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12.12.2024

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La voce del Magistero. «Perseguiteranno anche voi»
2 Dicembre 2014

La voce del Magistero. «Perseguiteranno anche voi»

«Perseguiteranno anche voi»
Quanti sono, chi li perseguita e perché? Tante domande e alcune risposte sulla persecuzione religiosa dei cristiani nel mondo
Un cristiano ucciso ogni cinque minuti, 105mila all’anno. Sarà vero, si chiederà stupito il lettore, quello che ha scritto il principale centro mondiale di statistica religiosa, l’americano Center for Study of Global Christianity, diretto da David B. Barrett, che pubblica periodicamente la notissima World Christian Encyclopedia e l’Atlas of Global Christianity? La cifra ha fatto il giro del mondo, ripresa dal sociologo delle religioni Massimo Introvigne quando era rappresentante dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
Era il 2011 e da allora le condizioni sono peggiorate. In questi giorni esce la traduzione italiana di un testo di oltre 600 pagine pubblicato in Francia e intitolato Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo. Secondo questa indagine, durata due anni, fra i cento e i centocinquanta milioni di cristiani sono perseguitati a causa della loro fede e il numero arriva a duecento se si tratta di discriminazione.

La persecuzione che accompagna la storia
Perché? Nei primi tre secoli della storia del cristianesimo, quest’ultimo venne percepito come una minaccia dal mondo ebraico e così abbiamo avuto la Morte del Signore, il primo martire della Chiesa Stefano e la persecuzione nei confronti degli Apostoli.
Presto cominciarono anche le persecuzioni dell’impero romano, saltuarie ma ferocissime in alcune circostanze, in particolare l’ultima, la “Grande persecuzione” dell’imperatore Diocleziano, all’inizio del IV secolo.
Poi, dopo la prima evangelizzazione dell’Europa e la nascita della cristianità, le persecuzioni rimasero confinate in quei Paesi dove arrivavano i missionari. Ritornarono, violente, nella modernità, dapprima durante le guerre di religione nel XVI e nel XVII secolo, poi a causa delle ideologie che volevano spingere il cristianesimo ai margini della vita pubblica, dopo la Rivoluzione del 1789. Infine, il nazionalsocialismo e il comunismo nel ’900, quando quest’ultimo ridusse la Chiesa al silenzio e ritornarono numerosi i martiri. Tutti abbiamo visto papa Francesco piangere in Albania mentre ascoltava la testimonianza di due religiosi sopravvissuti alla persecuzione dei gulag comunisti: «Sentire parlare un martire del proprio martirio, è forte! Credo che tutti noi che eravamo lì, eravamo commossi: tutti. E quei testimoni parlavano come se parlassero di un altro, con una naturalezza, un’umiltà. A me ha fatto bene, questo!», così ha detto sull’aereo, durante la conferenza stampa mentre ritornava a Roma, sempre il 21 settembre.

La persecuzione del Califfato
Poi, pochi mesi fa è esplosa la crisi dell’Isis in Siria e in Iraq, dove il cosiddetto Califfato ha cominciato a espellere o assassinare i cristiani del posto, in nome di una pulizia religiosa, che ha colpito tutte le comunità non musulmane.
Il Papa e il Segretario di Stato della Santa Sede card. Pietro Parolin hanno risposto con prudenza e precisione, indicendo fra l’altro un Concistoro sul Medio Oriente, dove hanno condannato questa violenza incredibile nel nome di una religione. In questo Concistoro il Pontefice ha detto: «Non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti.
Assistiamo ad un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili. Tanti nostri fratelli sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale. Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana, sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti» (20 ottobre 2014, Concistoro ordinario pubblico sul Medio Oriente).
Già aveva anticipato a Sua Santità Mar Dinkha IV, Patriarca della Chiesa assira d’Oriente, una delle più antiche della cristianità, che stiamo condividendo la sofferenza «per le guerre che stanno attraversando diverse regioni del Medio Oriente e in particolare per le violenze che stanno colpendo i cristiani e gli appartenenti ad altre minoranze religiose, specialmente in Iraq e in Siria».

Perché la persecuzione?
Ma perché i cattolici sono spesso perseguitati? Perché la persecuzione, come dice Gesù ai suoi discepoli, li accompagnerà come ha accompagnato la Sua vita? C’è qualcosa che sfugge alla ragione umana.
Il cristianesimo è una religione che si fonda sull’amore per Dio e per il prossimo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,37-40).
Eppure, i cristiani incontrano la persecuzione con frequenza nel corso della storia. Indubbiamente vi sono molti pagani, o
laici nell’epoca delle ideologie, che li guardano con simpatia, che non soltanto non li hanno perseguitati ma hanno anche accolto i loro servizi, eppure spesso, inspiegabilmente secondo la ragione umana, scatta la persecuzione contro i cristiani. È il mistero d’iniquità che opera nella storia e si manifesta in modi diversi nelle diverse epoche. Oggi, nell’epoca post-moderna, il relativismo che contraddistingue l’Occidente secolarizzato odia la pretesa di verità insita nella proposta cristiana. Al contrario, i fondamentalismi (che sono l’errore contrario del relativismo ma non la medicina) non sopportano le differenze e tendono a farle sparire. Il risultato è comunque la persecuzione, amministrativa o culturale in un caso, violenta nel secondo.

Identità, dialogo e rifiuto del relativismo
Che cosa fare dunque? I cristiani non se ne possono andare, non soltanto dal Medio Oriente, ma nemmeno dalla vita pubblica, come vorrebbero i governi laicisti.
Papa Francesco, in Albania, il 21 settembre, ha fornito a grandi linee alcune indicazioni su cui riflettere: «Come affermò san Giovanni Paolo II nella sua storica visita in Albania del 1993 “la libertà religiosa […] non è solo un prezioso dono del Signore per quanti hanno la grazia della fede: è un dono per tutti, perché è garanzia basilare di ogni altra espressione di libertà […]. Niente come la fede ci ricorda che, se abbiamo un unico creatore, siamo anche tutti fratelli! La libertà religiosa è un baluardo contro tutti i totalitarismi e un contributo decisivo all’umana fraternità” » (Messaggio alla nazione albanese, 25 aprile  1993).
In sostanza, la dottrina sociale della Chiesa riconosce il diritto naturale di ogni persona, a prescindere dall’appartenenza religiosa, di esercitare liberamente il diritto di scegliere la religione da professare pubblicamente, fermo restando il dovere di coscienza di ogni persona di cercare la verità. Quindi, difende un diritto universale della persona, creatura di Dio che così l’ha voluta. Per questo, sempre san Giovanni Paolo II ricordava che «la vera libertà religiosa rifugge dalle tentazioni dell’intolleranza e del settarismo, e promuove atteggiamenti di rispettoso e costruttivo dialogo » (ibid.).

Quindi il Pontefice suggerisce altre osservazioni:
1. La verità si diffonde mostrandone la bellezza e la verità: «[…] Vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle. Chi è sicuro delle proprie convinzioni non ha bisogno di imporsi, di esercitare pressioni sull’altro: sa che la verità ha una propria forza di irradiazione».
2. La propria identità deve esprimersi nelle opere, in particolare nel servizio al bene delle comunità: «Un secondo atteggiamento è l’impegno in favore del bene comune. Ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo
della libertà religiosa».
3. Il relativismo impedisce il dialogo: «E poi, vorrei accennare ad una cosa che è sempre un fantasma: il relativismo, “tutto è relativo”. Al riguardo, dobbiamo tenere presente un principio chiaro: non si può dialogare se non si parte dalla propria identità. Senza identità non può esistere dialogo. Sarebbe un dialogo fantasma, un dialogo sull’aria: non serve. Ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia. Partiamo ciascuno dalla propria identità, non facendo finta di averne un’altra, perché non serve e non aiuta ed è relativismo».

Quindi riassumendo: la fedeltà alla propria identità è necessaria per non cadere nel relativismo, mentre il dialogo fra le diverse comunità religiose (come sta avvenendo in Albania) è necessario per scongiurare la guerra e la pulizia etnica o religiosa (come invece sta avvenendo in Iraq, in Siria e in tutti i Paesi dove i cristiani, ma anche altre comunità religiose, sono perseguitati o discriminati).
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra » (Gv 15,18-20). â–

Il Timone – Dicembre 2014

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