famosa la sua artiglieria) e che ereditava le tradizioni dei combattenti medioevali, sia a piedi che a cavallo. Fu questo formidabile strumento militare a permettere la conquista di gran parte dell’Europa e di un impero nelle Americhe.
Il successo della Spagna e del suo “siglo de oro” affondano così le proprie radici in quella lotta discontinua e sanguinosa che oggi si vorrebbe non tanto riesaminare, come sarebbe legittimo e doveroso, quanto cancellare dai libri di storia o metterla nel museo delle idee estinte. Andare contro la propria storia, cancellarla e rinnegarla è una politica miope che non ha mai portato buoni frutti: anche perché, considerando la politica di favore nei confronti dell’islam e l’aggressione alla Chiesa portata dal governo Zapatero in questi anni, non si può non pensare che “il morbo gotico” sia ancora ben vivo.

 

Per saperne di più…

 

Alessandro Vanoli, La reconquista, il Mulino, 2009.
Alberto Leoni, La croce e la mezzaluna, Ares, 2009.
Alberto Leoni, L’Europa prima delle crociate, Ares, 2010.

 

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 22 – 24

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