Esiste una sola comunicazione perfetta. Quella tra Dio e Dio. La comunicazione tra il Padre e il Figlio è la più perfetta trasmissione della verità. Si tratta di una verità totale e assoluta trasmessa e recepita in modo totale e assoluto. Questa interezza è possibile solo all’interno della natura divina, tuttavia noi veniamo resi in qualche misura compartecipi, tramite lo Spirito Santo, di questa comunicazione. Tale misura dipende dal nostro grado di santità, dalla misura in cui Dio abita in noi.
È un dato di cui tenere conto quando pratichiamo la catechesi o annunciamo le verità che ci sono state consegnate. La verità non può essere disgiunta dal suo contenuto vivo che è la presenza di Cristo che abita in noi. Abbiamo spesso evidenziato la veridicità dei contenuti della fede e l’effettiva possibilità per l’uomo di approcciarsi ad essi e di trasmetterli, ma non può esservi distanza tra la verità trasmessa e quella vissuta. La verità, infatti, non è un insieme di parole anche se elegantemente connesse, ma è una persona, Cristo, che deve abitare in chi annuncia e, come conseguenza, anche dentro l’annuncio stesso. Vi è dunque una sostanza della verità da cui non posso prescindere, se desidero che la mia comunicazione sia non solo coerente ma anche efficace: «Siccome la fonte e l’origine di tutto l’apostolato della Chiesa è Cristo, mandato dal Padre, è evidente che la fecondità dell’apostolato, sia quello dei ministri ordinati, sia quello dei laici, dipende dalla loro unione vitale con Cristo» (CCC 864).
Una comunicazione esercitata al di fuori di questa inabitazione di Dio nell’uomo può creare addirittura l’effetto opposto e non è di fatto gradita da Dio. (In Mc 1,23-26 Gesù ordina ai demoni di tacere anche quando annunciano la verità della sua natura divina).
Il credente autentico comunica sì dei dogmi, ma se non li comunica in Cristo e nel suo amore che s’incarna nella parola trasmessa, non consegna affatto il Verbo, e talvolta ottiene solo un allontanamento da questo. Amore e parola sono intimamente connessi; sono anzi la stessa cosa, perché lo stesso Cristo è amore e parola. Amando annuncio, e annuncio amando: «L’apostolato assume le forme più diverse. Ma la carità… rimane sempre come l’anima di tutto l’apostolato» (CCC 864).
L’amore è sostanza della parola, inscrive nelle parole i suoi segni arcani che conducono, essi soli, il Verbo. Questo avviene per grazia, non per letteratura od oratoria. Le parole di per sé non sono sufficienti a convertire. A convertire è il Verbo, Parola di Dio, che le abita. È Lui che annuncia. Che fa dire alle mie parole molto di più di quello che penso di dire, che fa intendere molto di più che di quello che progettavo, e talvolta molto di più di quello che io stesso intendo. Le parole umane sono solo veicolo della Parola divina, sono solo “portantine” del Re che le abita, e che rende la mia comunicazione immagine della perfetta comunicazione fra le Persone divine. È un annuncio che risuona nel destinatario, risvegliando la sua immagine e la sua appartenenza a Dio. La divinità abita in chi parla e abita in chi ascolta, e si riconosce nell’unico suono che sostanzia la comunicazione e che è Cristo.
Se nella nostra catechesi non si realizza questo effetto diapason fra comunicatore e destinatario, essa lascia il tempo che trova. È solo nell’appartenenza all’amore di Dio che comunicatore e destinatario si scoprono sulla stessa lunghezza d’onda. La connessione tra parola che comunica e amore comunicato è talmente stretta da essere alla radice di ogni trasmissione di verità. «La carità e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di informazione o di comunicazione» (CCC 2489).
IL TIMONE N. 126 – ANNO XV – Settembre/Ottobre 2013 – pag. 61
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