Sono tanti i vantaggi che ha portato la conquista dell’America da parte dei re di Spagna.
Ma di essi non si parla. Forse perché sono causati da un’azione di straordinari a portata spirituale e culturale: l’evangelizzazione dei popoli latino-americani.
Secondo la vulgata che tutti conosciamo, gli spagnoli, in America, hanno portato distruzione, morte e schiavitù. In realtà, le cose non stanno così e per capirlo basta ;partire da semplici e ovvie considerazioni di buon senso. Innanzi tutto una: come avrebbero fatto gli spagnoli a conquistare in un tempo brevissimo un intero, immenso, lontanissimo, continente, uccidere quasi tutti i suoi abitanti e rendere schiavi i sopravvissuti? Gli spagnoli arrivavano via mare, non conoscevano nulla del territorio e delle popolazioni che avrebbero incontrato, non erano stati preceduti da spie che avevano imparato la lingua degli indigeni ed analizzato la consistenza e la dislocazione delle forze nemiche. Erano per di più pochissimi (si parla di 27.787 uomini nei cinquant'anni che vanno dal 1509 al 1559) a fronte di un continente abitato da milioni di persone.
Ma, si dice, avevano i cavalli! E allora? Ma, si sottolinea, avevano gli archibugi! Insisto: e allora?
Come poteva un pugno di uomini con qualche cavallo e qualche archibugio conquistare un continente?
L'unica risposta ragionevole è un'altra: gli spagnoli hanno avuto la conquista facile solo perché hanno portato un repentino, enorme, improvviso, miglioramento delle condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione locale. Come? Evangelizzando.
Gli abitanti del Messico, dell'America centrale e del Perù, al momento dell'arrivo degli spagnoli, conducevano una vita da incubo, costretti sotto il giogo di imperi disumani che praticavano su scala industriale i sacrifici umani ed il cannibalismo. Basta osservare i canaletti di scolo costruiti alla sommità delle splendide piramidi inca, oggi meta di un turismo di massa inconsapevole. I sacrifici umani erano così tanti, che c'era bisogno di creare una via d'uscita per far defluire l'enorme quantità di sangue versato.
Colombo scopre l'America lo stesso anno in cui la Spagna ultima la reconquista del proprio territorio occupato dall'Islam per sette secoli. Lo slancio della fede è enorme. Per rendersene conto basta leggere le biografie dei personaggi dell'epoca. Basta sfogliare l'Autobiografia di Teresa d'Avila. Basta ricordare che l'uomo più potente della terra, l'imperatore Carlo V, nipote dei Re cattolici, finisce i suoi giorni in un convento e che suo figlio, Filippo II, si fa costruire una reggia, l'Escorial, prendendo a modello una graticola: quella graticola che i romani avevano utilizzato per martirizzare San Lorenzo.
Isabella di Castiglia (1451-1504) e suo marito Ferdinando di Aragona (1452-1516), i Re cattolici, guidano con accortezza, saggezza, amore per i propri nuovi sudditi, la colonizzazione del continente. Tanto la loro opera è illuminata che, mentre la cultura europea discetta sulla presenza o meno dell'anima negli indios (e, quindi, sulla possibilità di renderli schiavi), i Re cattolici prendono senza esitazione la loro difesa. Gli europei sono alla lettera scioccati dalle notizie che vengono dall' America. La disumanità della pratica religiosa delle popolazioni locali, la primitività della loro cultura che non conosce nemmeno l'uso della ruota, induce molti i preti e vescovi) a
riprendere in mano la dottrina aristotelica della "schiavitù per natura". I Re cattolici non cedono nemmeno per un istante a simili lusinghe intellettualistiche e difendono senza riserve i diritti di libertà e di proprietà degli indios.
Isabella arriva a mettere in prigione il pur benemerito ammiraglio Colombo perchè ha pensato di farle cosa gradita spedendole una nave carica di begli esemplari indios. Il testamento che Isabella "la cattolica" il 23 novembre 1504 lascia ai suoi eredi è vincolante (e tale sarà ritenuto dai re spagnoli): «ordino – scrive – di non ammettere né permettere che gli indigeni delle isole e della terraferma, conquistate o da conquistare, subiscano il minimo torto nelle loro persone come nei loro beni, ma di comandare invece che vengano trattati con giustizia e umanità, e d' riparare i torti che possano avere subito».
Il Re cattolico Ferdinando di Aragona nel 1508 ottiene il patronato su tutti i territori conquistati.
Ciò significa che, prescindendo dal magistero, sono i re ad assolvere a tutte le funzioni normalmente riservate alla gerarchia ecclesiastica. Presentano alla Santa Sede i vescovi da nominare, stabiliscono i confini ed il numero delle diocesi, decidono quali ordini religiosi inviare sul territorio, provvedono all'organizzazione dell'evangelizzazione. Insieme alla Chiesa e dietro ai re è la cattolica Spagna ad essere mobilitata.
Di pari passo all'evangelizzazione procede la scolarizzazione. Sono centinaia g indios istruiti in ogni monastero e i monasteri edificati sono moltissimi: nel solo Messico alla fine del XVI secolo se ne contano più di trecento. Numerosi sono gli artigiani spagnoli che (proprio come ai tempi dei benedettini) si trasferiscono in America per insegnare agli indios i vari mestieri. Nel 1552, a distanza di poco più di trenta anni dalla conquista, a Città del Messico è fondata la prima università: questo dato da solo prova il grande sforzo culturale (oltre che economico) fatto dalla Spagna e dalla Chiesa spagnola in America Latina.
I Re cattolici prendono sul serio il loro compito di patroni e la corte è sempre aperta a chi viene a denunciare sopraffazioni ed angherie commesse dagli spagnoli a carico delle popolazioni indigene. La realtà è spesso diversa da come dovrebbe essere, ma è certo che la corona di Spagna non smette di cercare la maniera per limitare i danni. Di fronte alle denunce dei religiosi, Ferdinando I, dopo ave nominato una commissione di teologi e giuristi, vara nel 15121 e leggi di Burgos l'anno dopo quelle di Valladolid. Si tratta di provvedimenti che tutelano il lavoro di bambini e donne e che garantiscono il diritto alla retribuzione.
Che io sappia in quella stessa Europa che, avendo aderito alla Riforma ed avendo abolito gli ordini religiosi, ha visto ovunque svilupparsi il pauperismo, bisognerà attendere i primi decenni dell'Ottocento perché, in Inghilterra, venga stabilita una legislazione per limitare lo sfruttamento della popolazione povera.
Nonostante tutti gli sforzi è però probabile che, senza una conferma ufficiale ed autorevolissima della predicazione spagnola, l'evangelizzazione non avrebbe conseguito gli strabilianti successi ottenuti. È intervenuto però un incredibile, bellissimo quanto indubitabile, segno dal cielo: le apparizioni mariane di Guadalupe Nel 1531, a pochi anni di distanza dal primo sbarco. degli spagnoli, Maria appare ripetutamente all'indio Juan Diego. Là Madonna chiede l’erezione di un santuario e mostra l'autenticità della propria richiesta lasciando impressa la propria immagine sul poncho dell'indigeno. Benedetto XIV dirà che, imprimendo sul mantello di un povero indio l'immagine della morenita, della Madre di Dio che, per l'occasione, assume le fattezze di una donna indigena, "Di a fatto ciò che non ha fatto per nessun'altra nazione». Fatto sta che gli indios per così dire divorano il cristianesimo. La Parola io si diffonde ovunque come su "ali di aquila". Si può dubitarne visto l'orrore che caratterizzava le religioni precolombiane? La liberazione e la felicità provocate dall'incontro con il Salva ,ore e sua Madre sono all'origine di quel fenomeno artistico del tutto nuovo che è l'arte indo-cristiana. Ha ragione lo storico pro stante Arnold Toynbee che mette in evidenza il fenomeno in La religione vista da uno storico del 1956. L'arte "indo-cristiana", come la chiama Toynbee, è la più perfetta prova della felicissima unione fra la cultura indio e quella spagnola: "L'arte indo-cristiana -scrive – fu un mezzo di integrazione religioso-culturale dell'uomo [indiano] al suo nuovo ambiente e alle sue idee come lo erano state l'arte greco-romana, l'arte romana e l'arte gotica».
Basta dare un'occhiata a questo tipo di arte per capire il grande slancio emotivo dell'adesione degli indios alla fede. Basta guardare i colori ed i soggetti delle raffigurazioni. Tanto il sangue, le stragi, gli squartamenti, l'orrore, la crudeltà, dominavano nelle manifestazioni artistiche dell'arte precolombiana, quanto i colori pastello, la luce, l'oro, la delicatezza, l'allegria pervadono quella indo-cristiana. Per vedere se è vero basta fare un giretto in Sud America ed entrare nelle chiese, nelle cattedrali e nei conventi (quelli che non sono stati distrutti dalla furia illuminata dei libertadores massoni di inizio Ottocento). Basta vedere l'arte popolare. Basta guardare quelle oasi di cultura, operosità, religione pietà che sono le missioni francescane della costa californiana.
Ancora oggi lo sforzo culturale e religioso della cattolica Spagna in America Latina è testimoniato dalla lingua, lo spagnolo, parlata da tutti, nonché dalla religione, il cattolicesimo, ovunque maggioritario (nonostante la profusione di mezzi impiegata da li Stati Uniti per staccare dalla comunione romana il maggior numero possibile di abitanti). Niente di più diverso in America settentrionale. Qui i pellerossa non parlano inglese né sono stati convertiti al cristianesimo protestante. Sono semplicemente scomparsi. O meglio, sono stati fatti scomparire. Ma di questo, per tacito assenso, non si parla.
RICORDA
«ln effetti, è impressionante lo schieramento avverso a colei (Isabella di Castiglia) cui, con solenne decisione papale, fu atb1buito l'onore unico di fregiarsi del titolo di "Cattolica". Contro la sposa d Ferdinando d'Aragona, militano in effetti gli ebrei, per l'espulsione del 1492; gli Islamici, per la perdita di Granada e la questione dei moriscos; i massoni e, in generale, I liberali di ogni tipo per l'Istituzione dell'Inquisizione; i secessionisti catalani, baschi, galiziani per la realizzazione dell'unità spagnola; gli antifranchisti di ogni obbedienza per il richiamo ai "re cattolici" da parte del regime, che fece piantare anche il loro emblema, il giogo e le frecce, all'ingresso di ogni comune della Penisola. Insomma, le lobbies più potenti ed eterogenee sono unite in un obiettivo comune: impedire che la Chiesa glorifichi costei che qualche avversario è arrivato a definire "un diavolo in forma di donna"».
(Vittorio Messori, Prefazione a Jean Dumont, La regina diffamata, Sei, 2003, pp. X-XI).
BIBLIOGRAFIA
Jean Dumont, Il Vangelo nelle Americhe, Effedieffe, 1992.
Jean Dumont, La regina diffamata, Sei, 2003.
Eugenio Corti, La terra dell'indio, Ares 1998.
Rino Cammilleri, (a cura di Manuale di apologetica, Piemme, 2006 (di prassi pubblicazione).
IL TIMONE – N. 54 – ANNO VIII – Giugno 2006 – pag. 22 – 23