Lo fanno passare come colui che avrebbe distrutto la visione cristiana del mondo e dell’uomo. In nome della scienza. Invece, è stato una delle glorie della Chiesa. Figlio di quell’Europa cristiana e delle sue università. Fondate dalla Chiesa
L’idea della rivoluzione copernicana professata dal grande pubblico è, sinteticamente, questa: l’eliocentrismo proposto da Niccolò Copernico avrebbe in qualche modo scardinato la struttura del mondo così come la intendeva la Bibbia e, allontanando l’uomo dal centro geografico dell’universo, lo avrebbe detronizzato, negando così implicitamente la sua origine divina.
Copernico avrebbe quindi messo in crisi la fede in un Dio trascendente, Creatore e Provvidente, proprio dell’Europa cristiana, allargando l’universo all’infinito e sminuendo contemporaneamente, all’infinito, l’uomo. Così scriveva recentemente Umberto Veronesi in Scienza e futuro dell’uomo (ed. Passigli): con Copernico la «posizione» dell’uomo «che diremmo quasi divina in quanto creatura di Dio, viene a crollare per tornare ad essere parte di un processo evolutivo che include animali, piante e tutti gli esseri viventi.
L’uomo è così ridimensionato, e da lì nasce il pensiero scientifico moderno ».
Smontiamo i luoghi comuni
Questa interpretazione della rivoluzione copernicana, presente anche in manuali e libri di autori cattolici, è assolutamente antistorica e fasulla. Non troviamo nessun riscontro al riguardo né leggendo l’ecclesiastico Copernico, né il cattolico Galilei, né i devotissimi Keplero e Pascal, per non citare che alcuni dei primi e più celebri “copernicani”. «Va detto con chiarezza – scrive lo storico della scienza Paolo Musso – che la fine del geocentrismo non significò affatto, come oggi si cerca insistentemente di far credere, anche la fine dell’antropocentrismo, inteso nel senso di una radicale svalutazione dell’uomo e della sua importanza nel disegno complessivo del cosmo». Per un cristiano, infatti, all’epoca di Copernico, prima e dopo di lui, infatti, «il valore dell’uomo non può dipendere dalla sua collocazione geografica, né da alcun altro fatto materiale, ma solo dal suo rapporto con l’infinito».
Tanto più che Copernico non incominciò ad archiviare, secondo un processo che sarebbe durato a lungo, una cosmologia cristiana, bensì la cosmologia aristotelico-tolemaica, cioè precristiana, che l’Europa cattolica aveva ereditato, con varie modifiche. Secondo questa cosmologia, la centralità fisica del pianeta Terra non era sinonimo di preminenza, di superiorità, in quanto, al contrario, tutti i pianeti erano considerati superiori alla Terra (e, rispetto ad essa, lisci, perfetti e cristallini). Una delle paure di Copernico – scrive la sua biografa Dava Sobel, ne Il segreto di Copernico – era che «gli astronomi suoi colleghi [legati al sistema aristotelico- tolemaico, ndr] avrebbero osservato che la Terra stava bene al centro di tutto non perché la dimora del genere umano meritasse un posto d’onore, ma al contrario, perché al centro finiva col cadere e giacere ogni cosa materiale e perché crollo, cambiamento e morte erano il destino degli abitanti della Terra. In breve, la Terra era al centro perché era non il culmine ma il fondo del creato, e non si doveva osare mettere il Sole, che molti chiamavano il lume celeste, nel buco infernale posto al centro del cosmo». La perdita di una centralità fisica della Terra non significò dunque per Copernico, nel modo più assoluto, una perdita della vera centralità dell’uomo, legata piuttosto alla sua natura spirituale, alle sue peculiarità eccezionali ed uniche (pensiero, libertà, ragione, amore…), e non certo alla sua posizione geografica.
Cenni biografici
Ma chi era Copernico, l’uomo che per primo propose con forza un sistema complesso basato sull’idea eliocentrica (seppure non dimostrata), e che allargò l’universo, pur considerandolo finito, e descrivendolo come «la macchina del mondo, che è stato creato per noi dal migliore e più perfetto Artefice»?
Il Koestler lo definisce un «chierico conservatore e timido», cioè tutt’altro che un rivoluzionario, mentre lo storico Ulianich, in un colloquio con Francesco d’Arcais, Margherita Hack e Francesco Barone, con lui concordanti, ricorda che Copernico fu un ecclesiastico appartenente a «quella Congregazione riformata dei Canonici Agostiniani che era una emanazione dei fratelli della vita comune, della devotio moderna», e che suo intento era ricercare nella natura traccia della grandezza del Dio Artefice di ogni cosa.
Nato nel 1473 a Torùn, odierna Polonia, Copernico rimane presto orfano di padre. A prendersi cura di lui e dei suoi fratelli è lo zio materno, Lukasz Watzenrode, ecclesiastico che diverrà vescovo di Warnia. Nel 1497, dopo aver intrapreso gli studi presso l’Università di Cracovia, per poi studiare diritto canonico a Bologna, diventa canonico di Frombork. Nel 1500 lo troviamo impiegato alla Cancelleria pontificia di Roma. Incomincia gli studi di medicina a Padova, conclude quelli di diritto a Ferrara, mentre collabora con lo zio vescovo, divenendo il suo fisico privato. È in questo periodo, siamo nel 1507, che lavora al primo abbozzo della teoria eliocentrica. Nel 1512 diventa cancelliere del capitolo dei canonici del duomo di Frombork, mentre nel 1513 su richiesta del Concilio Laterano e di Paolo di Middelburg, matematico e astronomo, suo estimatore e vescovo di Fossombrone, compila una proposta di riforma del calendario che invia a Roma. Il calendario in questione, ancora in embrione, è quello gregoriano, così detto perché promosso dal papa Gregorio XII con l’aiuto di grandi scienziati ecclesiastici come Clavius e Danti. Calendario, ricorda Paolo Musso, che costituisce «il primo davvero preciso che l’umanità abbia avuto in tutta la sua storia, tant’è vero che lo usiamo ancor oggi in piena era spaziale, anche se con qualche leggera modifica». Nel 1523 Copernico viene nominato amministratore generale per la sede arcivescovile della Warnia; nel 1537 il suo nome è tra la rosa dei quattro candidati al titolo di vescovo di Warnia. Intanto, mentre continua a esercitare varie funzioni ecclesiastiche e la sua attività medica, curando i malati spesso senza parcella (secondo il suo primo biografo, il sacerdote e astronomo Pierre Gassendi, 1654), nel 1543 fa pubblicare a Norimberga, dal suo discepolo Reticus, il suo De revolutionibus orbium coelestium. Muore lo stesso anno a Fromberk e viene sepolto nella cattedrale della città, vicino all’altare di san Venceslao, che gli era stato assegnato come canonico, a riprova, se ce ne fosse stato bisogno, di quale fosse stata la sua fede e di quale fosse la considerazione in cui era tenuto dalla Chiesa.
Il De revolutionibus orbium coelestium
Ma perché Copernico pubblicò così tardi il suo volume? Spesso la risposta è tranchant: per il timore di persecuzioni e di attacchi. Certamente quel timore ci fu, non tanto di persecuzioni, invero, quanto di incomprensioni. È lo stesso Copernico a scrivere che non mancherà chi, vedendo così contraddetto il comune sentire e la cosmologia di Aristotele e Tolomeo, si prenderà gioco delle sue opinioni. Ma non c’è solo questo. In verità Copernico, da una parte aveva già numerosi ammiratori (per esempio Johann A. Widmannstetter, segretario di papa Clemente VII, aveva già illustrato la sua dottrina al papa, ottenendo plauso e successo, dieci anni prima), dall’altra era consapevole di come le sue osservazioni fossero lacunose e non decisive.
La dimostrazione della correttezza della teoria eliocentrica sarebbe arrivata, infatti, non con Copernico e neppure con il grande Galileo, ma solo nel 1851, per opera di Jean Bernard Léon Foucault, attraverso l’esperimento del Pendolo di Foucault.
Lo scritto di Copernico vide la luce dopo pensamenti e ripensamenti, e venne dedicato al papa Paolo III. Inoltre, possiamo ben dire che non avrebbe mai visto la luce se non fosse stato per le pressioni di un cristiano protestante come Reticus e di alcuni eminenti ecclesiastici: in primo luogo il canonico Tiedemann Giese (1480-1550), che divenne poi vescovo di Kulm, che era forse il suo più intimo amico e a cui Copernico aveva rivelato, forse per primo, le «sue segrete conoscenze astronomiche» (il Giese fu anche autore, come altri ecclesiastici dopo di lui, di un trattato sulla compatibilità tra il sistema eliocentrico e la Bibbia); e poi del cardinal Nikolaus von Schönberg (1472-1537), arcivescovo di Capua e uomo di fiducia di ben tre papi, compreso quello allora regnante, il quale, il 1 novembre 1536, gli scrisse per invitarlo formalmente a dare alle stampe il libro di cui aveva sentito parlare tanto bene dal già citato Widmannstetter (la lettera di von Schönberg fu posta proprio in apertura del De revolutionibus). Nei primi anni dopo la pubblicazione dell’opera, l’ipotesi di Copernico subì, come è ovvio, degli attacchi, quasi esclusivamente da parte degli aristotelici, di svariati colleghi, di Melantone e di Lutero. Nulla però di veramente significativo.
Nel 1616, durante il caso Galilei, una commissione di teologi della Sacra Congregazione condannò alcune tesi del De revolutionibus, ordinando non la distruzione del libro, ma che venisse interdetto «fino a quando non fosse stato corretto». In particolare le correzioni, che stavano in una pagina, implicavano la soppressione del capitolo VIII del I libro (consistente nella confutazione del geocentrismo degli antichi). I teologi sbagliarono (avendo come scusante, per il vero, il fatto che la tesi di Copernico non fosse dimostrata), ritenendo non già che la posizione copernicana della Terra nell’Universo ne sminuisse l’importanza, ma semplicemente che alcuni passi figurati della Bibbia fossero da interpretare letteralmente.
Ciò non toglie, però, che Copernico sia stato una delle glorie della Chiesa: figlio, non a caso, dell’Europa cristiana e delle sue università; figlio della Chiesa, da cui fu educato e in cui visse sempre; mosso, nelle sue stesse ipotesi cosmologiche, dalla fede greca e cristiana nell’ordinamento razionale del mondo, recante in sé, con la sua «meravigliosa simmetria», i segni dell’armonia e della bellezza del suo Artefice.
Per saperne di più…
Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium.
Paolo Musso, La scienza e l’idea di ragione, Mimesis, 2011.
Luigi Pepe [a cura di], Copernico e lo studio di Ferrara, Clueb, 2003.
AA.VV., La conoscenza dell’universo, in «Civiltà delle macchine», anno XXI (1973), n.1-2.
Dava Sobel, Il segreto di Copernico, Rizzoli, 2012.
William Shea, Copernico, Ed. Le Scienze, 2001.
IL TIMONE N. 121 – ANNO XV – Marzo 2013 – pag. 22 – 24
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