Affrontiamo un percorso che ci aiuti a entrare nel cuore di queste clamorose e stupefacenti proposte avanzate da Gesù. Per comprenderne significati e obiettivi
Diceva Bossuet, il sommo predicatore barocco, che: «Se il discorso della montagna è la sintesi di tutta la dottrina cristiana, le otto beatitudini sono la sintesi di tutto il discorso della montagna». Tanto che aggiungeva: «Si entra volentieri dalla porta stretta, quando si è giunti davvero a credere di poter essere felici nella povertà, nel pianto, nelle afflizioni, quando si è accettato di soffrire in nome della giustizia…».
Anche per questo ho pensato bene di intrattenerci, per alcune volte a partire da questa puntata della rubrica, proprio sul tema della beatitudini. Perché centrale al cristianesimo, dunque, ma anche perché capace, come vedremo, di porre subito in evidenza con chiarezza inconfutabile quale sia la differenza tra le proposte del “mondo” e quelle di Gesù, tra la fede nel Dio che emerge dal Vangelo e tutte le altre.
A dire la verità, già la dizione stessa di “beatitudini” fa pensare perché, se è vero che il sostantivo esiste anche nella lingua comune, è ugualmente vero che esso è poco impiegato mentre, usato al plurale, ha trovato la sua applicazione maggiore proprio in ambito evangelico, dove ha assunto il valore di simbolo stesso di un insieme di comportamenti capaci di introdurre ad una gioia grande che sgorga da essi e che raggiunge e abbraccia tutta la vita.
Simbolo, dicevamo, ma anche segno di contraddizione perché, in realtà, le beatitudini evangeliche hanno una caratteristica particolare, quella cioè di rappresentare una autentica novità sul piano spirituale sia nei confronti dell’Antico Testamento sia per quanto riguarda l’ambiente pagano che circondava Israele. Novità soprattutto per la globalità con la quale considerano la vita umana e ne ribaltano, come vedremo, l’ottica, proponendo ciò che sembra un male da rifuggire agli occhi del mondo come il bene massimo, come la via maestra non solo per giungere a Dio ma anche per realizzare al meglio la propria vita. Tanto che praticamente tutti gli esegeti, anche i più severi verso la genuinità degli scritti evangelici, proprio basandosi sul principio chiamato di discontinuità – rispetto a quanto precede ma anche a ciò che è contemporaneo – considerano quei versetti relativi alle beatitudini tra quelli della cui autenticità non si può dubitare. Oggi diremmo che sono troppo “politicamente scorretti “ per non essere proprio di Gesù!
Vediamo allora anzitutto di rileggerli con attenzione nelle due versioni che ci sono giunte, quella di Matteo e quella di Luca.
«Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male, contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”» (Mt 5,1-12).
Leggiamo ora Luca (6,19-23): «Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti. Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo, infatti, facevano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo, infatti, facevano i loro padri con i falsi profeti».
Fermiamoci anzitutto su alcune osservazioni generali. Le beatitudini che Matteo riferisce sulle prime sembrano nove, dal momento che il termine “beato” viene ripetuto un tale numero di volte. In realtà, l’ultima viene considerata come una sorta di riepilogo generale di tutte le altre che sarebbero in questo modo otto. Sant’Agostino si spingeva addirittura oltre, contandone solo sette dal momento che considerava anche l’ottava come la prima parte di tale riepilogo generale. Ma non è questa l’opinione più diffusa tra gli esegeti.
L’evangelista Luca, invece, compendia le otto beatitudini di Matteo in quattro. Però le accompagna con un pari numero di antitesi. Sant’Ambrogio, al proposito, faceva osservare che le otto beatitudini di Matteo sono di fatto contenute nelle quattro di Luca, che usa una forma più concisa, mentre Matteo spesso sembra cercare di spiegare meglio i contenuti. Per esempio, proprio riguardo alla prima beatitudine, in Luca leggiamo semplicemente: «Beati i poveri…», mentre in Matteo troviamo una aggiunta assai utile per capire meglio ciò che Gesù intendeva dire: «Beati i poveri in spirito…».
Queste differenze tra gli evangelisti peraltro (lo abbiamo visto, più formali che sostanziali) ci fanno capire subito una cosa e cioè che con molta probabilità non una sola volta Gesù ha fatto riferimento a questo argomento. Ma che, verosimilmente, sia ritornato sopra ripetutamente su quello che è il cuore del suo insegnamento. E che ciascun evangelista abbia poi raccolto nei rispettivi scritti una versione oppure l’altra in base anche ai lettori ai quali intendeva soprattutto rivolgersi. I cristiani provenienti dal giudaismo, nel caso di Matteo, che, dunque, avevano alle spalle tutto l’Antico Testamento, tra cui la tradizione farisaica e che forse proprio per questo necessitavano di spiegazioni maggiori. I pagani convertiti, nel caso di Luca, erano spesso più liberi di fronte alla novità evangelica.
D’altra parte, lo abbiamo già detto, le beatitudini, nel loro complesso erano allora – ma in realtà restano in ogni tempo – quanto di più anticonformista sia dato di pensare. E dunque non deve certo meravigliare il fatto che Gesù vi sia tornato sopra molte volte nel corso della sua predicazione per le vie di Palestina, cercando così di rompere, con le parole ma anche con i numerosi miracoli che le accompagnavano, quella crosta di resistenza nella quale, come il Vangelo stesso in molte occasioni ci mostra, sulle prime si imbatteva.
Eppure, nonostante la loro notorietà, le classiche “beatitudini” non sono le sole presenti nel Vangelo. E, dunque, in questa prima rassegna non possiamo non menzionare anche le altre. Anzitutto quella che viene chiamata la “beatitudine della fede” e che trova le sue due espressioni maggiori in alcuni versetti di Matteo e di Giovanni. «“Voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone, Figlio di Giona perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”» (Mt 16,15-17). E poi Giovanni 20,29 in cui Gesù dice a Tommaso, che finalmente lo riconosce: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto, hanno creduto».
E infine altre beatitudini che riguardano una persona particolare e cioè Maria, la Madre di Gesù, già designata come “beata” da Elisabetta quando riceve la sua visita poco dopo l’Annunciazione: «Ecco che appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E “beata” colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,44-45). E poi, sempre Maria ripresentata, ancora da Luca, ma non solo, in tutta la sua importanza di madre, ma anche di prima e più fedele discepola di quel Figlio straordinario a cui aveva dato la luce: «Una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha nutrito!”. Ma egli (Gesù) disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”» (Lc 11,28-29).
Ecco, dunque, il quadro generale che ci sta di fronte. Per riflettere insieme su di esso compiremo questo itinerario: partiremo dalle basi e cioè dalla beatitudine della fede. Poi, passando attraverso l’esempio e l’esperienza di Maria, cercheremo di entrare nel cuore di ognuna di queste clamorose e sconvolgenti proposte, per tentare di comprenderne significati e obiettivi. Che il Dio del Vangelo ci aiuti!
IL TIMONE N. 126 – ANNO XV – Settembre/Ottobre 2013 – pag. 56 – 57
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