Ormai tutti sappiamo bene, perché ne sentiamo parlare praticamente ogni giorno (conoscendone spesso anche direttamente le gravi conseguenze negative), che cosa siano l’anoressia, la bulimia, l’obesità e più in generale i vari disturbi legati alla alimentazione.
Essi, quasi sconosciuti prima, stanno ora dilagando sempre più. Coloro che studiano e curano questi disturbi sostengono che hanno origine in una psiche disturbata e che, di conseguenza, la terapia che vuole risolverli deve essere globale. Cioè, riguardare l’intera persona.
Di contro, grazie ad alcuni medici pionieri come il canadese Jackson, lo svizzero Bauer, il tedesco Buchinger, è andata avanti e si è consolidata da oltre un secolo l’esperienza del digiuno terapeutico. Essa, diffusa dapprima soprattutto in America e nei paesi di lingua tedesca, sta ora progressivamente estendendosi anche nei paesi di lingua latina. I risultati ottenuti nelle cliniche che praticano questo tipo di cura hanno ripetutamente dimostrato che periodi di digiuno condotti con il controllo e l’assistenza medico-psicologica ottengono ottimi risultati non solo per la prevenzione e la cura di molte malattie, ma sono anche un mezzo per ottenere un cambiamento di vita e un maggiore equilibrio interiore.
Questa rinnovata attenzione sul cibo come una delle chiavi di volta della vita umana in tutte le sue componenti ed espressioni, questo capire sempre meglio come un rapporto squilibrato con esso (in eccesso o in difetto) sia il segno importante di una sofferenza più generale che investe i livelli profondi di una persona, ha prodotto una rinnovata attenzione su questo tema anche in ambito cattolico.
Così non solo si è cominciato a richiamare con più vigore l’impegno al digiuno nei giorni prescritti dalla legge della Chiesa e l’astensione dalla carne durante la Quaresima ma, per esempio, sotto la guida di Giovanni Paolo II, il 14 dicembre 2001, dopo molto tempo la Chiesa nella sua interezza ha rivissuto un’esperienza ben conosciuta nei primi secoli – ma già nell’A.T. – di un digiuno profetico.
Cioè, di un digiuno indetto come espressione di penitenza per lo stato di peccato dell’umanità in quanto tale e di impetrazione della misericordia, della pace e dell’aiuto divino. Del resto, già il 21 marzo 1979 parlando ai giovani, il Papa aveva detto: «Il digiuno diventa penitenza, cioè conversione a Dio in quanto purifica il cuore dalle tante scorie del male, abbellisce l’anima di virtù, allena la volontà al bene, dilata il cuore ad accogliere l’abbondanza della Divina Grazia». È un’eco contemporanea di quanto nei primi secoli era nato dalla esperienza e dalla riflessione accurata e profonda che su questo tema avevano fatto i Padri della Chiesa e che possiamo riassumere nelle parole di S. Atanasio. Il digiuno, egli diceva, «guarisce le malattie, asciuga ogni flusso morboso del corpo. Allontana i demoni, scaccia i pensieri malsani. Rende lo spirito più luminoso e purifica il cuore. Santifica il corpo e innalza l’uomo sul Trono di Dio. Il digiuno è una forza grande e conduce a grandi risultati».
Il desiderio di utilizzare questo strumento così importante di conversione e di ascesi ha prodotto anche altri risultati nella Comunità cristiana. Molti digiunano a pane ed acqua il mercoledì e il venerdì, come ha chiesto Maria a Medjugorje. L’astensione dal cibo viene praticata anche, per esempio, in alcuni movimenti e comunità ecclesiali come evento forte e straordinario ma pure come pratica settimanale o mensile. Esistono anche, per chi lo desideri, ritiri spirituali o corsi di meditazione nei quali si può vivere il digiuno totale o parziale all’interno della esperienza spirituale. Per esempio, nella casa di ritiro dei Barnabiti di Opilio, P. Antonio Gentili, uno dei pionieri dei corsi di meditazione in Italia, ha creato una struttura che consente l’esperienza di un digiuno prolungato e assistito (questo è molto importante) da vivere nel silenzio e nella preghiera, nello spirito del Vangelo, all’interno della Tradizione della Chiesa riscoperta nella sua pienezza con attenzione e amore.
Sì, perché se è vero che il digiuno come strumento di ascesi al divino esiste in ogni religione fin dai tempi più antichi, ed è quindi un mezzo collaudato nella sua efficacia; se è ugualmente vero che la prova scientifica della sua utilità in campo medico e psicologico è importante e va guardata con interesse; è però vero che, per un cristiano, il digiuno – per ottenere davvero gli scopi che si propone – deve essere riscoperto e vissuto all’interno del grande Mistero del Dio trinitario. Quel Dio che, nella persona del Figlio, si incarna in Gesù di Nazareth, muore e risorge per consentire all’uomo, ad ogni uomo, l’accesso alla pienezza della vita divina e che, con lo Spirito, lo assiste di continuo nel corso della storia collettiva e individuale perché questo obiettivo venga raggiunto.
Come deve essere allora il digiuno di chi crede in Gesù Salvatore e Signore? Anzitutto “gioioso”. «Non ostentatelo!» raccomanda il Maestro, cioè non trasformatelo in uno strumento di superba vanità: “io” digiuno. «Fatelo con umiltà e semplicità nel segreto e intanto profumatevi il capo». L’astensione dal cibo non è uno scudiscio da usare contro un corpo che va maltrattato, una mortificazione fine a se stessa. No, è solo uno strumento utile al corpo stesso, un intervento amorevole che lo alleggerisce e lo libera.
Per questo, non dobbiamo avere paura ad affrontarlo nell’ambiente giusto, perché ci farà solo del bene e ci aiuterà poi a praticarlo correntemente nella nostra vita insegnandoci quella temperanza, quella libertà di fronte al cibo che è frutto di grazia e di equilibrio interiore. Il digiuno, inoltre (è sempre il Vangelo ad insegnarcelo) non è neanche uno strumento isolato che esaurisce in se stesso il suo significato. Esso vale solo se è unito alla preghiera e alla elemosina, cioè se è fatto sotto gli occhi di Dio, accompagnati da un colloquio con Lui che chieda misericordia, invochi aiuto, luce, purificazione. Che si svolga, in una parola, in un clima di amore crescente, dal quale poi sgorgheranno frutti di carità anche verso i fratelli. Diceva Tertulliano: scopo ultimo del digiuno è farci «partecipare alla conoscenza delle cose nascoste», cioè aumentare la nostra intimità con Dio portando all’interno del rapporto con Lui tutto. Mente, cuore, corpo.
Ma che cosa “succede” durante il digiuno? Anche in questo ci soccorre il Maestro, mostrandoci la sua esperienza in quel ritiro nel deserto che precede la sua missione pubblica. Sì, perché quando ci ritiriamo in solitudine e in preghiera, quando poniamo il corpo a digiuno, abbiamo una prima importante conseguenza: quella di “risvegliare i demoni”, di smuovere le nostre difese, i trucchi dietro i quali ci nascondiamo. E il cibo è uno di questi. Anzi, è forse il più importante, perché è quello che ci dà l’illusione di bastare alla nostra vita. Così, il digiuno ci mette a nudo, lasciando spazio ai nostri limiti e alle nostre paure, prima fra tutte quella della morte.
Digiunare ci riporta così spontaneamente alle radici dell’Essere, ci fa fare l’esperienza della nostra non autonomia, ci sospinge verso la riscoperta di Dio, del rapporto amoroso di creature con la radice vera della vita che non è il cibo materiale, ma Dio stesso. Ecco perché ne possiamo uscire davvero convertiti.
Nudi, ma sotto lo sguardo di Dio, accompagnati da Gesù, assistiti dallo Spirito. Così alla fine, come il Maestro, anche per noi “verranno gli Angeli e ci serviranno”.
RICORDA
“Il digiuno è il grido del corpo a Dio, un grido dal profondo, dall’abisso in cui riconosciamo la nostra radicale impotenza, vulnerabilità e incompiutezza, per lasciarci sprofondare nell’abisso di Dio”.
(A. Grun, Digiunare per il corpo e lo spirito, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 78).
BIBLIOGRAFIA
R. Cantalamessa, Il digiuno, ed. Rinnovamento nello Spirito, Roma 2002.
R. Lejeune, Digiunare, Ancora, Milano 1990.
H. M. Shelton, Digiunare per rinnovare la vita, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997.
IL TIMONE – N. 31 – ANNO VI – Marzo 2004 – pag. 56 – 57