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14.12.2024

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L’amicizia con Dio
31 Gennaio 2014

L’amicizia con Dio

 

 

 

C’è un desiderio umano di amicizia. Ne parlano anche Platone e Aristotele. Ma solo il Cristianesimo lo appaga definitivamente. Perché promette la comunione dei santi e propone di intrattenere un’amicizia con Dio.
 
 
 
Il Natale, in cui Dio si incarna e (restando Dio) diventa uomo amico degli uomini, ci offre lo spunto per aggiungere un ulteriore tassello alle nostre precedenti riflessioni sull’amicizia (cfr. il Timone n. 42, pp. 32-33 e n. 48, pp. 32-33). In effetti l’uomo desidera un’amicizia che trova il suo pieno compimento solo nel contenuto delle promesse cristiane: infatti l’uomo desidera il maggior numero possibile di amici, ma è possibile instaurare solo poche relazioni amicali. Ebbene, il cristianesimo comporta, in due modi, una soddisfazione piena e definitiva dell’umano desiderio di amicizia.
1) Il cristianesimo contiene l’annunzio della comunione dei santi (Catechismo 946 e ss.) che inizia nella vita terrena e si compie nella vita ultraterrena. Nella vita terrena: perché «nel Battesimo ciascun bambino viene inserito in una compagnia di amici che non lo abbandonerà mai nella vita e nella morte […] la famiglia di Dio, che porta in sé la promessa dell'eternità. Questa compagnia di amici, questa famiglia di Dio […] lo accompagnerà sempre anche nei giorni della sofferenza, nelle notti oscure della vita; gli darà consolazione, conforto, luce […] gli darà parole di vita eterna. […] Questa compagnia offre al bambino consolazione e conforto, l’amore di Dio anche sulla soglia della morte, nella valle oscura della morte. […] E questa compagnia, assolutamente affidabile, non scomparirà mai. Nessuno di noi sa che cosa succederà nel nostro pianeta, nella nostra Europa, nei prossimi cinquanta, sessanta, settanta anni. Ma, su un punto siamo sicuri: la famiglia di Dio sarà sempre presente e chi appartiene a questa famiglia non sarà mai solo, avrà sempre l'amicizia sicura di Colui che è la vita» (Benedetto XVI, Festa del Battesimo del Signore, 8 gennaio 2006).
Dopo la morte: perché i beati entrano in una società perfetta, costituita dal maggior numero possibile di amici perfetti, che vivono perennemente insieme in piena e inimmaginabile letizia, in totale intimità e comunione di tutti con tutti: «Questa famiglia di Dio, questa compagnia di amici è eterna, perché è comunione con Colui che ha vinto la morte, che ha in mano le chiavi della vita. Essere nella compagnia, nella famiglia di Dio, significa essere in comunione con Cristo, che è vita e dà amore eterno oltre la morte» (Ibidem).
2) L’uomo desidera degli amici totalmente generosi, totalmente benevoli nei suoi riguardi, ma nessuno può esserlo completamente, perché ogni uomo è limitato e non autosufficiente, ha bisogno degli altri, ha bisogno di ricevere e ciò può menomare la sua benevolenza. Ora, il cristianesimo promette la realizzazione anche di questo desiderio con lo stupefacente annunzio di un Dio che si incarna, che piange per amicizia (per la morte di Lazzaro) e che offre la sua amicizia all’uomo: «non vi ho chiamato servi, ma amici» (1 Gv 15,15). Anzi, il cristianesimo parla di un Dio che offre la sua amicizia all’uomo fino al punto di morire in croce per lui e «non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici» (1 Gv 15,3). Così, il Dio cristiano è il Primo Amico.
Questa espressione per nominare Dio è di Platone (Liside, 219 C) che tuttavia non la utilizzava per designare un Dio-amico, bensì con un altro significato, perché non poteva immaginarsi che Dio potesse offrire la sua amicizia all’uomo, che cerca l’amicizia con l’uomo, che si dirige verso l’uomo mediante un movimento discendente. Platone ha compreso che Dio esercita una qualche premura verso l’uomo (cfr. Apologia di Socrate 41 D, Repubblica 612 E – 613 A, Timeo 29 E – 30 A), ma non hai mai concepito che Dio potesse disporsi verso l’uomo come un amico verso un amico, né, men che meno, che potesse dare la vita per l’uomo.
Forse lo ha frenato la visione dell’amore tipica dei greci, che connotavano l’amore in modo egoistico. Infatti, per il pensiero greco la volontà è una facoltà fondamentalmente tendenziale, desiderativa. Ora, si desidera ciò che ancora non si possiede, pertanto l’amore è desiderio di eliminare un’indigenza e di colmare una mancanza. Platone dice che l’amore è figlio di Poros, dio della ricerca e dell’espediente, e di Penìa, dea della mancanza. Viceversa, per il cristianesimo l’amore è dono gratuito di sé, premura e sollecitudine per il bene dell’altro. È vero che i passi dei testi platonici che ho menzionato contraddicono la sua visione generale dell’amore, perché parlano di una certa gratuità nell’amore che ha Dio per l’uomo, ma certo non arrivano lontanamente a pensare che Dio possa mettersi in relazione con un uomo addirittura nella forma dell’amicizia.
Anche in Aristotele si ripropone la visione egoistica dell’amore. Nei suoi testi troviamo dei passi in cui è lumeggiata anche una visione disinteressata di esso (Etica Nicomachea, 1159b 27-33), ma altri passi contraddicono questa gratuità dell’amore: «ciascuno vuole il bene soprattutto per sé», (Ibid., 1159a 13). Pertanto, Aristotele ritiene che Dio non possa amare l’uomo, perché ciò sarebbe sintomo di una qualche imperfezione a cui Dio cercherebbe di rimediare mediante l’amicizia con l’uomo, e ciò sarebbe assurdo perché Dio è perfetto. C’è forse un passo con uno spiraglio nella direzione dell’esistenza di una premura di Dio per l’uomo (Etica Nicomachea, 1179a 24-34), tuttavia, generalmente, Aristotele ritiene non soltanto che Dio non ami l’uomo, ma che nemmeno lo pensi (Metafisica, 1074 b 21-27). Per lui Dio non può amare gli uomini, ma solo essere amato da essi, è oggetto e non soggetto d’amore. E se in Platone e Aristotele c’è qualche spunto sull’amore di Dio per l’uomo, in ogni caso tale amore di Dio per l’uomo riguarda solo gli uomini giusti e virtuosi.
Il cristianesimo, invece, introduce senza i tentennamenti di Platone e Aristotele un concetto di amore che non è salita dell’uomo verso Dio, ma discesa di Dio verso l’uomo, che non è ricerca, ma dono, che non è mosso da interesse, bensì è disinteressato e gratuito.  Di più, Dio è Uno e Trino e una delle Persone divine, lo Spirito Santo, è l’Amore del Padre e del Figlio, Amore perfetto ed esclusivamente generoso: Dio è amore (1 Gv, 4,8) e ama l’uomo fino alla morte di croce. Ama ogni uomo, anche quello malvagio.
Ma come può Dio essere amico dell’uomo, visto che l’amicizia richiede la somiglianza tra gli amici e visto che tra Dio e l’uomo c’è una differenza enorme? Aristotele aveva ben presente questo problema e perciò riteneva impossibile una relazione amicale tra Dio e l’uomo: «se una delle parti [del rapporto amicale] è separata da una grande distanza, come avviene nel caso di Dio, l’amicizia non è […] possibile» (Etica Nicomachea, 1159a 6). Qui Aristotele sta dicendo una cosa che sul piano filosofico è giustissima, perché non poteva immaginare ciò che la rivelazione cristiana avrebbe detto tre secoli dopo: l’amicizia tra Dio e l’uomo è possibile, sia perché Dio si è fatto simile all’uomo, incarnandosi come uomo divenendo simile all’uomo, ma non nel peccato, sia perché Dio, con la grazia, eleva l’uomo a partecipare alla vita divina, rendendolo simile a sé. Insomma, il cristianesimo esaudisce il desiderio naturale dell’uomo di avere un amico perfetto, come può esserlo soltanto Dio. Solo Dio può essere totalmente generoso, perché è perfetto, onnipotente e non ha bisogno di nulla. Così, come dice Kierkegaard: «la cosa più alta che si possa fare, […] la bontà, è donare completamente […]. Soltanto l’onnipotenza può rendere indipendenti», (Diario VII A 181, tr. it. n. 1017). Dio è il Primo Amico, è il Migliore Amico, perché non ha nulla da guadagnare dal rapporto con l’uomo (in quanto Dio è già perfetto), e perché se già un amico è talvolta capace di conoscere, volere e fare il mio bene meglio di quanto sia capace io, a maggior ragione Dio conosce, vuole e fa il mio bene meglio di qualunque amico (in quanto Dio è onnipotente): «noi non sappiamo nemmeno cosa domandare, ma lo Spirito intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26-27).

 
 
RICORDA
 
«Il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce l’amicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con il suo io: “questo è il mio corpo…”, “io ti assolvo…”. Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità – il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Ci ha reso suoi amici – e noi come rispondiamo?»
(Joseph Ratzinger, Missa pro eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005).
 
 
 
 
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
Benedetto XVI, Deus Charitas est.
S. Agostino, Amore Assoluto e «Terza Navigazione», Bompiani, 2000.

 

 
 
 
 
IL TIMONE – N. 58 – ANNO VIII – Dicembre 2006 – pag. 32 – 33

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