La vera pace, quella di cui parla Gesù, è frutto dell’amore di Dio. Solo così, il cristiano può giungere alle vette esigenti richieste dal Vangelo, come quella di amare i nemici
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». Nel cammino che percorre le tappe delle varie beatitudini siamo giunti quasi in vista della fine.
Solo Matteo riporta questa Beatitudine. Luca non ne parla. Tuttavia, alle sue quattro, fa seguire un lungo discorso sull'amore per i nemici che è, in pratica, ciò che sono chiamati a fare proprio gli "operatori di pace". Il tutto, lo vedremo, con una dovizia di particolari che costituisce una autentica guida per comprendere meglio anche l'asciutta dizione di Matteo.
Ma procediamo per gradi, partendo anzitutto da una osservazione che ci aiuti ad entrare nel tema. Ed è questa: forse in nessun'altra epoca storica, come in quella attuale, consci dei pericoli legati ad armi sempre più sofisticate e distruttive, segnati dall'esperienza di ben due conflitti mondiali, si è cercata la pace. La si è inseguita, sforzandosi di trovare il mondo di superare i nazionalismi, facendoli convergere in una sede nella quale essi potessero confrontarsi e temperarsi con quelli della comunità mondiale nel suo insieme. È la storia, prima della Comunità delle Nazioni, e poi dell'attuale ONU. Eppure, se si è onesti, e se si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà, si vede che ben pochi sono stati i risultati raggiunti. Gli interessi permangono accesi, gli scontri sono continui perché coinvolgono le inevitabili differenze culturali, economiche, sociali, quando non ideologiche. Quando, poi, quelle che vengono chiamate "forze di pace" intervengono direttamente, spesso fanno "più danno che utile", come si dice, perché i conflitti si incancreniscono senza risolversi. Tanto che qualche volta ci si domanda se non sarebbe meglio lasciare che essi facciano il loro corso "naturale".
Insomma, una dimostrazione palese che la pace, su questa terra, è un obiettivo certamente da perseguire ma non realisticamente raggiungibile, come invece pensa un certo pacifismo. E che forse ha ragione chi pensa che il miglior deterrente ai conflitti resta pur sempre quello di far capire agli altri che sei in grado di difenderti o anche di attaccare a tua volta. Pacifismo, dicevamo. Una delle tante ideologie che proliferano in questo nostro mondo post-moderno. Come in tutte le ideologie, c'è un'idea giusta alla base, un desiderio corretto: ciascuno di noi aspira alla pace, ne ha bisogno per vivere bene, sente che è una necessità profonda del suo essere. Ciò che c'è di sbagliato è che l'idea giusta viene irrigidita in uno schema lontano dalla verità sul mondo e sull'uomo. È il non capire bene quali siano le radici profonde di questa pace e dunque quale sia la via per raggiungerla davvero. È il non mettere a fuoco che la pace esterna è il frutto di quella interiore e che quest'ultima non è un concetto da proporre sotto forma di facili slogan ma una conquista difficile, da raggiungere passo dopo passo. Un punto d'arrivo che corrisponde ad una progressiva e profonda conversione interiore. Proprio come enuncia Matteo e come ci conduce a capire Luca.
Rileggiamolo, perché è una guida perfetta: "Ma a voi che ascoltate io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote la guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato» (Lc 6, 27-38).
Dunque la pace è chiaramente il frutto dell'amore, di un amore grande che sa andare al di là di ogni limite. Non ci sono scappatoie di sorta. Dell'amore vero, quello di cui ci ha dato 'esempio Gesù Cristo. Un amore capace di vincere il male con il bene, che giunge fino ad amare i nemici. Un amore che è capace di insinuarsi nelle fessure della vita quotidiana, che non ha alti e bassi, che sa diventare una costante. Un atteggiamento di fondo che si instaura nel cuore e che lo fa diventare "mite e umile" e dunque capace di non irritarsi, di non vendicarsi, che sa perdonare, essere generoso e così via. Un amore che prima ancora di desiderare di essere accettato e amato pensa ad accettare e ad amare e che dunque fa spazio ad ognuno, a priori, senza aspettarsi nulla.
Utopia? Debolezza? Ingenuità? No, tutto il contrario. È invece saper guardare bene in faccia la realtà umana e capirne tutti i limiti e le contraddizioni che solo una accettazione amorosa può aiutare a sopportare. È capire che la forza vera è proprio quella che apre il cuore e non quella che lo chiude a riccio. È capire che dare fiducia a Dio non è affatto una ingenuità, ma è sapienza. È capire che lui e solo lui è la fonte da cui trarre quell'amore assoluto, fedele, perfetto di cui il nostro essere ha bisogno. E che, colmati da questo amore, possiamo poi andare incontro agli altri e ai loro limiti con serenità, cercando di superare gli ostacoli, di smussare i contrasti, di aprirei con generosità, di accettare quella parte di negativo che ogni rapporto umano porta inevitabilmente con sé.
A questo punto credo che sia anche più facile capire che la pace non è un'assenza: di guerra, di scontri, di conflitti privati o pubblici. No, essa è qualcosa di più: è, al contrario, presenza, presenza del Padre. Ed è quel suo dimorare in noi e tra noi che ci procura la gioia di sentirei, come dice appunto la Beatitudine, suoi figli.
"Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come ve la dà il mondo, io la do a voi" (Gv 14, 27). Quel mondo che spesso irride a tutto ciò, perché non sa, e dunque non capisce. Ma anche noi credenti, molto spesso non capiamo. Ci fa paura questo amore così esigente che il Vangelo ci propone. Non ci fidiamo e resistiamo, talvolta anche un'intera vita. Così, spesso, è la sofferenza che ci smuove, è l'aver seguito vie contrarie, fatte di rancore, di vendetta, di malanimo, di grettezza, e averne viste le conseguenze negative, che alla fine ci convince a cedere. E che a quel punto ci fa aprire il cuore a quell'amore divino che ci riscalda, che sa trasformarci, che risponde ai nostri bisogni più profondi e che ci aiuta ad aprirei a nostra volta agli altri con tenerezza e comprensione.
E a quel punto, la pace che avremo nel cuore inevitabilmente traboccherà, espandendosi all'esterno. Nei nostri rapporti privati, anzitutto, ma anche oltre, secondo quel detto di un Padre del deserto che mi ha sempre molto colpita e che recita così: "Trova la pace e moltitudini ti seguiranno". •
Ricorda
«È proprio l'abbandono la condizione di cui hai bisogno per non perdere d'ora innanzi la tua pace", (San Josemaria Escriva, Cammino, 767).
Il Timone – Novembre 2014