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13.12.2024

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L’amicizia
31 Gennaio 2014

L’amicizia

 

 

 
 
E’ uno dei beni più grandi della vita, consiste in un rapporto di gioiosa condivisione e un affetto reciproco tra uomini buoni, richiede virtù e somiglianza. Due regole per avere amici.
 
 
 
«Riteniamo che l'amico sia uno dei beni più grandi e che l'esser priva di amici e in solitudine sia cosa terribile». Questa convinzione di Aristotele illustra già l'importanza decisiva e la necessità fondamentale dell'amicizia per una vita pienamente umana. Cerchiamo dunque di soffermarci un po' da vicino su di essa.
Fin da subito rileviamo che essa è una forma di amore e che quest'ultimo (cfr. sempre Aristotele, Retorica 2,4) consiste nel volere, desiderare e cercare di fare il bene dell'altro. Quindi un suo elemento indispensabile è la benevolenza: dire «io sono tuo amico» equivale a dire «il tuo bene mi preme, è una mia premura». La benevolenza, però, dev'essere reciproca, cioè due soggetti sono amici se si vogliono entrambi bene e se condividono gioiosamente la loro vita. Ora, noi vogliamo bene agli altri per tre possibili motivi, e corrispondentemente a questi tre tipi di motivi si danno tre possibili tipi di amicizia.
1. l'amicizia a motivo dell'utilità che l'altro mi procura: gli voglio bene perché mi è utile;
2. l'amicizia a motivo del piacere/divertimento che provo stando con l'altro: gli voglio bene perché è piacevole;
3. l'amicizia a motivo della virtù/bontà che l'altro esibisce: gli voglio bene perché è buono! virtuoso, perché ammiro i suoi pregi e le sue buone qualità, perché condivido con lui le attività virtuose.
In realtà, però, l'amicizia 1 e l'amicizia 2 sono amicizie imperfette e relative, perché io dico di volere il bene dell'altro, ma in verità gli voglio bene soIa in quanto è utile/piacevole, il che significa che voglio bene a me stesso, e voglio bene agli altri affinché mi procurino utilità/piacere, cioè non amo per davvero l'altro, bensì la sua utilità/piacevolezza, cioè amo l'utilità che l'altro rappresenta per me e le gradevoli reazioni emotive che l'altro è capace di suscitare in me.
Inevitabilmente, dunque, tali amicizie sono instabili, fragili e precarie, si dissolvono quando l'utilità e il piacere non sussistono più: non è infatti l'amico che noi amiamo, ma le soddisfazioni che la sua amicizia ci fornisce e una persona che è utile/piacevole può non esserlo più.
Soprattutto, tali amicizie sono ingiuste, perché quando le esercito io sto strumentalizzando l'altro, lo sto rendendo strumento della mia utilità e del mio piacere/divertimento, sto violando la sua dignità di persona (quella che fece formulare a Kant il famoso principio morale: «agisci in modo da trattare l'umanità sempre come fine e mai come semplice mezzo», il che vuoi dire che la dignità umana è intangibile e nessuno può essere reso strumento di un altro). Non importa che l'altro faccia la stessa cosa con me: una strumentalizzazione reciproca è pur sempre una strumentalizzazione che non rispetta la dignità dei soggetti umani in gioco.
Per queste ragioni, soltanto l'amicizia 3 è una forma vera e autentica di amicizia. L'amicizia perfetta è l'amicizia degli uomini buoni e simili per virtù, i quali vogliono il bene l'uno dell'altro, e lo vogliono per gli amici in se stessi: io sono un vero amico di qualcuno se voglio il suo bene senza secondi scopi, non in vista dei benefici che la nostra amicizia mi procura, cioè se voglio il suo bene disinteressatamente, gratuitamente.
Certo, anche in questa forma di amicizia si ripresentano l'utilità e il piacere: un amico mi può essere utile e certamente è gradevole e bello stare con lui. Però, in una vera amicizia, l'utilità/piacevolezza non devono essere lo scopo principale per cui intrattengo una relazione amicale. Naturalmente, non si tratta di rigettare e biasimare l'utilità/piacere delle relazioni intersoggettive, tuttavia per chiarirmi la rettitudine di una relazione amicale devo pormi la seguente domanda: «qual è lo scopo, il motivo principale per cui sto agendo così e così con questo mio amico? Agisco perché gli voglio bene o perché mi voglio bene e il mio amico mi è utile/piacevole?». Se sono un vero amico l'utilità e il piacere non sono il fine principale delle mie azioni nei riguardi di un mio amico, bensì solo le gradite conseguenze del mio agire.
Vediamo due fra i vari presupposti dell'amicizia.
1. La bontà, la virtù. Infatti, abbiamo detto che la vera amicizia si instaura tra uomini buoni e simili per virtù, in forza dell'apprezzamento per le qualità e per i pregi dell'altro, cioè due uomini cominciano ad essere veramente amici perché ammirano reciprocamente le proprie qualità morali.
Questo ci insegna allora una regola fondamentale: se voglio avere dei veri amici (e non soltanto dei falsi amici che si aspettano di ricavare da me utilità/piacere) devo sforzarmi di essere buono. Vuoi avere amici? Sforzati di acquistare quella sola prerogativa, cioè la bontà, che affascina gli altri uomini buoni e li sollecita a volerti bene; sforzati di essere virtuoso, ovvero generoso, sincero, coraggioso, leale, onesto, giusto, altruista, ecc., perché la virtù attrae i virtuosi e la bontà i buoni, cioè affascina e richiama l'ammirazione e l'amicizia di coloro, gli uomini buoni, che costruiscono amicizie sincere, solide e disinteressate e che ti sapranno voler bene per quello che sei e non per quello che hai, per te stesso e non per l'utilità/piacere che sei in grado di procurar loro. Altrimenti sarai circondato di falsi amici, approfittatori e opportunisti sempre pronti a revocarti la loro amicizia.
2. La somiglianza. Due amici per essere tali devono avere qualcosa di simile, un'idea, un interesse, un ideale in comune. A volte un amico può essermi talmente simile da essere per me come un alter ego, un altro me stesso, l'altra metà della mia anima, capace di anticipare i miei pensieri e di provare le stesse gioie e gli stessi dolori.
È vero che ci sono amici tra loro molto diversi (per es., due politici di fazioni avverse), ma a meno che siano amici per l'utilità/piacere che la diversità può recar loro, se sono amici in senso autentico è necessario che abbiamo almeno qualcosa in comune, e che ciò sia la scintilla che fa scoccare la loro amicizia. Forse il desiderio di risolvere lo stesso problema, la coltivazione degli stessi ideali, anche se poi essi differiscono quanto alle risposte da dare al problema e alla concretizzazione degli ideali.
Ecco allora un'altra regola: per avere amici è necessario evitare di andare soltanto «a caccia di amici»: come dice Lewis, chi non ricerca nulla non ha un'attività di ricerca da condividere con qualcuno, chi non sta andando da nessuna parte non può avere compagni di viaggio, chi non si impegna in alcun progetto e non coltiva nessun ideale non potrà spartire niente che sia motivo di somiglianza con qualcun altro. In altri termini, se voglio avere amici non devo limitarmi solo a volere degli amici, bensì devo impegnarmi in qualche progetto, attività, ideale, in cui emerga la mia somiglianza con qualcun altro. Sono solo pochi spunti (e ci dobbiamo arrestare per mancanza di spazio), ma forse utili, visto che, come dice ancora Aristotele: «senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni».

Bibliografia

Aristotele, Etica Nicomachea, libri VIII-IX. Tommaso d'Aquino, Commento all'Etica Nicomachea di Aristotele, ESD 1998, pp. 227431.
Gabriel Chalmata, Etica applicata, Le Monnier 1997, pp. 103-120.
Norberto Galli, L'amicizia dono per tutte le età, Vita e Pensiero 2004.
Clive Staple Lewis, I quattro amori: affetto amicizia eros e carità, Jaca Book, varie edizioni.

IL TIMONE – N. 42 – ANNO VII – Aprile 2005 pag. 32 – 33

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