15.12.2024

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La speranza di vincere il disagio
31 Gennaio 2014

La speranza di vincere il disagio

C’è chi si sta organizzando per aiutare chi vuole uscire da un’omosessualità indesiderata. La testimonianza di un medico, cattolica e impegnata con altri a rendere concreta la speranza di trovare l’identità originaria.

Dall’omosessualità si può uscire: ma anche soltanto osare affermarlo – come ipotesi scientifica e come esperienza effettiva – nella nostra società porta al linciaggio morale. Eppure bisogna che qualcuno lo faccia, finalmente: per verità e carità.
Con questo spirito Chiara Atzori, medico infettivologo di Milano, ha curato la prefazione italiana ai testi dello psicoterapeuta americano Nicolosi e oggi collabora con il gruppo Chaire: un’équipe multidisciplinare cattolica che ha appena pubblicato il libro ABC per capire l’omosessualità (San Paolo).

Dottoressa, una delle prime obiezioni che si muovono alla dottrina cattolica sull’omosessualità è che non si può condannare una persona per una tendenza sessuale innata: non è colpa sua se «si è trovato» omosessuale… Che cosa risponderebbe lei?
«La definizione di tendenza sessuale innata riferita all’omosessualità mi pare fuorviante: come ben specificato anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica, la tendenza omosessuale, in sé considerata intrinsecamente disordinata rispetto a un “ordine” diversamente pensato dal Creatore, non è da confondere con il comportamento omosessuale. Lo stesso aggettivo “innata” è stato opportunamente
modificato nella revisione del Catechismo con la specificazione “profondamente radicato”, proprio a sottolineare che non esiste un’essenza immodificabile. Può esistere un orientamento omosessuale che, essendo il risultato soprattutto di esperienze relazionali, anche precocissime, è liberamente modificabile. Per fare un esempio comparabile: io posso essere “tendenzialmente irascibile” a causa delle mie soggettive esperienze relazionali, educative, caratteriali, ambientali; però posso lavorarci sopra per non abbandonarmi all’ira sulla base della facile giustificazione “sono fatta così”. In questo senso mi pare che il richiamo della dottrina cattolica, piuttosto che in chiave di colpevolizzazione, possa essere letto in modo positivo, per sollecitare la persona con orientamento omosessuale indesiderato ad alzare lo sguardo verso un maggior bene, mobilitando le sue risorse di libertà e volontà».

L’opinione pubblica sembra andare verso l’accettazione del rapporto gay come una condizione «normale», alla pari dell’eterosessualità. Lei invece ritiene che l’omofilia non è una variante tra le altre del comportamento sessuale. Su quali basi?
«Le mie convinzioni sull’impossibilità di equiparare l’eterosessualità all’orientamento omosessuale è motivata – oltre che dalle evidenze pubblicate nella letteratura medica e psicologica (ad esempio Nicolosi o van den Aardweg) – dall’incontro con persone reali, impropriamente e semplicisticamente definite come “ex gay”. Un incontro assai fecondo, non con personalità castrate o “sublimate”, che hanno subìto un lavaggio del cervello o che mostrano una modifica “cosmetica” del loro comportamento (come malignamente alcuni attivisti gay propagandano), ma persone serene e finalmente libere da condizionamenti, che dopo avere sperimentato – alcune in modo estremo – lo stile di vita “gay” hanno liberamente percorso l’itinerario del ri-orientamento che le ha portate a un’eterosessualità appagante ed armoniosa. Queste persone mi hanno aperto uno scenario davvero inedito, positivo, maturo. D’altro canto, la letteratura oggi non lascia dubbi: esiste un’ideologia di genere portata avanti da agenzie internazionali con mezzi massmediatici potenti, che mira a destabilizzare il concetto di identità sessuale maschile e femminile. L’oggettività dell’esistenza di un sesso maschile e femminile è propagandata come il risultato di condizionamenti culturali da smantellare per “autodeterminarsi”. Questa ideologia diffonde una vulgata schizofrenicamente sganciata da criteri di realtà genetici, biologici, psicologici, sociologici evidenti a chiunque non sia ottenebrato da intenti ideologici. Nonostante i reiterati ragionevoli richiami della Chiesa, un assordante o forse imbarazzato silenzio della cultura “laica” e cattolica su questi importanti temi ha lasciato buon gioco a quanti hanno occupato spazi massmediatici per anni e oggi ci propinano improbabili fictions con versioni edulcorate di un’inesistente realtà “pansessuale”. Sia ben chiaro che in questo senso anche la promiscuità eterosessuale – intesa come esperienza autocentrata, libero gioco “usa e getta” della corporeità altrui – appartiene a quest’ambito di perversioni che generano tanta infelicità e solitudine».

Nessuno vuole sentirlo dire, eppure c’è chi sostiene che dall’omosessualità si può «uscire», anche perché in molti casi si tratta di una condizione indesiderata che provoca disagio.
«Modificherei la prospettiva: forse, più che nessuno vuole sentirlo dire, alcuni hanno paura di sentirlo dire e quindi mettono in atto meccanismi intimidatori per evitare la libera circolazione della notizia che da una omosessualità indesiderata si può uscire. I motivi? Perché viene messa in discussione innanzi tutto la loro vita personale, o il potere che certi gruppi di attivisti hanno guadagnato attraverso il tesseramento degli iscritti che si associano per poter entrare nei locali o nei circuiti gay. Non dovrebbe far paura, a un gay veramente contento di esserlo, far sapere che esiste la realtà di quelli che, scontenti della loro pulsione omosessuale, liberamente e con successo percorrono strade diverse raggiungendo un’eterosessualità appagante».

Ma sostenere che esiste una «terapia riparativa» non equivale ad ammettere che l’omosessualità è una malattia?
«Lo stralcio dell’omosessualità dal manuale dei disturbi mentali è avvenuto nel 1973 a fronte della pressione di gruppi che s’opponevano a indebite discriminazioni in ambito sociale. Proprio nei gruppi di auto-aiuto il concetto di omosessualità come patologia
viene ridimensionato: la pulsione omosessuale è considerata come una delle possibili ferite o un adattamento “riparativo”, tendenzialmente inefficace, messo in atto di fronte a un “vuoto” verificatosi, per vari motivi, rispetto all’indispensabile necessità di essere in contatto con la propria identità profonda. La pulsione omosessuale viene quindi vista, al massimo, come un sintomo (appunto, riparativo)
messo in atto per ovviare a quello che viene chiamato “distacco difensivo” nei confronti della propria vera identità sessuata, donata dal Creatore. Staccato dalla vera identità, il soggetto senza saperlo cerca di “ripararsi” attraverso la ricerca di se stesso nella relazione con il partner dello stesso sesso: la persona è attratta da “ciò che (ancora) egli non è”. L’impossibilità di “ritrovare se stessi” con qualcuno che ha lo stesso problema genera però un disagio, la cosiddetta “distonia”. Mi sembra una tesi molto ragionevole e molto liberante, perché la persona può, se vuole, uscire da tale situazione. Con buona pace di chi ci sta bene dentro e quindi può liberamente continuare a farlo; senza però impedire agli altri percorsi alternativi».
Oggi assistiamo a un’esplosione del fenomeno omosessuale: come mai? Motivi culturali o sociali, la debolezza della figura maschile, la potenza della lobby gay…
«Non parlerei di esplosione, quanto di rumorosità. Il fenomeno omosessuale oggi è soprattutto una rumorosa bagarre mediatica da apparente sdoganamento, portata avanti da pochi elementi che si autocelebrano e cercano di imporre un modello comportamentale “normalizzato” attraverso Tv, cinema, spettacolo. Per l’indebolimento dell’identità sessuata maschile e femminile che si è generata dalla diffusione del modello “unisex” post-sessantottino, per la particolare fragilità maschile in un’epoca di femminilizzazione aggressiva, di assenza di figure paterne autorevoli e amorevoli (il “mammo” non esiste che nella fantasia di alcuni, mentre i veri padri che ti dicono “chi sei” sono sempre meno), questa aggressività mass-mediatica studiata a tavolino sulla base dell’audience fa più facilmente presa, soprattutto sulle personalità in formazione, sui giovani e in generale sui tanti alle prese con modelli di riferimento enitoriali o famigliari squilibrati. Non dimentichiamo che gli studi autorevoli dichiarano come al massimo il 3% della popolazione (e on il 10% come millantato dall’entomologo Kinsey) presenta un orientamento omosessuale.


RICORDA
«Ad una teoria si può rispondere con un’altra teoria; ma chi può confutare una vita?».
(Evagrio Pontico, monaco del IV secolo).
«Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto».
(Paul Bourget, Il demone meridiano).

Dossier: «Maschio e femmina li creò…». L’identità minacciata

IL TIMONE – N.50 – ANNO VIII – Febbraio 2006 – pag. 42-43
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