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15.12.2024

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L’altare di Isenheim, nell’abisso della salvezza
28 Febbraio 2014

L’altare di Isenheim, nell’abisso della salvezza

Questo capolavoro del XVI secolo è la più straordinaria “macchina liturgica” che si conosca. Eccezionale commento agli episodi centrali della storia della Salvezza, nacque per confortare e dare speranza ai malati

Divenne famoso col nome di Grünewald (ndr: che in italiano vuol dire, all’incirca, vegetazione-foresta che rinverdisce) il pittore tedesco del XVI secolo, Matthias Nathart Gothart. Lo aveva chiamato così, per la prima volta nel 1629, Von Sandrart (pittore e storico dell’arte), ricorrendo a un termine che nella predicazione di allora veniva usato per indicare la Redenzione di Cristo la quale, appunto, tutto rinverdisce.

La chiesa degli Antoniti

Grünewald ricevette nel 1512 l’incarico di realizzare la più straordinaria “macchina liturgica” che si conosca e che rimane, ancora oggi, il suo indiscusso capolavoro.
All’origine di questa commissione ci furono gli Antoniti, un ordine di medici che furono per lungo tempo anche i medici del Papa. Nel 1095 un nobile del Delfinato francese, Gaston, dopo che, per intercessione di Sant’Antonio abate, ottenne la guarigione del figlio dalle fiamme di Satana (oggi note come fuoco di Sant’Antonio), fondò una comunità di taumaturghi laici. Nel 1280, ordinati canonici regolari con Regola di San’Agostino da Papa Bonifacio VIII, essi fondarono diversi ospedali in cui ci si occupava della cura del fuoco di Sant’Antonio e della sifilide (malattie molto diffuse in Europa dal IX al XIII secolo).
Se immaginassimo per un attimo di essere fra questi malati e di entrare nella chiesa della Prioria di Sant’Antonio a Isenheim, in Alsazia, proveremmo la forte emozione di vedere davanti a noi una delle più dolorose immagini del Cristo crocifisso.

La Crocifissione

Il pannello chiuso dell’Altare di Isenheim ci mostra un evento centrale dell’annuncio cristiano: la Croce.
Nell’oscurità della scena si profila davanti ai nostri occhi un calvario del tutto particolare. A contemplare le piaghe purulente del Salvatore non ci sono solo la Vergine Madre e San Giovanni e la Maddalena, ma anche san Giovanni il Battista. Un anacronismo rispetto al dettato evangelico. Eppure, è proprio da lui che occorre partire per la comprensione della simbologia.
Non fu certo un grossolano errore che portò Grünewald a collocare lì, sotto la croce, il Battista, lo attesta senz’ombra di dubbio la scritta che campeggia nel cielo oscuro: «ILLUM OPORTET CRESCERE ME AUTEM MINUI», Egli deve crescere ed io diminuire. La citazione rimanda a una celebre omelia agostiniana che unisce la frase evangelica alle date di nascita del precursore e di Gesù. È noto che solo del Battista, tra i santi, si celebra la nascita a questo mondo e non il die natalis in quell’Altro, nel momento della morte. Il 24 giugno, data della nascita del Battezzatore, era associato liturgicamente al solstizio d’estate, allorché la luce comincia a calare e i giorni si accorciano. In tal modo la luce del Battista decresce rispetto a quella di Cristo che, essendo nato il 25 dicembre, solstizio d’inverno, vede invece i giorni allungarsi. Qui il Cristo crocefisso è come il sole allo zenit, è quel mezzogiorno della storia che inaugura un tempo altro, celebrato quotidianamente dalla liturgia. L’Agnello, ritto e immolato, che sta accanto al precursore è, infatti, un rimando all’Apocalisse, che presenta la vera lampada del mondo: Cristo crocefisso e risorto.
La Maddalena con gli occhi velati simboleggia la terra, cioè quell’umanità che ha bisogno di riconoscere, nei segni della passione e del dolore di Cristo, le tracce della Vita eterna e della gloria.
L’apostolo Giovanni con il suo manto rosso vivo che abbraccia la Vergine Madre, bianchissima, è segno di quell’eclissi solare che caratterizzò l’evento della crocifissione. Con l’oscurarsi del sole di questo mondo, sorge un altro sole, lo stesso che illumina, come nuovo astro lunare, la Vergine Maria, segno e figura della Vergine Chiesa.
Il Cristo sulla Croce è simile a un albero, è il vero albero di vita, cantato dalla liturgia durante il triduo pasquale nel Vexilla Regis; il volto sfigurato e le sue piaghe purulenti permettevano ai malati di Herpes Zoster di identificarsi totalmente con Lui, conoscendo – visivamente – che per le sue piaghe essi potevano essere guariti (Isaia 53,5). I piedi nodosi, simili a radici, promessa di un nuovo giardino, sono una citazione delle visioni di Santa Brigida.
Accanto al Crocefisso, vediamo due patroni taumaturghi invocati contro le malattie della pelle: a sinistra San Sebastiano, trafitto dalle frecce (e dunque piagato) e Sant’Antonio (grande taumaturgo), a destra. Sotto il pannello centrale vediamo la scena della deposizione, dove il Cristo rivela drammaticamente la verità del suo essere uomo come noi, avvolto nei lacci della morte. L’immedesimazione tra i malati e Cristo giungeva a tal punto che, contrariamente al dettato evangelico «non gli sarà spezzato alcun osso», all’apertura degli sportelli successivi il pannello della deposizione si apriva proprio all’altezza del ginocchio del Redentore, cioè nel punto dove più frequentemente, a causa della malattia, i pazienti degli Antoniti vedevano amputate le loro gambe.

Natività, Annunciazione, Resurrezione

L’oscurità della scena del pannello chiuso lascia il posto a tre pannelli da cui irraggiano tutti i colori dell’iride.
Il pannello centrale, con la Natività, annuncia la fine del dominio delle tenebre e l’inizio della vita nuova in Cristo.
Ai due lati altri due pannelli con riferimenti all’anno liturgico: l’Annunciazione, 25 marzo, equinozio di primavera e la Risurrezione, 14 del mese di nisan, che cade in marzo/aprile nel nostro calendario ed è capodanno secondo il calendario religioso ebraico. La primavera è annuncio dell’opera di Cristo che tutto rinnova e rinverdisce anche per i malati lì presenti. Sotto questa esplosione di colori, i malati, corroborati dalla cromoterapia, venivano esposti alla forza del Sacramento e alle reliquie dei Santi.
La Natività, inoltre, commenta puntualmente le tre Messe del Natale. Nella Messa della notte, l’annuncio dei pastori è collocato nella scena più lontana. Dio Padre, come sole irradiante, risponde al grande grido di Isaia: «Oh se tu squarciassi i cieli e scendessi!». Un angelo azzurro, anziano, e uno rosso, giovane, danno l’annuncio ai pastori: sono segno dei due Testamenti che narrano di questa Salvezza.
La Messa dell’aurora è significata nel tempietto a sinistra. Qui una vergine pennuta avvolta nell’oscurità chiede a mani giunte che le sia restituita la salvezza perduta. Si tratta di Eva, alla quale risponde proprio davanti al tempio, con la sua maternità, la vergine Maria, gravida e in preghiera.
Negli ornati del tempio, patriarchi e profeti annunciano il compimento della promessa, celebrato nella Messa del giorno. In primo piano la Vergine Maria tiene fra le braccia il Verbo fatto carne. Gesù si trastulla con un rosario di legno, segno della croce che dovrà abbracciare per compiere la sua missione salvifica. Anche il lenzuolino è strappato come il perizoma di Cristo sulla croce nel primo pannello, indicando così la passione che strapperà il corpo del Signore. Un letto intonso e un panno bianchissimo che la levatrice non ha dovuto usare sono invece segni del parto misterioso e verginale e il pitale attesta la vera umanità del Cristo.

Musicoterapia e cromoterapia

Siamo ancora fra i malati: chiudiamo per un attimo gli occhi davanti a tanto simbolico splendore. Nella cattedrale suonano degli strumenti che accompagnano la celebrazione: sono i medesimi che stanno in mano agli angeli della pala centrale. L’immedesimazione dei malati fra Mistero celebrato e Mistero in atto è totale. Contro certa New Age, che rivendica a sé musicoterapia e cromoterapia, l’altare di Grünewald attesta quanto tali realtà appartenessero alla cultura del popolo cristiano e a quella sapienza medievale che tutto sapeva valorizzare alla luce dei meriti di Cristo e della sua redenzione.


Ricorda

«Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione».
(Paolo VI, Messaggio agli Artisti, reperibile su www.vatican.va)


Per saperne di più…

Piero Bianconi e Giovanni Testori (a cura di), L’opera completa di Grünewald, Rizzoli, 1972.
Giovanni Reale, I misteri di Grünewald e dell’Altare di Isenheim. Una interpretazione storico-ermeneutica, Bompiani, 2006.

IL TIMONE – Marzo  2014 (pag. 52-53)    

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