La ragione è importante, ma non basta. Ci vuole il cuore per "vedere"Dio come amore che cerca l'uomo e lo attende per entrare in contatto con lui. A patto che sia "puro"
Siamo giunti quasi al vertice di quella che abbiamo chiamata la "scala" delle Beatitudini: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio».
Alla lettura di queste parole, viene spontanea una prima osservazione: dunque, il "vedere" Dio, cioè intuirne e viverne la presenza – in una parola, aver fede – non è mai il frutto di un percorso solo razionale. Ci sembra infatti che sia Gesù stesso a dirlo con chiarezza quando afferma, come abbiamo appena visto, che il cuore è seriamente implicato in questo processo di visione, anzi che è proprio dalla qualità di esso, cioè dal suo grado di purezza, che tutto alla fine dipende.
Non è facile capire questo processo. Credo che possa darci una grossa mano Pascal, il grande scienziato filosofo, come sappiamo un convertito, e alcune sue frasi brevi ma acutissime a proposito della fede. Ecco la prima: "C'è abbastanza luce per chi vuoi vedere ma anche abbastanza tenebre per chi non vuoi vedere»; e la seconda: "Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce».
Come si vede, esse sembrano proprio cadere a puntino. Ciò che sembra possibile arguire da ciò che egli dice è infatti che nel percorso per giungere alla fede la ragione ha certamente le sue ragioni. Ragioni importanti, alle quali è necessario rispondere. L'uomo è un essere ragionevole e, dunque, deve usare fino alle estreme possibilità questo dono che Dio gli ha dato.
Così dovrà esplorare tutte le possibili prove che lo aiutino a capire se Dio esiste davvero. Se costui poi è un cristiano, cioè un seguace di Gesù Cristo, dovrà proprio per questo andare a fondo e verificare se ciò che si è detto di quest'uomo-Dio è degno di fede. Infine, se la Chiesa, che dice di essere il suo corpo mistico, è a sua volta credibile. Verifiche tutte che, se ben compiute, certamente permetteranno di compiere passi assai importanti sulla via che porta alla fede.
Eppure, è Gesù stesso a dirlo, questa non giungerà alla sua pienezza, cioè a "vedere" Dio, se non vi verranno implicate in qualche modo, come ci spiega bene Pascal, anche le ragioni del cuore. Le quali, a loro volta, come la Beatitudine che stiamo esaminando ci insegnano, non riusciranno a farsi strada se tale cuore non avrà raggiunto almeno un certo grado di "purezza".
A questo punto, dunque, sembra possibile capire due cose. Anzitutto che la fede è un gesto che attiene a quella libertà umana della quale Dio stesso nel crearci ha voluto dotarci. E questo perché egli non vuole essere per noi una evidenza costringente, ma una scelta volontaria. Se non esistono evidenze che obblighino la ragione, esistono però numerosi indizi sparsi ovunque che essa può raccogliere ed esaminare. Segni, tracce, che tuttavia possono essere letti come indizi di luce che illuminano il percorso verso la fede, oppure come indizi di tenebre che rendono tale percorso più oscuro e difficile. Ed è proprio a questo punto, cioè nella possibile e diversa lettura e interpretazione degli indizi, che il "cuore puro" sembra essere l'elemento determinante che fa la differenza.
E in secondo luogo che tale fede, se implica così profondamente il cuore, non può certo limitarsi ad essere soltanto la convinzione razionale che Dio esiste e nemmeno quella che Gesù sia davvero una figura storica importante. E che dunque essa diventa tale solo quando da concetto della mente diventa incontro, si fa rapporto vivo e palpitante. Quando cioè il cuore, appunto, in qualche modo percepisce, "vede" finalmente questo Dio come quell'Amore che cerca l'uomo, che lo attende in ogni istante desiderando ardentemente di entrare in contatto con lui. Quando è in grado di intendere, e a questo punto di penetrare, le famose parole dell'Apocalisse (3,20): «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me».
Ecco perché allora giungere alla fede significa anche e allo stesso tempo "convertirsi", cioè cambiare rotta, modificare la prospettiva. Significa capire ciò che Gesù spiegò a Nicodemo quella sera in cui andò a casa sua. Credere davvero significa comprendere che occorre "rinascere dall'alto". Che la Luce è venuta nel mondo, ma che è necessario riconoscerla. E che per fare questo non basta "sapere" con la ragione, ma occorre "aderire" con il cuore. Sarà infatti appunto questa adesione amorosa che consentirà di scorgere gli indizi di luce e così di "vedere". Mentre viceversa il cuore che resta tenacemente "impuro" continuerà a concentrarsi su quell'ombra, su quelle tenebre che lo manterranno inevitabilmente in uno stato di cecità.
Resta però ancora un altro interrogativo a cui rispondere. Resta infatti da spiegare che cosa può davvero smuovere il cuore fino a renderlo in qualche modo permeabile, capace di accogliere quella luce di cui parlavamo.
In realtà, una cosa sola sembra davvero fondamentale e necessaria perché il processo almeno si metta in moto e le cose comincino a cambiare. E cioè l'umile e semplice riconoscimento di aver bisogno di Dio. Bisogno del suo aiuto certo, ma ancor prima del suo Amore come compimento vero alla nostra esistenza, come risposta alla nostra sete di assoluto e di eternità. Un bisogno che invece spesso noi soffochiamo nel nostro intimo convinti, dalle conseguenze di quel peccato originale sempre all'opera, che la sua presenza limiti la nostra libertà, che avere fede significhi vivere una vita costretta in leggi e prescrizioni soffocanti. Mentre, lo sappiamo, è vero invece esattamente il contrario. Così, ciò che ci farà fare i passi decisivi verso tale riconoscimento sarà spesso il sopraggiungere del dolore. Sarà il trovarci finalmente, viene da dire, con le spalle al muro. Sarà l'aver percorso i sentieri delle illusioni che cadono una ad una. Sarà l'aver capito davvero la realtà della vita, di per sé sempre difficile, faticosa, spesso assai insoddisfacente. Sarà il comprendere che tutto ciò non trova in se stesso un senso compiuto, che c'è bisogno di altro, come il cuore, se ascoltato, suggerisce. Victor Hugo al proposito diceva che: «Spesso per vedere Dio occorre la lente delle lacrime».
È allora, infatti, che si comincia a intuire il significato di parole come peccato, perdono, redenzione, croce e risurrezione. È la luce che entra, che si fa strada in mezzo alla sofferenza. È, in poche parole, quest'umile riconoscimento dei nostri limiti e del nostro bisogno di infinito che finalmente ci permette di "vedere" tutto con occhi nuovi. E allora è gioia, è beatitudine, proprio come il Vangelo afferma. •
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“La santa purezza la concede Dio, quando la si chiede con umiltà”. (San Josemaria Escriva de Balaguer, Cammino, n. 118).