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7.12.2024

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Le Crociate
31 Gennaio 2014

Le Crociate

 

 

 

 

 
Un fenomeno straordinario, incomprensibile fuori dal contesto di fede in cui si è realizzato. Soccorrere i fratelli, liberare la Terrasanta, servire Cristo: eroismo e miseria umana dei cruce signati.

 
 
 

In quest’epoca di integralismi, si fa presto a dire crociata. Dal fumo ai cartelli stradali, dall’aumento salariale alle bibite nelle università, basta che qualcuno impugni con un minimo di fermezza una bandiera – un’idea, un programma, a volte solo uno slogan – e il giornalista di turno a scrivere: «Ecco una nuova crociata…». È l’ultima eco vagamente positiva che gli uomini d’inizio Terzo millennio riconoscono alle crociate, a quella «rivoluzione mondiale» – come l’ha descritta Bernard Hamilton – che si sviluppò in Europa verso la fine dell’XI secolo. Solitamente, tuttavia, «crociate» e «crociati» sono parole che si usano contro qualcuno, per accusarlo di intolleranza, fanatismo cieco, secondi fini e varie altre cosucce. Quella piccola croce di stoffa, che i nostri avi – i cruce signati, perché appunto si «segnavano» con quel simbolo piccino e tremendo – portavano con orgoglio sui vestiti e sul corpo, è divenuta abominio, strappata com’è dal cuore di tanti, e da tanti muri di scuola. Eppure, anche se non pochi sacerdoti oggi volterebbero il capo dall’altra parte, quelle centinaia di migliaia di cavalieri e fanti, possidenti e diseredati, vescovi e abati, predicatori itineranti e meretrici che hanno formato per oltre due secoli le file crociate, che fine hanno fatto? Sono in Paradiso, com’era stato loro promesso, oppure marciscono in una tomba senza senso?
Prima di provare a rispondere, chiediamoci: ma cosa furono davvero le crociate? Secondo lo storico inglese Christopher Tyerman, la domanda è mal posta, perché «invece di cercare precise formule legalistiche, appare più realistico osservare la fluidità e l’imprecisione del fenomeno». Tyerman ha ragione su un punto centrale: non si può definire le crociate in maniera schematica, giacché un movimento religioso, politico, economico e sociale così vasto (dalla Spagna alla Palestina, dal Baltico all’Egitto) e così duraturo (dall’XI secolo al XIV e anche oltre) non si lascia facilmente inquadrare in definizioni onnicomprensive.
Dal canto suo, Franco Cardini aggiungerebbe che i primi crociati non sapevano neppure di trovarsi nella “prima crociata”, perché la parola sarebbe stata inventata solo più tardi, nel XIII secolo. Ecco quindi che, per delimitare almeno a grandi linee il campo, ci riferiremo solo alle crociate trasmarine, quelle cioè che andarono «di là dal mare», per opposizione a quelle cismarine, ovvero combattute su terra europea. Ciò premesso, resta molto da dire, perché quel qualcosa che noi chiamiamo “crociate” ci fu senz’altro e, se la parola è tarda, l’aggettivo è originario. Chi era il cruce signatus, dunque?

Soccorrere i cristiani d’Oriente

I primi crociati del 1095-1096 si mossero verso la Terrasanta essenzialmente per due ragioni: soccorrere i cristiani d’Oriente e recuperare Gerusalemme. La Città Santa non era più in mano cristiane dal 638 d.C., quando i musulmani l’avevano sottratta all’Impero bizantino. Certo, i musulmani permettevano ai cristiani di vivere sotto di loro – ovviamente in condizioni di inferiorità religiosa, politica, economica, sociale e a volte anche perseguitandoli – ma la loro spinta espansionista non si era spenta. Anzi, nel 1071 avevano inflitto ai bizantini un duro colpo nella battaglia di Manzikert e da allora molte voci si erano levate in direzione dell’Occidente, richiedendo aiuto. La prima crociata, quella di Urbano II sorta dopo i concili di Piacenza e Clermont-Ferrand nel 1095, può essere considerata come una risposta a quegli appelli. Del resto cavalieri occidentali – barbari sì, rispetto ai bizantini, ma formidabili come combattenti – già militavano in gruppi di mercenari nelle file bizantine. Ecco quindi chiarito il primo elemento che “fece” la crociata: la tuitio o defensio («protezione», «difesa») dei fratelli nella fede minacciati da un nemico esterno.

Riprendere Gerusalemme

A questa prima dimensione, come accennato, se ne unì subito un’altra: la recuperatio, il «recupero» dei luoghi storici del cristianesimo, cioè la Terrasanta, meta di pellegrinaggi sin dagli albori dell’era cristiana. Questo elemento concreto e per così dire fisico è ineliminabile dall’idea e dalla storia delle crociate.
Come ha ben scritto Bernard Hamilton, si provi a togliere ai musulmani il possesso della Mecca o di Medina: cosa accadrebbe?
Il cristianesimo non è concepibile senza il riferimento geografico, fisico, corporale con le pietre, la sabbia, le acque, l’aria della Terrasanta. Meno che mai esso sarebbe stato anche solo pensabile nel Medioevo, quando l’Europa – certo, in maniera imperfetta, ma sicura – si definiva Cristianità. Ecco dunque l’altra componente imprescindibile del fenomeno, che diventa ancor più chiara su un piano di mentalità: per un uomo dell’XI-XIII secolo, abituato a pensare alla realtà come a una gerarchia di relazioni e doveri reciproci, il solo pensiero che la «terra del Signore», l’«eredità di Cristo» fosse «insozzata» dai pagani (come si intendevano allora i musulmani) era intollerabile. L’uomo della società feudale concepiva se stesso come appartenente a un dominus, e questi a un signore superiore e così via, sino a giungere al vertice del creato, o meglio alla sua origine, a Cristo. E Cristo era stato defraudato della sua terra, del segno tangibile della sua esistenza storica: quelle pietre che l’avevano visto nascere, predicare, soffrire per la redenzione del mondo e risorgere erano in mano a chi bestemmiava il suo nome. Nacque così il crociato, uomo d’armi che si metteva in viaggio – un viaggio penitenziale – per servire la causa più nobile di tutte, quella di Cristo. A questi tre elementi di base se ne sarebbero aggiunti in seguito altri: la dilatatio, l’«espansione» della Cristianità, e la sua purgatio, l’eliminazione di quanto la guastava dall’interno, come per esempio gli eretici. Questi elementi non furono però tipici delle crociate trasmarine, e quindi non ce ne occuperemo in questa sede.

Crociate e miseria umana

Torniamo alle crociate di Terrasanta, per rispondere a un’obiezione ormai classica, così formulabile: questo alto ideale venne concretamente disatteso, perché sotto il manto della croce quelle migliaia e migliaia di uomini nascosero i loro interessi terreni, politici, economici.
Ma dire così è non sapere che la maggior parte di quanti partivano (e la partenza era libera e volontaria, anche se caldeggiata) lo facevano a proprie spese, ingentissime, tanto da indebitarsi per vari anni. E che quanti arrivavano in Oriente solitamente tornavano indietro, e che fu proprio questa una delle ragioni della fragilità degli Stati latini fondati in Terrasanta. Ma aggiungiamo: che qualcuno, e ben più d’uno, abbia commesso peccato, infangando il suo nome e la croce che aveva liberamente assunto, anche questo è certo. Furono molti quelli che non seppero trattenere le mani dal sangue inutile (e fu l’ebbrezza orribile del massacro dopo la vittoria o la ritorsione spietata dopo un gesto di crudeltà del nemico) o dal guadagno avido e persino empio (e si pensi per esempio alla quarta crociata, che finì a Costantinopoli, invece che a Gerusalemme). Vi sono stati molti casi, in questa storia secolare e che ha coinvolto enormi folle, di tradimento e vigliaccheria (come non ricordare Gerardo di Ridford, il gran maestro templare che scampò troppo “miracolosamente” al massacro dei suoi dopo Hattin, nel 1187?) e vi sono stati tremendi eccessi.
Questi vanno osservati con lucidità e dolore, riconducibili come sono al misterium iniquitatis del cuore umano, ma anche a un elemento sul piano storico: ovvero il fatto che il ricorso allo strumento militare – e le crociate furono senz’altro anche imprese militari – comporta necessariamente il male.
Un male che dunque è intrinseco nella logica della crociata pur concepita come guerra giusta (difesa di quanti patiscono aggressione e restaurazione di un diritto leso) e persino santa, come vedremo fra breve. Lo “strumento” crociata reca con sé
alcune contraddizioni, che però non possono essere ampliate a piacimento dal polemista di turno: perché non ogni violenza è male, e la violenza finalizzata agli scopi della crociata è per così dire confinata nel recinto della dimensione guerriera e militare. In altri termini: lo scopo delle crociate fu senz’altro religioso, nel senso di restaurazione di un diritto religioso leso, ma non andò oltre, prefigurando per esempio la conversione forzata dell’avversario. Il caso più illuminante si ha durante la quinta crociata, quando Francesco di Assisi si recò nel campo avverso per predicarvi il Vangelo, precisando che la guerra mossa dai crociati ai musulmani era giusta. Gli eccessi dei crociati furono quindi tali in tutti i sensi.
Il filo conduttore di tutta la storia delle crociate è lo spendersi – con uno strumento difficile e pericoloso, ma per taluni aspetti imprescindibile – al servizio di una causa alta e disinteressata, a partire da una situazione di ingiustizia e avendo come retribuzione essenzialmente la remissione dei peccati «confessati di bocca e di cuore». È ciò che rese “sante” le crociate. Quel che a noi cristiani d’oggi viene concesso con quattro preghiere e la rapida visita d’una chiesa, i nostri avi lo conquistarono con la fatica e la paura della fame e della sete, delle strade interminabili e perigliose per terra e per mare, della morte per malattia e per gli attacchi nemici. E quindi, per rispondere alla domanda posta in apertura, non possiamo che dire che i crociati morti lungo la via sono stati perdonati dei peccati confessati – e che quindi, se altro non li ha gravati davanti al Giudice ultimo, sono in Paradiso – per la potestà di sciogliere e di legare concessa da Cristo a Pietro e ai suoi successori, e da costoro promessa ai cruce signati. I crociati puri, dunque, ci guardano dal cielo, dove le spade sono state trasformate in vomeri, e le lance in falci.

Cronografia delle crociate

La I crociata (1095-1099), preceduta dalla predicazione di Pietro l’Eremita e dall’esercito da lui mobilitato, fu lanciata da Urbano II e guidata dal legato pontificio Ademaro di Le Puy, insieme a Roberto di Normandia, Goffredo di Buglione, Baldovino di Fiandra, Raimondo di Tolosa, oltre ai normanni Boemondo di Taranto e suo nipote Tancredi.
La II crociata (1145-1149), voluta da Luigi VII re di Francia e da papa Eugenio III in seguito alla caduta di Edessa (1144), fu predicata da san Bernardo e guidata dal re francese e dal re tedesco Corrado III.
Il 21 ottobre 1187, a seguito della battaglia di Hattin (4 luglio), Gerusalemme fu conquistata da Saladino. In risposta Gregorio VIII bandì la III crociata (1189-1192), capeggiata dall’imperatore Federico I Barbarossa – il quale morì nel 1190 attraversando un fiume in Anatolia, causando la dispersione dei suoi – e dai re di Inghilterra e Francia: Riccardo Cuor di Leone e Filippo II.
Il 15 agosto 1198 Innocenzo III bandì la IV crociata (1198-1204), comandata dal marchese Bonifacio di Monferrato e dai conti Luigi di Blois, Baldovino di Fiandra, Ugo di Saint-Pol.
La V crociata (1217-1221), comandata dal legato Pelagio, Andrea II re d’Ungheria, Leopoldo VI duca d’Austria e Giovanni di Brienne (re nominale di Gerusalemme), assediò nel maggio 1218 Damietta, sul delta del Nilo, conquistandola nel 1219.
La VI crociata (1228-1229) fu condotta dall’imperatore Federico II, scomunicato dal 1227. Il 18 febbraio 1229 egli raggiunse un accordo con al-Kamil: Gerusalemme passò cristiani – con esclusione della spianata del Tempio – per dieci anni, al termine dei quali tornò ai musulmani.
La VII crociata (1248-1254), voluta e guidata da Luigi IX re di Francia, conquistò Damietta nel giugno 1249, finendo sconfitta a Mansura (8 febbraio 1250).
Luigi ci riprovò nel 1270 (VIII crociata), attaccando questa volta Cartagine, dove trovò la morte il 25 agosto, per un’epidemia.

Bibliografia

Franco Cardini, Le crociate tra il mito e la storia, Città Nuova, 1971.
Bernard Hamilton, Le crociate, San Paolo, 2003.
Marco Meschini, Note in merito a più dibattiti: le crociate, «LineaTempo», 6/1 (2002), pp. 24-31.
Jean Richard, La grande storia delle crociate, Newton & Compton, 1999.
Christopher Tyerman, L’invenzione delle crociate, Einaudi, 2000.

IL TIMONE – N. 43 – ANNO VII – Maggio 2005 – pag. 22-24

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